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dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

26 giugno 2023

Largo ai furbetti. Magistrati zittiti

L’intervento del presidente dell’ANM Giuseppe Santalucia su L’Espresso


Santalucia_Espresso

Una premessa per sgombrare il campo da equivoci. L`Associazione nazionale magistrati (Anm) interviene sulle riforme in materia di giustizia per un diritto proprio e non già perché qualcuno abbia il potere di darle o negarle la parola. Non spetta al ministro della Giustizia né ad altri riconoscere o meno cittadinanza sulla scena pubblica a un soggetto collettivo come l`Anm. E ciò perché è la Costituzione ad attribuire a tutti i cittadini, ivi compresi i magistrati, il diritto di associarsi liberamente per finalità non vietate dalla legge penale. In una democrazia liberale, che fa del confronto di idee la sua forza, suonano stonate le parole di un ministro che taccia come indebita interferenza la critica ragionata dell`Anm. Non occorre altro per spegnere questo accenno di polemica, che non giova e distrae dalle proposte di modifica del sistema penale che il ministro intende portare avanti. Non c`è dubbio che sia il Parlamento a dover decidere, ma non è sintomo di vitalità democratica la pretesa di ridurre al silenzio i magistrati, che invece possono contribuire costruttivamente con il loro punto di vista argomentato e ragionato, frutto di esperienze professionali qualificate, a una migliore messa a fuoco dei problemi e delle soluzioni. 


Nessuna delle proposte di riforma persuade. Ne affronto solo due. Il ministro propone di eliminare il reato di abuso d`ufficio e di restringere l'ambito del reato di traffico d`influenze; sceglie così il settore dei reati dei cosiddetti colletti bianchi come primo - si vedrà se esclusivo - terreno per le politiche di deflazione penale da più parti invocate. Occorre chiedersi se un intervento di tal tipo non finirà con l`indebolire la tutela delle persone che, nella relazione con un pubblico ufficio, si troveranno a subire la prevaricazione arrogante di chi a quell`ufficio è preposto; e se la limitazione del traffico di influenze, anticamera dei fatti di corruzione, alle ipotesi in cui la mediazione illecita sia finalizzata a far compiere al pubblico ufficiale un atto contrario ai doveri d`ufficio, e costituente a sua volta reato, non libererà irragionevolmente le mani dei faccendieri senza scrupoli. Non si è pregiudizialmente ostili alle politiche della giustizia del ministro se si afferma che le sue proposte, divenute legge, creeranno delle zone franche per condotte di sfruttamento, a vario titolo, di un pubblico ufficio per fini privati. E si è facili profeti nel dire che il silenzio a cui sarà consegnata la giustizia penale offenderà il buon senso di quanti ragionevolmente rimarranno disorientati dall`assenza di una reazione a tutela dei diritti violati. Aumenterà l`incomprensibilità del nostro sistema, che ora usa con eccesso lo strumento penale, ora rinuncia a punire quando il disvalore di alcuni comportamenti è avvertito con particolare forza. 


Certo, c`è la cosiddetta paura della firma dei sindaci, condizionati dal timore di finire sotto indagine alla prima strampalata denuncia. Le critiche dei sindaci non vanno trascurate, ma devono essere contestualizzate muovendo da quel che molti dimenticano, ossia dalla riforma del 2020 che ha fortemente ristretto l`area del reato di abuso d`ufficio, impedendo il sindacato penale sulla discrezionalità dei pubblici ufficiali. Devono essere pertanto compiutamente comprese, per ottenere una risposta soddisfacente. Ciò che il disegno di legge del ministro Carlo Nordio non fa, preferendo una soluzione in apparenza semplice, in realtà semplicistica. Non scioglie il nodo, ma lo taglia ed esso ne genererà altri ancor più difficili da districare. L'attenzione al tema delle misure cautelari è cosa buona e giusta, ma le soluzioni proposte sono assai discutibili e meritano di essere discusse. Si affida a un giudice collegiale e non più a un giudice singolo il potere di emettere la misura cautelare della custodia in carcere. Si scopre il valore della collegialità, dimenticando che dal 1996 il nostro sistema ha optato per il giudice unico di primo grado. Si ha così che l`accertamento di responsabilità per un gran numero di reati, con pene fino a dieci anni di reclusione, quindi per nulla bagatellari, è affidato alla cognizione di un giudice unico, mentre la custodia cautelare, e non la pena detentiva, sarà affare di un collegio. Ma - ecco le domande tutt`altro che pretestuose - saranno sufficienti 250 magistrati in più, non si sa tra quanti anni presenti in carne e ossa negli uffici giudiziari, per fronteggiare il bisogno aggiuntivo di risorse che la riforma creerà? Si sono fatti i conti con la moltiplicazione delle incompatibilità di molti più giudici, perché più saranno quelli impegnati nella fase cautelare meno saranno quelli in grado di trattare il giudizio di merito? Quale sarà l`impatto nei tribunali di piccole e medie dimensioni? Dopo un giudizio collegiale, confermato da un collegio del Riesame e magari dai cinque giudizi che in Corte di Cassazione respingeranno un ricorso, quali saranno gli spazi di difesa dell`imputato nel giudizio di merito? Non si pongono forse le basi perché le valutazioni cautelari costituiscano un pesante pregiudizio nella fase dell`accertamento delle responsabilità? Questi interrogativi, e spiace doverlo ribadire, non danno corpo a una indebita interferenza con le prerogative di governo e Parlamento, ma sono esercizio di un dovere di parola che vive e prende forza all`interno di una democrazia matura.



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