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22 maggio 2021

La relazione del segretario generale Salvatore Casciaro al CDC del 22-23 maggio 2021


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Relazione del Segretario Generale dell’ANM sull’attività della GEC (CDC del 22/23.5.2021)


1. In data 12 maggio l’ANM è stata audita dalla commissione ministeriale presieduta dal Prof. Massimo Luciani sul disegno di legge di riforma ordinamentale (Atto Camera 2681 recante “Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”). 

Non abbiamo avuto anticipazioni sugli emendamenti che la Commissione intenderà proporre.

Abbiamo risposto a domande formulate dai componenti della commissione tenendo conto (beninteso) dell’elaborazione delle Commissioni di studio dell’ANM.

Quanto al sistema elettorale del CSM, pur nella ristrettezza dei tempi che ci separano dalla nuova consiliatura, abbiamo espresso il convincimento che sia urgente un cambiamento della legge elettorale per restituire piena credibilità all’organo di Governo autonomo. 

L’attuale proposta di modifica (AC 2681) che elimina i tre collegi unici nazionali e mira, con la previsione di collegi territoriali (su base distrettuale o con accorpamento di distretti limitrofi), a un recupero del rapporto di conoscenza diretta tra i candidati al CSM e gli elettori, va indubbiamente nella giusta direzione di incidere radicalmente sul rapporto tra i gruppi associativi e i candidati al CSM. Nondimeno, se il dichiarato intento perseguito dal disegno di legge è di ridurre il peso delle correnti nella designazione dei candidati, andrebbe coerentemente riconsiderata la previsione del maggioritario a doppio turno che consente successivi apparentamenti tra i gruppi associativi. 

La varietà delle opzioni possibili (e l’imponderabilità del risultato “politico” da ciascuna scaturente) rende non agevole individuare il sistema elettorale ottimale, e se ne ha diretta conferma dall’elaborazione, svolta anche in seno all’ANM, dalla Commissione di studio “Riforma elettorale del CSM” la quale ultima dà atto di posizioni diversificate,  nel novero delle quali v’è anche quella favorevole al sorteggio temperato il quale introdurrebbe un criterio di imprevedibilità (legata al sorteggio, appunto) nella prima fase di scelta degli eleggibili. 

Quali che siano le scelte che assumerà il decisore politico, abbiamo comunque evidenziato l’esigenza di approntare accorgimenti per assicurare, da un lato, la presenza delle diverse sensibilità associative, anche minoritarie, all’interno del CSM, e, dall’altro, la parità di genere quantomeno con riferimento al momento della candidatura, senza la previsione di una riserva di posti.

Riguardo agli incarichi direttivi e semi-direttivi, è ineludibile un intervento che mitighi i margini di eccessiva discrezionalità dell’assetto vigente (D. Lgs. n. 160 del 2006 e disciplina attuativa consiliare) e, in tale ottica, uno strumento adeguato potrebbe essere costituito dal criterio della “preminenza” degli indicatori specifici (che attualmente hanno “speciale rilievo”) su quelli generici. Di certo vanno recuperati maggiori spazi di prevedibilità delle decisioni consiliari e valorizzata, in termini di raffronto col “fuori ruolo”, l’attività svolta dal magistrato dentro la giurisdizione, nonché il parametro dell’anzianità di servizio senza demerito. 

Sul versante della ragionevole durata del processo si è sottolineato che un approccio riformatore “punitivo” che moltiplica il sistema degli illeciti disciplinari non è una risposta al problema dei tempi della giustizia, e rischia di avere pericolose ricadute sulla qualità del lavoro dei magistrati e sulla tutela dei diritti dei cittadini. L’indipendenza interna ed esterna della magistratura non si assicura ingenerando timori col rischio di “burocratizzare” il lavoro del giudice che, spogliato della serenità necessaria a decidere, potrebbe indulgere verso forme deleterie di giustizia “difensiva”.

Il tema del diritto di tribuna o di voto dell’avvocatura nei consigli giudiziari è tornato con forza nel dibattito pubblico.

Gli avvocati sono parte fondamentale della giurisdizione ed è decisivo il contributo tecnico e valoriale che essi forniscono all’interno del consiglio giudiziario in tutte le attività per cui è prevista la composizione “allargata” dell’organo: così per le delibere che attengono a profili di organizzazione degli uffici giudiziari e a previsioni tabellari ma anche alla vigilanza e controllo sull’organizzazione degli uffici del territorio. L’avvocatura ha anche modo, con segnalazioni previste dalla legge, di incidere sulle deliberazioni che attengono alle valutazioni di professionalità dei magistrati formulando, se del caso, rilievi puntuali e circostanziati.

Col diritto di tribuna, e ancora di più col diritto di voto nei consigli giudiziari, si vorrebbero ora mutuare soluzioni adottate per il CSM.

Qui però i componenti laici che votano sulle valutazioni di professionalità esercitano un ruolo istituzionale di rilievo costituzionale non calato nelle realtà locali, tant’è che non possono esercitare la professione legale durante il mandato consiliare. Trasporre tout court lo schema ai consigli giudiziari, con la previsione di un diritto di voto, vuol dire ignorare che i componenti laici dei consigli giudiziari sono anche coloro che esercitano abitualmente la professione legale nel distretto del magistrato sottoposto a valutazione, il che determina un’indebita commistione dei rispettivi ruoli sul territorio e possibili gravi contraccolpi sull’indipendenza della magistratura.

Rispetto a tali ipotesi, non si può non esprimere ferma contrarietà.

Il tema della separazione tra giustizia e politica merita anch’esso intervento immediato.

Rileva in primo luogo il profilo che precede l’accettazione formale della candidatura da parte del magistrato. Sarebbe a riguardo auspicabile una regolamentazione che intervenga sulla facoltà, riconosciuta dall’attuale regime delle incompatibilità e ineleggibilità, di accettare candidature e di assumere incarichi politico-amministrativi negli enti locali che ricadono nella circoscrizione dove il magistrato esercita le sue funzioni giudiziarie, e ciò perché il transito immediato a ruoli di politica attiva, nel contesto ove il magistrato abitualmente opera, crea comprensibile disorientamento nei cittadini.

C’è poi il tema, altrettanto controverso,costituito dal ritorno nella giurisdizione del magistrato che abbia svolto un mandato elettivo.

In questo caso il ricollocamento nell’organico della magistratura pone un problema di possibile appannamento dell’immagine di imparzialità e terzietà, ma la soluzione offerta dalla disposizione del progetto di riforma, nella sua formulazione lata che impone il (ri)collocamento del magistrato nei ruoli amministrativi, potrebbe porsi in frizione con il precetto costituzionale dell’art. 51 Cost. che assicura a chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive di poter conservare “il suo posto di lavoro”.

Ben s’intende che una cosa è fare il magistrato, altro è rientrare al termine del mandato elettivo in plessi pur qualificanti dell’amministrazione dello Stato. Soluzione (questa) non assimilabile al mantenimento del proprio “posto di lavoro”.

La soluzione offerta dal ddl potrebbe avere sì giustificazione laddove l’allontanamento dalla giurisdizione per assolvere al mandato elettivo si riveli prolungata e connotata da tratti qualificanti, tanto da recidere irrimediabilmente il legame con l’attività giurisdizionale pregressa, mentre, per esperienze elettive più circoscritte e temporalmente limitate, potrebbe apparire misura troppo forte.


2. Abbiamo acquisito conoscenza degli emendamenti governativi all’AS 1662 (“Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”).

Solo alcune considerazioni personali “a prima lettura”.

Nella consapevolezza che l’efficienza del sistema giustizia assicura un’effettiva tutela dei diritti ed è oltretutto volano di sviluppo economico per il Paese, il maxi-emendamento governativo persegue l’obiettivo di ridurre del 40% i tempi del processo civile in linea con la previsione del PNRR recentemente approvato in CdM.

Senz’altro apprezzabili, anche per il contributo all’affermazione di una cultura della conciliazione, sono le misure di potenziamento della giustizia alternativa o complementare, in specie della mediazione e negoziazione assistita estese a nuove materie, nonché l’indicazione di forme di incentivazione fiscale.

Attesa era anche l’implementazione dell’attività di istruzione stragiudiziale in ambito di ADR (Alternative Dispute Resolution), con facoltà di nomina di un esperto per le materie tecniche e la possibilità di utilizzo della relazione di quest’ultimo nella fase contenziosa.

Positive le misure tese a rimodulare il rito di cognizione di primo grado in una logica di concentrazione delle attività, riducendo i tempi morti e operando “aggiustamenti” della disciplina anche mediante una maggiore valorizzazione del processo sommario di cognizione, la cui durata media (secondo dati statistici del Ministero) si aggira intorno ai 472 gg. a fronte dei 1.270 gg. del rito ordinario.

Tale procedimento, ora (ri)denominato come semplificato di cognizione, sarà obbligatorio per le controversie di minore complessità, anche se devolute alla cognizione del collegio, con un potenziamento degli strumenti anticipatori delle decisioni di merito mediante l’adozione di provvedimenti sommari soggetti allo strumento impugnatorio, il quale determinerà tuttavia (con inevitabili ricadute organizzative negli uffici giudiziari di più ridotte dimensioni) la necessità di procedere, in caso di accoglimento del reclamo, alla sostituzione del magistrato per il prosieguo del giudizio.

Da valutare favorevolmente anche le innovazioni al giudizio di gravame, come la previsione del principio di chiarezza e sinteticità degli atti e il potenziamento dei filtri per le ipotesi di manifesta infondatezza nonché la misure di semplificazione (e plausibile accelerazione) degli adempimenti istruttori demandati alla figura del consigliere istruttore.

Per il giudizio in cassazione, interviene l’unificazione dei riti camerali, misura auspicata dal primo presidente della Corte di cassazione nella relazione d’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021. Innovativo, anche se di portata applicativa limitata, l’istituto del “rinvio pregiudiziale”, ispirato a esperienze straniere, il quale consentirà di pervenire a un’indicazione nomofilattica su questioni “nuove” e foriere di difficoltà interpretative così da evitare conflitti giurisprudenziali soprattutto in cause seriali. Saranno stabilizzate la trattazione scritta e l’udienza da remoto, già sperimentate proficuamente nel periodo dell’emergenza sanitaria da Covid-19, misure (queste) che forniscono al giudice alternative duttili evitando, col consenso delle parti, la celebrazione di udienze non necessarie.

Insomma, un complesso di modifiche processuali (come anche quelle incidenti sul processo d’esecuzione, sull’individuazione del rito unitario per le persone, i minorenni e le famiglie) e ordinamentali (come gli interventi sull’ufficio del processo in corso di definizione) potenzialmente atte a incidere sui tempi del processo.

Certo le modifiche sul rito determineranno nell’immediato un inevitabile disagio tra gli operatori, con corsie diverse tra le cause soggette al vecchio e al nuovo rito, mentre alcune innovazioni sono parse timide, come quella sull’introduzione del principio di chiarezza e sinteticità degli atti, il quale viene riconnesso non all’ambito della enunciazione della domanda (edictio actionis), ma al settore della forma degli atti processuali. Ben s’intende allora che l’effettività del principio non è assicurata se si vietano (come fa il maxi-emendamento) sanzioni sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma.

Inutile dire quanto chiarezza e sinteticità degli atti possano riflettersi sull’intelligibilità delle questioni interferendo sui tempi della risposta giudiziaria. Resta, per ora, la (mera) declamazione di un principio della cui forza deflattiva era ben consapevole la Ministra prof.ssa Cartabia la quale, nelle sue Linee programmatiche sulla giustizia, annunciava “l’introduzione di specifiche disposizioni volte a renderlo effettivo”.

Grazie per l’attenzione, e buon lavoro!

Salvatore Casciaro



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