Il ddl costituzionale (“Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”), presentato alla Camera dei deputati il 13 giugno 2024 (A.C. n. 1917), si propone non solo di separare le carriere dei magistrati ma di ridisegnare in profondità la geografia della giurisdizione. Lo fa con modalità più sottili rispetto ai progetti di legge vertenti su materia analoga all'esame del Parlamento (A.C. 23, 434, 806 e 824 presentati tutti alla Camera il 21 febbraio 2024 e in corso di esame in commissione) ma sempre col proposito di ridimensionare fortemente il ruolo costituzionale della giurisdizione.
Ecco, in sintesi, le modifiche costituzionali in preparazione.
Si creano due distinti CSM, l’uno per la carriera giudicante e l’altro per la requirente. Si prevede una diversa modalità di sorteggio per la selezione dei loro componenti: sorteggio secco per i membri togati, temperato per i laici, questi ultimi estratti a sorte da un elenco di avvocati e professori ordinari di università che il parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante “elezione”. Al CSM viene tolta, con la scusa di dare compimento a un naturale percorso di progressiva autonomia istituzionale della sezione disciplinare (così a pag. 4 della relazione illustrativa al ddl), la materia disciplinare, che viene attribuita all’Alta Corte, composta di quindici giudici, nove dei quali saranno magistrati estratti a sorte – sei giudicanti e tre requirenti – che svolgono, o hanno svolto in passato, funzioni di legittimità, e, i restanti sei, professori ordinari di università o avvocati nominati, nel numero di tre, dal Presidente della Repubblica e sorteggiati, in pari numero, dal parlamento con criteri analoghi a quelli previsti per i due CSM.
Il ddl di riforma dispone che i due attuali componenti di diritto dell’unico CSM, primo presidente e procuratore generale della Corte di cassazione, faranno parte, rispettivamente, del CSM della magistratura giudicante e di quella requirente. Parallelamente, verrà a ridursi di un’unità la componente togata che si occuperà della materia disciplinare, visto che nell’istituita Alta Corte i magistrati avranno nove – e non dieci – seggi su quindici, non mantenendosi, pertanto, l’attuale quota dei due terzi nelle decisioni sul disciplinare.
Analizzando più da presso il testo del ddl costituzionale ci si avvede che la separazione delle carriere è poco più che un pretesto: le carriere, giudicante e requirente, separate dall’art. 3 del ddl di riforma, sono infatti “riunificate” nell’Alta Corte la quale, in discordanza rispetto alle finalità della riforma, si occuperà, in collegi misti, composti anche di giudici e pubblici ministeri secondo criteri da definire con legge ordinaria, dell’applicazione delle sanzioni disciplinari per tutti, indistintamente, i magistrati ordinari.
L’obiettivo reale del ddl costituzionale è trasformare la natura dell’organo di autogoverno: da organo di garanzia di rilievo politico-costituzionale, a necessaria composizione rappresentativa delle diverse anime che compongono la magistratura (Corte cost., sent. n. 142/1973) e in grado di attuare delicati bilanciamenti in materia di amministrazione della giustizia, ad organo burocratico composto di “sorteggiati”, secondo la logica dell’uno vale uno. L’attuale CSM, «pietra angolare dell’ordine giudiziario» come è stato definito dal Giudice delle leggi (Corte cost., sent. n. 4/1986), sarà frazionato in due Consigli, ciascuno dei quali, senza più sguardo d’insieme, avrà competenza sulla sola porzione di giurisdizione, giudicante o requirente, di stretta pertinenza. Non c’è, e d’altronde non lo prevede il ddl costituzionale, alcun organo di raccordo che possa tutelare l’indipendenza esterna dell’ordine giudiziario o affrontare i profili di efficienza della funzione giurisdizionale nella sua interezza.
Il CSM, sia della carriera giudicante che requirente, viene mutilato di una competenza essenziale: la disciplina. Ma estrapolarla dai due CSM vuol dire impedire all’autogoverno di svolgere il suo essenziale compito: la giustizia disciplinare è posta nelle mani del CSM perché è l’organo che cura il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, rispetto al quale la disciplina riveste un ruolo funzionale ad assicurare piena tutela ai singoli cittadini.
I magistrati ordinari – e soltanto loro – subiranno, oltre alla sottrazione della disciplina dall’ambito dell’autogoverno, la privazione dell’elettorato attivo e passivo, così derogando a un basilare principio, immanente nel sistema, di uniformità delle garanzie tra le diverse magistrature. Quella ordinaria, da una parte, e quelle speciali (amministrativa, contabile e militare) dall’altra, le quali sono dotate da sempre di uno statuto costituzionale di indipendenza che rispecchia, e quasi si sovrappone, a quello dei giudici ordinari. Non a caso, la relazione illustrativa al ddl costituzionale precisa che l’intervento riguarda la sola magistratura ordinaria perché «è l’unica di cui tratta espressamente la Costituzione in relazione alla materia disciplinare». Restano nella penna del legislatore analoghe misure che potranno essere adottate, per le altre magistrature, con legge ordinaria.
Con l’obiettivo, demagogico, di ridurre il grado di “politicizzazione” della magistratura ordinaria, il ddl costituzionale vuole, in realtà, colpire al cuore l’associazionismo giudiziario, quasi fosse non un diritto costituzionale ma un male da estirpare. È forse questo il preminente obiettivo della riforma. L’associazionismo giudiziario ha assicurato, mediante rappresentanze autorevoli e “consapevoli” in seno al CSM, l’indipendenza della magistratura per circa sessant’anni, a partire dallo storico congresso ANM a Gardone nel 1965. Il diritto di associazione in magistratura si è sempre esplicato lungo il crinale delle tornate elettorali per il CSM, con il confronto fisiologico tra i gruppi associativi su idee e programmi, sui diversi modi di intendere la giurisdizione per salvaguardarne le essenziali prerogative, che è poi il “mandato costituzionale” conferito all’organo di governo autonomo della magistratura.
Non si vuole più, d’ora in poi, che il CSM possa confrontarsi sulle diverse opzioni ideali riguardanti la giurisdizione né che rappresenti il pluralismo della magistratura, ma si intende, col sorteggio, polverizzare la componente togata in tante “monadi” che dovranno interloquire nel Consiglio superiore con un gruppo di laici avvinti, invece, da un’idealità politica omogenea riconducibile alla maggioranza parlamentare di turno che ne propizierà, mediante elezione, l’inserimento nell’elenco (plausibilmente smilzo) da cui “pescare” i sorteggiati.
La polverizzazione della componente togata, selezionata dalla sorte, sarà funzionale a trasformare i due Consigli superiori in luoghi di amministrazione di interessi particolari, poco più che uffici del personale cogestiti da magistrati-funzionari privi di rappresentatività in quanto designati senza investitura elettiva.
La sottolineatura formale e inedita, grazie al nuovo art. 104 comma primo della Costituzione, dell’esistenza di due distinte “carriere”, giudicante e requirente, configura un ulteriore tassello nel percorso di gerarchizzazione in atto nella magistratura, che viene a rafforzarsi con la previsione della individuazione dei giudici dell’Alta Corte tra i soli magistrati che svolgono, o abbiano svolto, funzioni di legittimità.
In ciò il ddl costituzionale è in continuità con la riforma Cartabia (legge delega 17 giugno 2022, n. 71) e con il decreto delegato (d.lgs. 28 marzo 2024, n. 44), orientati entrambi, in un’ottica efficientista, a verticalizzare la giurisdizione, incoraggiando i magistrati a ripiegare su atteggiamenti di conformismo giudiziario e di subalternità nei confronti dei colleghi dei gradi superiori, dalle cui decisioni dipende il loro futuro perché “il rigetto delle richieste avanzate dal magistrato o la riforma e l'annullamento delle decisioni” (art. 5 d.lgs. n. 44/2024) può già integrare “grave anomalia” sul piano della professionalità.
Qual è lo scenario che si delinea allora, per i cittadini, con questa riforma costituzionale?
Contrariamente ai proclami di esponenti del governo, i tempi dei processi non si ridurranno di un solo giorno né si preannuncia una giustizia più equa ed efficiente o, come è stato prospettato, un mirabolante recupero del PIL del 2%. Tutt’altro. Il pubblico ministero diventerà l’organo dell’accusa che darà supporto giuridico alle forze di polizia, replicandone le logiche. Non sarà più quindi “parte imparziale”, come si suol dire con un felice ossimoro, in quanto disinteressata all’esito del giudizio, assolutorio o di condanna che sia.
Un cambiamento, questo, che porterà con sé un’inevitabile perdita di garanzie per i cittadini che se fino ad oggi potevano vedere nel pubblico ministero un soggetto che ricerca la verità processuale e raccoglie le prove anche a favore dell’indagato, d’ora innanzi assisteranno a un’involuzione della figura in senso autoreferenziale, con un accrescimento del suo potere che porrà le basi per un controllo da parte della Politica. Non è un caso che in tutti i sistemi democratici dove vige la separazione delle carriere il pubblico ministero è soggetto alle direttive del governo.
Ne perderà così la collettività, che vedrà svuotarsi di effettività il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma anche la funzione del pubblico ministero che, svincolata dalla cultura delle garanzie, si troverà giocoforza ripiegata nell’angusto recinto professionale del pubblico accusatore.