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6 febbraio 2023

Separazione delle carriere: a rischio tutela dei diritti dei cittadini

Anm: solo 21 magistrati hanno cambiato funzione nell’ultimo anno


Toghe

Negli ultimi mesi si sono intensificati interventi e proposte di riforma per dare attuazione ad un progetto risalente che minerebbe alle fondamenta l’assetto costituzionale della Magistratura Italiana. 


La Commissione Affari Costituzionali della Camera ha messo in calendario, dal 2 febbraio 2023, la discussione su una proposta di legge che chiede di attuare la definitiva separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici.


La proposta normativa desta profondo allarme: oltre alla separazione delle carriere, prevede l’introduzione di distinti organi di autogoverno, che peraltro non vedranno più al loro interno la prevalenza numerica dei componenti togati, voluta dalla Costituzione proprio per assicurare il giusto equilibrio tra poteri e quindi l’autonomia della Magistratura.


Ancora più preoccupante la progettata abolizione dell’art. 107 comma 3 della Costituzione che, nel prevedere la distinzione dei magistrati solo per funzioni, ne rappresenta la massima garanzia di indipendenza.


Una rigida separazione delle carriere porterà ad un pubblico ministero sempre più lontano dalla cultura della giurisdizione, per divenire un "avvocato dell'accusa" pericolosamente piegato ai desiderata del potere politico.


È la realtà dei fatti che smentisce l’assunto secondo il quale il giudice sia “culturalmente adesivo” alla prospettiva del pm: nel 48% dei giudizi penali la sentenza è di assoluzione, nel 45% di condanna, il resto ha esito misto.


Chi insiste a sostenere che la separazione è soluzione ai problemi della giustizia dimentica, evidentemente, che dal 2006 la media dei trasferimenti da una funzione all’altra è di 50 magistrati all’anno, e solo 21 nell’anno appena terminato.


Il pubblico ministero disegnato dalla riforma, quindi, rischia di allontanarsi dal ruolo di primo tutore delle garanzie individuali e dei diritti costituzionali.


La nostra Costituzione ha voluto realizzare una magistratura pienamente autonoma e indipendente da ogni altro potere. La prima garanzia di ciò è la forte cultura comune che unisce, e deve sempre unire, i giudici e pubblici ministeri, costruendo in ogni magistrato una precisa identità a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini contro ogni arbitrio, ogni violenza, ogni forma di criminalità.


Una visione comune fortemente sostenuta anche dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che ha un’impronta fortemente garantista. Non a caso, il progetto di legge interviene anche sull’obbligatorietà dell’azione penale, con il rischio di ledere il principio di uguaglianza dei cittadini nelle scelte di esercizio dell’azione penale.


L’ANM ritiene che l’appartenenza dei magistrati ad un unico corpo professionale rappresenti una conquista da preservare, coltivare e valorizzare. L’autonomia e l’indipendenza potranno dirsi effettive solo se i pubblici ministeri non dovranno preoccuparsi degli esiti favorevoli dei processi, prima che dell’esito di giustizia.


L’autonomia e l’indipendenza della magistratura sono garanzie poste a presidio delle libertà dei cittadini e, al contempo, limiti a possibili intromissioni delle contingenti maggioranze di governo.


Del resto la formazione di due CSM separati renderebbe abnorme il potere dei pubblici ministeri: ora sono 5 su 20 membri del CSM, con la riforma diventerebbero la totalità dei membri togati del consiglio dedicato.


Una concentrazione di potere che sfocerebbe, prima o poi, nell’individuazione di un referente nel potere esecutivo, e nell’inevitabile compressione nella tutela dei diritti dei cittadini, siano essi persone offese o imputati.


Un esito non desiderabile da chiunque abbia a cuore i diritti costituzionali.



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