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19 giugno 2025

«Per l’Anm è una riforma tutta sbagliata»

Il presidente Parodi ad Avvenire


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di Vincenzo R. Spagnolo

«Il conflitto non è utile a nessuno. Né alla magistratura, né alla politica né tanto meno ai cittadini. Ciò detto, però, bisogna potersi confrontare con serenità su questioni così importanti...». Per il suo aplomb da signore piemontese, per i toni soft adottati nel dibattito pubblico pur senza rinunciare alla sostanza dei contenuti, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Cesare Parodi, può essere definito un “uomo del dialogo”. Procuratore aggiunto a Torino, eletto fra i conservatori di Magistratura indipendente, da febbraio guida la giunta dell’Anm, che si è trovata davanti il moloch del ddl costituzionale sull’ordinamento giudiziario, contenente quella che per il Guardasigilli Carlo Nordio è «la madre di tutte le riforme»: la separazione assoluta fra le carriere di pm e di giudice. Per cercare di far ragionare il centrodestra sulla possibilità di smussare alcuni angoli del testo, Parodi e l’Anm le stanno provando tutte: un confronto con la premier Giorgia Meloni a Palazzo Chigi; un giro di consultazioni con tutte le forze politiche; interviste e manifestazioni per difendere le ragioni della magistratura. Ma Parodi sa bene che tutto il dialogo del mondo potrebbe non bastare. E che, quando il ddl sarà legge, i toni finiranno per farsi ruvidi e il confronto serrato, in vista del referendum costituzionale. Perciò, in questo colloquio con Avvenire, torna a chiedere all’esecutivo e al Parlamento di riflettere sulla necessità di fermare il treno in corsa.

Il Guardasigilli auspica che il dibattito sulla riforma non si tramuti in «uno scontro di civiltà». Potrebbe diventarlo?
Noi non cerchiamo lo scontro, cerchiamo un dialogo su temi che ci stanno molto a cuore. C’è gran differenza tra conflitto e confronto. E noi siamo per il confronto.

Va bene. Ma poi quando un tribunale si pronuncia sull’applicazione di una norma cara all’esecutivo, specie in materia di immigrazione, piovono critiche. E si torna in trincea...
Sì. Ed è una cosa che mi amareggia profondamente, perché non aiuta evidentemente il dialogo. Quando c'è un’accusa di violare i limiti delle sentenze, ovviamente i magistrati sono molto amareggiati. Perché noi non pensiamo che le sentenze non possano essere criticate, ci mancherebbe, ma nemmeno che debbano essere intese come degli sfondamenti dei limiti della sfera giurisdizionale. Ciò accade soprattutto quando si interpreta una norma in maniera diversa da quello che i politici si aspettano. Ma io mi chiedo: quando una nuova legge si inserisce in un contesto complesso, arricchito dal quadro normativo europeo e italiano, i magistrati cosa devono fare? La risposta è semplice: devono adeguare la nuova legge a quello che è il quadro generale normativo.

E ciò rappresenta un problema per la politica, come nel caso dei trattenimenti nei centri in Albania. È così?
In teoria non dovrebbe esserlo. Ma in pratica può diventarlo nella misura in cui, come dicevo, una pronuncia possa portare a risultati differenti da quelli che la politica si aspetta dalla nuova normativa. Eppure, non è certo da parte del giudice un modo di svuotare quella legge, ma d’interpretarla in sintonia con il sistema.

Come si sente quando l’epiteto “toga rossa” viene affibbiato a qualche magistrato?
Che lo si creda o no, in questa fase all’interno dell’Anm c’è un’assoluta sintonia di intenti. Ora, è chiaro che l’associazione è composta da gruppi con sensibilità diverse. Ma per tutti noi l’obiettivo è la difesa dei valori costituzionali. Quindi parlare di “toghe rosse” non ha senso. Posso capire che ciò dia fastidio a qualcuno, perché è facile attribuirci etichette politiche per screditarci. Ma, mi creda, non è così, perché oggi la magistratura associata è rappresentata da tutte le sue componenti, che hanno un obiettivo comune.

Quello cioè di contrastare la riforma costituzionale della giustizia, no?
Quali sono per voi le parti più criticabili del testo? Tutte le parti ci paiono non condivisibili. In generale, come continuiamo a dire ai cittadini, non è affatto una riforma della giustizia.

Perché?
Perché nessuna delle modifiche inserite nel ddl accelererà i tempi dei processi o migliorerà la qualità del servizio. I problemi della giustizia sono altri.

Quali?
Urge una revisione razionale della geografia dei distretti giudiziari. Bisogna intervenire sui malfunzionamenti del sistema penitenziario. E soprattutto colmare l’annosa carenza di uomini e mezzi, delle piante organiche: un pm italiano ha sulla scrivania 1.200 fascicoli l'anno, mentre la media dei suoi omologhi europei arriva appena a 200. Se io ho 6 volte il carico di un pm francese o tedesco, lavorerò in condizioni più difficili e il mio prodotto ne sarà condizionato. Su tutto questo, la riforma come interviene? In nulla. Invece, la separazione assoluta delle carriere ci pare inutile e potenzialmente pericolosa: oggi, nel settore penale, il ruolo del pm, se interpretato correttamente, è quello di indagare a 360 gradi, a garanzia di tutti i cittadini; e quello del giudice ha solide fondamenta costituzionali di terzietà. Con la riforma invece, c’è il rischio che alla lunga, il pm finisca sotto il cappello dell’esecutivo. Nel complesso, ci pare che il ddl miri soltanto a ridimensionare il potere giudiziario in modo significativo e, devo dire, particolarmente avvilente...

Si riferisce al metodo del sorteggio per i rappresentanti eletti nei due nuovi Csm? Per il centrodestra, sarebbe la panacea contro i mali del correntismo.
Un metodo che non condividiamo affatto, estraneo al principio di rappresentatività tipico di ogni forma di partecipazione collettiva. E chi porta a paragone le procedure per formare il Tribunale dei ministri o la Corte d’assise, si confonde: quelli sono organi giurisdizionali, mentre il Csm è un organo di autogoverno.

Il ministro Nordio dice che, una volta passata la legge, quel meccanismo potrà essere corretto. Cosa ne pensa?
Per noi la scelta più ragionevole è consentire l'individuazione dei rappresentanti ai soggetti rappresentati. Se ci saranno meccanismi correttivi, li valuteremo. Ma trovo difficile che un qualsiasi correttivo possa sostituirsi a un principio generale.

Niente sembra rallentare l’iter del testo, su cui il governo continua a spingere. Cosa farete se si dovesse andare, come tutto indica, al referendum?
Ciò che stiamo già iniziando a fare. Con eventi in ogni città, spiegheremo ai cittadini le ragioni della nostra contrarietà e i rischi per il funzionamento della giustizia.

Una discesa in campo che qualcuno ritiene troppo simile a quelle dei partiti. Cosa risponde?
So che ci accusano di questo, ma noi non vogliamo diventare un partito politico. Difendiamo delle idee e crediamo che il meccanismo referendario consenta un dibattito legittimo sulle ragioni del sì e del no. E faremo di tutto, glielo assicuro, per far conoscere le nostre posizioni e per rafforzare l'immagine della magistratura, da troppo tempo oggetto di attacchi strumentali, diretti a evidenziare solo ipotetiche colpe ed errori, senza menzionare mai le condizioni in cui lavoriamo.



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