L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

17 ottobre 2022

La relazione del segretario generale Salvatore Casciaro al 35° Congresso dell'Associazione nazionale magistrati


Casciaro

III Sessione - Prospettive dell’associazionismo

SOMMARIO:

1. Ruolo dell’associazionismo 
2. Entrata in crisi del modello associativo 
3. Quali rimedi? 
4. Prospettive di rilancio

Abstract

L’intervento si propone di illustrare la centralità del valore dell’associazionismo, non senza esaminare le cause dell’entrata in crisi del modello disvelato dalle captazioni del “caso Palamara”, da ricondurre soprattutto ai mali del carrierismo e del correntismo. Per uscire dal guado serve, sì, un recupero della tensione etica dei comportamenti, ma anche un rilancio degli ideali e dei grandi temi del confronto politico-associativo. Non solo: occorreranno ulteriori modifiche sul versante ordinamentale, e qui le proposte in campo divergono, ma senz’altro preferibile sarebbe procedere a una rivisitazione della disciplina tesa a rendere oggettive, maggiormente prevedibili e più trasparenti le scelte del Consiglio Superiore della Magistratura in materia di nomine. L’impegno associativo deve anche volgersi al cantiere delle riforme, specie ordinamentali, per fronteggiare misure che mirano a ridefinire l’assetto costituzionale della giurisdizione; serve impegnarsi per difendere, in sede associativa e di autogoverno, il modello di magistrato frutto delle conquiste passate, messo oggi seriamente a repentaglio.

1. Ruolo dell’associazionismo

1.1 Il sapere giuridico è requisito, certo, importante ma non sufficiente per l’esercizio costituzionalmente puntuale della giurisdizione. Si rivela, infatti, altrettanto decisiva «la capacità di ascoltare e di confrontarsi culturalmente, in maniera franca e rispettosa, innanzitutto all’interno dell’ufficio giudiziario, come pure in tutte le occasioni di elaborazione e approfondimento che la magistratura promuove in ambito sia professionale che associativo».

Aprirsi al confronto, acquisire, con lo scambio di conoscenze, nuove abilità, ampliare la cultura, affinare le capacità di discernimento delle problematiche, interloquire responsabilmente con gli altri legittimi protagonisti della vita pubblica, in questo, in fondo, si sostanzia l’impegno associativo.

L’essenzialità della vita associativa, anche per fornire al magistrato il naturale antidoto a un approccio di tipo burocratico alla professione, che potrebbe essere favorito dal meccanismo di nomina tramite concorso pubblico, è riconosciuta, anche a livello sovranazionale, dalla Magna Carta dei giudici approvata dal Consiglio consultivo dei giudici europei secondo cui «[…] i giudici hanno diritto di aderire ad associazioni di magistrati, nazionali o internazionali, con il compito di difendere la missione della magistratura» e dalla Raccomandazione n. 12 del 2012 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, la quale precisa che «i giudici devono essere liberi di formare o aderire a organizzazioni professionali che abbiano come obbiettivo di difendere la loro indipendenza, proteggere i loro interessi e promuovere lo stato di diritto».

1.2 L’associazionismo giudiziario ha consentito di promuovere, e realizzare nel tempo, un’indipendenza non formale ma effettiva della Magistratura e di perseguire, attraverso un’azione civica collettiva, obiettivi altrimenti fuori dalla portata dei singoli. Basti ricordare il XII congresso nazionale ANM, nel 1965, a Gardone e l’impegno che ne seguì con le leggi cd. Breganze e Breganzone, tra il 1966 e il 1973, per l’abolizione della carriera in magistratura e l’istituzione di una progressione economica «a ruoli aperti». Una svolta storica che consentì di superare il precedente modello del giudice-funzionario e di dare attuazione ai principi costituzionali secondo cui «i magistrati si distinguono fra loro soltanto per funzioni» (art. 107, comma 3, Cost.) e sono soggetti solo alla legge (art. 101, comma 2, Cost.). Si afferma così – tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso – una «magistratura orizzontale», sine metu et sine spe, secondo lo spirito dei Padri costituenti. 

Conquiste, si noti, frutto dell’unità associativa, cioè dello sviluppo di un confronto all’insegna di una dialettica plurale, all’interno dell’ANM, come tale più ricca e feconda, specie se in grado di comporsi in effettiva sintesi delle diverse posizioni: quella “pratica concordanza delle discordanze” da cui è dipesa l’efficacia, l’incisività e l’autorevolezza dell’azione dell’ANM, da sempre percepita, anche all’esterno, quale espressione dell’intero potere giudiziario idealmente considerato.

2. Entrata in crisi del modello associativo

2.1 Allargando la prospettiva si potrebbe far coincidere l’entrata in crisi dell’associazionismo, e in genere dei corpi intermedi nel contesto politico-sociale, con la fase di attenuazione e spegnimento del conflitto ideologico, da cui scaturì una profonda trasformazione nel registro delle relazioni fra le persone, tra queste ultime e la società, tra la società e le istituzioni. Alla tensione delle idee con la loro naturale forza aggregante, nella radicalizzazione del confronto, si è sostituito, a un certo punto, il soggettivismo, con il suo orizzonte fluido e impalpabile – «liquido», potremmo dire alla Bauman – dell’utile, del conveniente, sicché anche il gruppo associativo è stato visto da molti semplicemente come atout per conseguire il proprio tornaconto personale.

Tale analisi, corretta (certo) sul piano descrittivo, non si rivelerebbe tuttavia pienamente appagante. Eclissa, infatti, l’essenzialità di un dato che sugli accadimenti della Magistratura ebbe a svolgere un ruolo decisivo. Nel pieno della crisi politico-giudiziaria di “Mani Pulite”, che recava con sé la volontà di arginare il potere diffuso della giurisdizione, veniva alla luce – nel 2005-2006 – la riforma Castelli–Mastella, che, sotto la spinta di una sempre crescente mole di arretrato negli uffici giudiziari, imponeva un cambio di passo mediante l’individuazione di nuove figure di dirigenti autorevoli per gestire la risposta di giustizia con logiche di efficienza. Nasceva così «sulle ceneri della “vecchia carriera” una “nuova carriera” priva però degli strumenti meritocratici (commissioni di concorso e di scrutinio) propri della vecchia e quindi ancor più esposta alle tentazioni dell’abuso del potere, e più esplicitamente collegata attraverso il CSM alle strutture di corrente».

Una riforma da leggere in controluce, dei cui rischi l’ANM non ebbe piena consapevolezza, scorgendone soprattutto i lati positivi, come lo svecchiamento della dirigenza, non più intesa come premio alla carriera; la riforma ebbe a ridestare la competizione e l’ambizione dei colleghi, tendenze innate negli esseri umani e che riaffiorarono allorché intervenne un mutamento del quadro normativo che riaccese le pulsioni sopite del giudice-funzionario. 

2.2 Alcuni, all’interno dei gruppi associativi, hanno percepito le opportunità della nuova disciplina che, presentandosi sotto il vessillo della modernità, rispondeva alle pressanti attese di efficienza dei cittadini. Si è compreso che il nuovo modello di dirigenza avrebbe consentito, mediante la selezione – con criteri non sempre trasparenti – dei candidati al Consiglio superiore, di gestire le carriere dei magistrati. Si sono così venute a costituire, talvolta, per il tramite dei consiglieri eletti, e grazie anche all’ampia discrezionalità ad essi attribuita, vere e proprie aggregazioni di potere che, favorite dall’inadeguatezza del sistema delle valutazioni di professionalità a graduare le differenti attitudini dei magistrati, hanno in più occasioni consentito di anteporre gli interessi particolari a quelli generali. Un cortocircuito che si è alimentato, poi, attraverso le competizioni elettorali: i più abili nell’esaudire le ambizioni dei singoli si giovavano di un ritorno di consensi. Ciò consentì di aprire una falla nel precedente assetto della giurisdizione, della cui consistenza si è avuta cognizione nella primavera del 2019 allorché l’intero sistema delle relazioni associative è stato messo in discussione.

Emblematico di quel passaggio fu il discorso del Presidente Mattarella sulla «modestia etica», in cui si dipingeva una Magistratura che appariva china su sé stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi o prebende e dove si sottolineava, per la prima volta, l’esigenza di «porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti interne alla vita associativa dei magistrati». 

Organi di stampa avviarono veementi campagne di delegittimazione della Magistratura, il cui controcanto erano le esternazioni di singoli esponenti della classe politica, alcune non esenti da inopportuni eccessi polemici: ci fu perfino chi si spinse grottescamente a definire «l’ANM un cancro da estirpare».

Ma di quel periodo resta impressa, nella mia e credo nella memoria di tutti voi, l’ondata di sdegno e ribellione dei tanti magistrati, la stragrande maggioranza: non solo di quelli da sempre silenziosamente impegnati nel quotidiano lavoro negli uffici giudiziari ma anche – tengo a sottolinearlo – di coloro che generosamente e con passione autentica si prodigavano nell’attività associativa.  Costoro furono i primi a restare sconcertati, a sentirsi offesi per il “sottobosco” di accordi di potere, spartizioni, raccomandazioni rivelato nelle chat del dr. Palamara.

2.3 L’intera categoria fu travolta dal discredito e i magistrati accomunati da attacchi indistinti e generalizzati. Siamo piombati nella «notte nera delle vacche nere»: l’opinione pubblica acquisiva di giorno in giorno, in un crescendo rossiniano, consapevolezza dell’ampia dimensione del quadro degenerativo. I gruppi associativi hanno cercato di reagire. Inizialmente senza una piena consapevolezza, poi avviando percorsi di analisi critica, e di profonda, dolorosa rigenerazione.

La caduta di immagine e di fiducia di cui godeva la categoria dinanzi ai cittadini fu verticale mettendo in discussione non un certo modo di fare associazione – e, con esso, il ruolo di quei magistrati che alle degenerazioni del sistema avevano personalmente contribuito –, ma il valore stesso dell’associazionismo giudiziario. È questo il quadro che si è trovato dinanzi l’attuale Comitato direttivo centrale dell’ANM al momento del suo insediamento il 7 novembre 2020. 

Si decise, non senza difficoltà, di avviare responsabilmente un percorso di ricostruzione comune. Muovendo dall’idea di fondo che non servisse distinguere tra virtuosi e reprobi, ma occorresse, nella pari dignità dei gruppi associativi, comprendere le cause del fenomeno degenerativo e individuare i possibili rimedi: nasceva, con il concorso di quasi tutte le componenti associative, la Giunta esecutiva centrale il 5 dicembre 2020. 

3. Quali rimedi?

3.1 Sulla crisi dell’associazionismo – che si è essenzialmente manifestata esteriormente in correlazione al fenomeno del carrierismo– è possibile svolgere alcune brevi riflessioni. 

Per uscire dall’impasse e attuare un rilancio dell’azione associativa da più parti ci si concentra sulla questione morale. Serve, si dice, una svolta radicale nell’etica individuale e di corpo dell’intera magistratura, senza la quale difficilmente si potrà uscire dal vicolo cieco in cui ci troviamo. Sarebbe, dunque, imprescindibile rivitalizzare le radici deontologiche della professione, valorizzando imparzialità e irreprensibilità delle condotte individuali, e per far ciò sarebbe necessaria una riflessione approfondita, anche attraverso l’apporto fondamentale della Scuola Superiore della Magistratura, nei confronti di atteggiamenti che si sono diffusi nel mondo della giurisdizione, ingenerando la «crisi epocale» che, nell’ultimo triennio, ci si è trovati, improvvisamente, ad affrontare. In tale contesto, viene sottolineata l’esigenza di adoperarsi per la repressione delle condotte deontologicamente non commendevoli, donde il ruolo fondamentale dell’accertamento nelle sedi proprie, disciplinare e associativa, degli addebiti con il dovuto rigore e nel rispetto delle garanzie di difesa.

C’è chi invece ritiene prioritario recuperare l’originaria carica ideale dell’associazionismo: sarebbe auspicabile ampliare i canali di approfondimento sui grandi temi della giurisdizione, riattivare il confronto ideale fra i gruppi per ridare smalto ed energia alla vita associativa, e riavvicinare così i tanti colleghi che se ne sono allontanati. A riguardo, un ruolo essenziale potrebbero svolgere le molte riviste di taglio scientifico da tempo impegnate nel settore associativo. Insomma, dare nuova linfa al dibattito sui contenuti dove fisiologicamente si è portati a dividersi secondo le diverse, spesso frastagliate, sensibilità culturali, il che favorirebbe la partecipazione dei colleghi e un recupero dei valori storicamente interpretati dai diversi gruppi.

Altri ancora ritengono non più differibile sviluppare una riflessione di tipo diverso che muova dal rilievo che in ciascuno degli storici gruppi associativi si sarebbe formato negli anni un deficit di democrazia interna, tanto da palesare l’esistenza «di canali decisionali nascosti, operanti in parallelo a quelli ufficiali e in grado di bypassarli»; e in ciò si potrebbero rinvenire le cause profonde dei fenomeni degenerativi in atto. Secondo tale impostazione, il correntismo sarebbe frutto della debolezza dell’associazionismo e delle sue regole di funzionamento democratico.

Pur nella varietà di accenti, le proposte elencate muovono dall’idea che la crisi di questi anni sia essenzialmente legata a una caduta di tensione etica, trasmodata in alcuni casi in illecito deontologico, in altri funzionale. 

Se i comportamenti sono sbagliati, occorre cambiarli, non serve cambiare le regole. Si muove cioè dal convincimento che la giustizia non è solo una questione di codici e procedure, è anche, e molto più, «questione di giudici e di ethos che essi si portano addosso, da questo dipendono in concreto codici e procedure. Prima che questione giuridica, è questione culturale».

3.2 Sotto altra angolazione, c’è chi ritiene non bastevole un impegno così concepito; è questa l’idea di chi vorrebbe esaminare soprattutto il diverso piano del cambiamento delle regole. 

C’è chi auspica un intervento sul meccanismo elettorale del Consiglio superiore, mediante l’introduzione del sorteggio temperato, il che rischierebbe di forzare però lo spirito dell’articolo 104 della Cost., il quale prevede un’elezione «tra gli appartenenti alle varie categorie» di magistrati e non all’interno di un’enclave o un sottoinsieme più ridotto e perimetrato con criteri predefiniti e automatici; costoro sono gli stessi che aspirano a sottrarre al Consiglio superiore il governo delle nomine, che immaginano più opportunamente attribuite attraverso un sistema di “rotazione” all’interno dell’ufficio giudiziario degli incarichi dirigenziali: rimedio che svilirebbe, tuttavia, il ruolo del Consiglio superiore e metterebbe a rischio l’efficienza degli uffici, precludendo una selezione del dirigente più dotato per merito e attitudini organizzative.

Altri ancora vorrebbero riabilitare, invece, il criterio dell’anzianità senza demerito sostituendolo a quello meritocratico, quest’ultimo apparso caratterizzato da un’ampia discrezionalità spesso indistinguibile dall’arbitrio. 

Una posizione che riscuote, dentro e fuori dalla Magistratura, un certo appeal: valutando il sistema attuale, alcuni parlano di criteri di scelta dei direttivi fluttuanti e ondivaghi che indurrebbero a «coltivare» impropriamente le domande di avanzamento in carriera affidandosi a «un santo protettore». Quasi a cascata, si verrebbe a innescare una specie di far west delle nomine, uno scontro di tutti contro tutti in cui a farne le spese sarebbero colleghi valenti ma privi di amicizie e agganci associativi. 

3.3 La riforma ordinamentale da poco varata (i.e., legge delega 17 giugno 2022 n. 71) non ha raccolto tali input, e ciò in linea con le posizioni del Consiglio superiore, il quale ha sempre contrastato ogni nostalgia retrospettiva difendendo con forza il criterio meritocratico e l’ampia discrezionalità di cui dispone e rifiutando, conseguentemente, l’adozione di punteggi ponderali nella valutazione degli indicatori attitudinali relativi alle nomine. Nel suo parere sul progetto di riforma ordinamentale, il CSM ha manifestato, non a caso, apprezzamento per le modifiche apportate in sede ministeriale, che salvaguardavano la «centralità della discrezionalità consiliare evitando di predeterminare puntualmente gli indicatori attitudinali». Trattasi di posizioni che trovano rispondenza in voci autorevoli dell’avvocatura, che invitano ad accettare senza timori una trasparente elasticità nell’individuazione del dirigente giudiziario senza «ingabbiare» la valutazione consiliare.

Dal canto suo, l’ANM si è schierata anch’essa a favore del criterio meritocratico e delle attitudini, ritenendolo senz’altro preferibile come scelta di fondo: anacronistico sarebbe preconizzare, in un’organizzazione sempre più complessa e articolata come quella del servizio giustizia, un ritorno al criterio dell’anzianità senza demerito oppure cercare di approntare deleterie forme di automatismo selettivo come, ad esempio, la rotazione degli incarichi. 

Nondimeno, con mozione approvata il 6 novembre 2021 dal Comitato direttivo centrale, l’ANM, dopo una interlocuzione d’analogo contenuto con la Ministra Cartabia, invitava il CSM a procedere a «una seria rivisitazione del testo unico sulla dirigenza giudiziaria, riconsiderando i criteri di nomina, al fine di renderli più oggettivi e prevedibili» e adottando parametri più stringenti onde evitare che «il medesimo indicatore possa essere valutato (a seconda dei casi e delle convenienze) in maniera diversa». 

Tale istanza, giustificata anche da numerosi annullamenti di importanti delibere di nomina da parte del giudice amministrativo, è rimasta finora inascoltata. Quel che è certo è che in assenza di una ridefinizione delle modalità di accesso alla dirigenza giudiziaria non c’è da restare troppo ottimisti in ordine alla possibilità di voltare davvero pagina rispetto alle storture del passato. 

Al di là dell’auspicato recupero di tensione etica dei comportamenti individuali, da realizzare attraverso un mutamento del substrato culturale che elida le prassi di auto ed etero-promozione, sarà essenziale, infatti, una revisione della disciplina ordinamentale, anche secondaria, che valorizzi pienamente, con la reintroduzione delle c.d. fasce di anzianità, il positivo esercizio della giurisdizione, coordinando meglio fra loro i vari indicatori attitudinali, generali e specifici, e chiarendone l’operatività, nonché rendendo più trasparenti e prevedibili le nomine, evitando quelle decisioni contraddittorie e incoerenti di cui abbiamo avuto frequente evidenza nel recente passato.

4.  Prospettive di rilancio

4.1 Fare esercizio di memoria, svolgere una seria autocritica e interrogarsi sulle ragioni dell’involuzione del sistema associativo, è la necessaria premessa per individuare i possibili rimedi e procedere a un’assunzione di responsabilità nel momento presente. Come è essenziale comprendere a pieno le cause per le quali all’ANM non è stato sempre agevole preservare una sostanziale autonomia rispetto all’Organo di autogoverno, così da svolgere un ruolo dialogico e, all’occorrenza, opportunamente vigilare sull’operato di quest’ultimo. Vero è che in molte occasioni si è mantenuto un atteggiamento di silenzio rispettoso a fronte di alcune decisioni consiliari che suscitavano perplessità e critiche diffuse tra i colleghi: decisioni apparse ispirate a strategie sotto-corporative che anteponevano la logica di appartenenza all’interesse generale che imporrebbe l’indicazione del candidato più idoneo a rivestire il singolo incarico. 

Le ragioni del self restraint dell’ANM si comprendono se solo si pone mente al fatto che sia le rappresentanze consiliari sia quelle che si formano in seno al Comitato direttivo centrale hanno una comune radice, costituendo fondamentali forme di espressione dei gruppi associativi da cui promanano. Il recupero del ruolo autonomo dell’ANM nei confronti del Consiglio superiore è fattore di sicura valenza identitaria nella vita dell’Associazione che deve sapersi fare interprete in ogni sede delle esigenze reali, delle ansie dei colleghi e dei quotidiani affanni della giurisdizione. 

L’esercizio concreto di tale ruolo autonomo si va, tuttavia, innegabilmente rafforzando e contribuirà sia a riavvicinare i colleghi alla vita associativa sia a ripristinare quel clima di fiducia tra i magistrati e il loro Organo di governo autonomo, quest’ultimo percepito talora, a torto o a ragione, come un soggetto minaccioso i cui processi decisionali non sempre appaiono chiaramente intelligibili. 

4.2 Le sfide dell’associazionismo non potranno non guardare anche ai nuovi scenari di riforma che mostrano di voler incrinare la stessa fisionomia costituzionale del magistrato. 

Non penso solo alle modifiche ordinamentali apportate dalla legge n. 71 del 2022 che, nell’ottica di perseguire ambiziosi obiettivi di riduzione dell’arretrato e dei tempi del processo, si muove in una logica iper-produttivista, burocratizzando il ruolo del magistrato e relegandolo in una dimensione di subordinazione gerarchica rispetto al capo dell’ufficio; ma anche, e con maggior preoccupazione, alle ulteriori proposte che hanno agitato in campagna elettorale il dibattito politico e dirette a ridefinire le funzioni e le prerogative del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato.

L’istituzione dell’Alta Corte per giudicare sui procedimenti disciplinari e sulle nomine contestate, la separazione delle carriere, il frazionamento (o lo smembramento) del Consiglio superiore, l’eliminazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, l’introduzione di forme di responsabilità diretta dei giudici, il sorteggio per l’individuazione dei componenti del CSM sono solo alcune delle iniziative che, se introdotte, determinerebbero lo stravolgimento dell’attuale assetto costituzionale dell’ordine giudiziario. Si tratta di proposte che dovranno essere contrastate dall’azione unitaria della magistratura associata che deve trovarsi pronta a impegnarsi in difesa dei valori costituzionali e dei diritti dei cittadini. 

4.3 Ma servirà anche procedere verso il recupero di una maggiore rappresentatività dell’Associazione, mostrando, da un lato, un’accresciuta sensibilità verso i problemi delle realtà locali, delle sedi più disagiate, facendosene interpreti, e, dall’altro, trovandosi pronti a rispondere alle più pressanti esigenze dei colleghi, specie i più giovani, adoperandosi per un loro diretto coinvolgimento nella vita associativa. Allargare il livello di partecipazione all’azione associativa è, oggi più che mai, l’obiettivo da perseguire.

Quello del magistrato è infatti un mestiere solitario, ciascuno è un’isola come è stato efficacemente detto, e resta custode geloso della propria autonomia e discrezionalità con l’anelito di coniugare senso dell’umanità e spirito di servizio. Non vogliamo interferenze esterne nel modo di applicare la legge e comprenderne il significato, in questo si sostanzia in fondo l’unica “dipendenza” che accettiamo, intesa come obbedienza alla legge. Ma questa solitudine della professione, per non tradursi in autoreferenzialità e sterile protagonismo, impone, quale necessario contraltare, l’apertura al confronto esterno perché ogni singolo è chiamato, senza l’intermediazione di deleghe o rappresentanze, ad esprimere, nella realtà giudiziaria dove opera come anche in questo Congresso nazionale, l’idealità che l’Associazione deve incarnare.







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Relazione introduttiva di Salvatore Casciaro | pdf, 603 kb

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