L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

Tre questioni (più una) sulla responsabilità civile dei magistrati

di Gianluca Grasso - 9 gennaio 2015

pag-18b.jpg

1. Premessa (al di là dei luoghi comuni)
La responsabilità civile dei magistrati costituisce uno dei temi della giustizia più dibattuti in Italia negli ultimi trent'anni, che ha fortemente diviso la politica e l'opinione pubblica e che è parte dell'attuale progetto di riforma del governo. Nel dibattere, tuttavia, di questo argomento sono talvolta emersi due fattori che hanno rischiato di alterare i termini della discussione; da un lato, le logiche corporative, tese a difendere lo status quo, dall'altro le tendenze punitive, dirette a minare i principi di autonomia e di indipendenza della magistratura. Si tratta di due fattori che devono essere messi da parte allo scopo di effettuare una riflessione equilibrata. Prima di affrontare la questione della riforma, è necessario però partire da tre domande fondamentali sulla natura della responsabilità di cui si discorre e sui suoi eventuali limiti.


1.1. Una “professione” come tutte le altre?
Una delle questioni che affiorano quando si discute della responsabilità dei magistrati è quella relativa ai privilegi di immunità che godrebbero rispetto agli altri professionisti. Perché un medico che sbaglia la diagnosi o non esegue diligentemente un intervento chirurgico è chiamato a rispondere del suo operato dinanzi a un Tribunale qualora abbia causato un danno al proprio paziente mentre un magistrato non risponde degli errori compiuti nel corso delle indagini o nell'ambito di un processo e che possono aver determinato gravi danni alle persone coinvolte?
Se quella civile non è l'unica responsabilità cui va incontro il magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, essendovi anche una responsabilità disciplinare e una penale, deve osservarsi come la sua non sia una “professione” come le altre, dovendo essere ricondotta a una delle funzioni essenziali dello Stato, quella giudiziaria. Se il fondamento costituzionale della responsabilità del magistrato è riconducibile all'art. 28 Cost., per cui i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti e, in questi casi, la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici, la peculiarità della funzione giudiziaria, la natura dei provvedimenti giurisdizionali, le garanzie di autonomia e di indipendenza previste dalla Carta fondamentale dei consociati (artt. 101, 104 e 108 Cost.), hanno costantemente indotto la Corte costituzionale (Corte cost. 14 marzo 1968, n. 2, in Foro it., 1968, I, 585; Corte cost., 3 febbraio 1987, n. 26, in Foro it., 1987, I, 638; Corte cost., 19 gennaio 1989, n. 18, in Foro it., 1989, I, 305, con note di Scotti, Pizzorusso) a ritenere legittima e razionale l'esistenza di una disciplina caratterizzata da condizioni e limiti, senza tuttavia giungere alla totale negazione di essa. L'esclusione della responsabilità in toto finirebbe, infatti, per vulnerare sia il precetto della responsabilità dei dipendenti dello Stato (art. 28 Cost.), sia il principio di uguaglianza del trattamento irragionevole rispetto agli altri funzionari (art. 3 Cost.). Le caratteristiche della funzione giudiziaria giustificano, pertanto, la previsione di una disciplina differenziata.
Sotto altro profilo, deve rilevarsi come il rimedio ordinario e fisiologico contro gli atti giudiziari sia l'impugnazione. La questione è allora di stabilire quando l'errore giudiziario, che abbia cagionato un danno, debba essere ristorato con un risarcimento. Tale riflessione va limitata all'area della colpa e del dolo che non integrino fatti costituenti reato, giacché dei comportamenti delittuosi il magistrato già risponde direttamente (art. 13, l. 13 aprile 1988, n. 117).
La disciplina della responsabilità civile dei magistrati, dunque, è chiamata a contemperare i principi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura con il diritto di ogni cittadino a ricevere il ristoro del danno ingiusto. Se quella del magistrato non è una “professione” come tutte le altre, è opportuno affrontare la seconda questione, riguardante la responsabilità diretta o indiretta.


1.2. Responsabilità diretta o indiretta?
Nei confronti di quali soggetti deve essere rivolta la richiesta per la riparazione dell'errore giudiziario o della denegata giustizia? Il tema riguarda la responsabilità diretta o indiretta del magistrato. La disciplina attuale prevede, al di là delle ipotesi di reato, una responsabilità diretta dello Stato che potrà poi esercitare l’azione di rivalsa.
Il sistema abrogato dal referendum del 1988, di cui agli artt. 55, 56 e 74 c.p.c., stabiliva una responsabilità diretta del magistrato, anche se temperata dal vaglio di ammissibilità da parte del Ministro della giustizia che, di fatto, aveva reso la disciplina raramente applicabile, ragion per cui fu promosso il referendum. La l. n. 117/1988 ha invece previsto un'azione diretta verso lo Stato con rivalsa nei confronti del magistrato. Al riguardo, si è ritenuto che questo meccanismo consenta di contemperare l'esigenza di garantire il ristoro patrimoniale degli errori giudiziari con la tutela dell'autonomia e dell'indipendenza del magistrato, che non sarebbe parimenti garantita dall'eventualità di citare direttamente in giudizio il magistrato, esponendolo al rischio di ritorsioni e di azioni intimidatorie tese a impedire il sereno svolgimento della funzione giudiziaria e l'introduzione, di fatto, di un ulteriore meccanismo di impugnazione diretto a contestare la decisione al di fuori delle forme previste (G.M. Flick, La responsabilità civile dei magistrati. Le proposte di modifica tra disinformazione e realtà, in <http://tinyurl.com/kqeojjx>).
Da un punto di vista teorico, quindi, vanno tenute distinte la posizione dello Stato, nel cui interesse viene esercitata la funzione giudiziaria, da quella del magistrato-persona fisica, potendosi legittimamente strutturare una disciplina tesa a distinguere la responsabilità diretta dell'ente statale dalla responsabilità indiretta del magistrato. Tale distinzione è fondamentale anche per comprendere l'orientamento della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che ha sanzionato lo Stato italiano per le limitazioni poste dalla normativa interna non alla responsabilità civile del magistrato-persona fisica ma dello Stato per violazione imputabile all’organo giurisdizionale di ultima istanza.
Questione ulteriore è costituita dalla previsione di filtri di ammissibilità. La disciplina vigente prevede un giudizio di ammissibilità della domanda (art. 5, l. n. 117/1988) che, secondo la Consulta, «garantisce adeguatamente il giudice dalla proposizione di azioni “manifestamente infondate”, che possano turbarne la serenità, impedendo, al tempo stesso, di creare con malizia i presupposti per l’astensione e la ricusazione». Nella pratica, tale filtro ha ridotto significativamente il numero delle domande portate al vaglio della fase di merito, fino quasi ad annullarle, e le proposte di riforma si indirizzano verso l'eliminazione di tale giudizio preliminare, ritenuto un ostacolo alla funzionalità dell'intera disciplina. Il meccanismo del filtro, peraltro, non ha nulla a che vedere con la distinzione tra responsabilità diretta/indiretta, essendo stato concepito come garanzia contro le domande temerarie e intimidatorie.
Questione ulteriore è quella dei danni di cui il magistrato debba essere chiamato a rispondere.


1.3. Quali danni risarcire?
Se l'attività del magistrato non è equiparabile alle altre professioni legali e si connota per caratteristiche che giustificano una disciplina differenziata da quella degli altri dipendenti pubblici, bisogna chiedersi quali siano i danni da risarcire nell'ambito delle funzioni giudiziarie. Sul punto, la l. n. 117/1988, al di là dell'ipotesi del dolo, ha specificato i casi in cui sussiste una colpa grave (art. 2, co. 3), tipizzando anche il caso del diniego di giustizia (art. 3). Inoltre, il legislatore ha introdotto la c.d. clausola di salvaguardia, per cui l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non possono dar luogo a responsabilità (art. 2, co. 2). La legge, su questa linea, ha ampliato la sfera dell’irresponsabilità fino al punto in cui l’esercizio della giurisdizione, in difformità da doveri fondamentali, non si traduca in violazione inescusabile della legge o in ignoranza inescusabile dei fatti di causa, la cui esistenza non è controversa (Corte cost., 19 gennaio 1989, n. 18, cit.).
La ratio è quella di impedire che l'attività di interpretazione, che costituisce l'aspetto proprio della funzione giudiziaria, possa costituire fonte di responsabilità, eccettuato il caso in cui non si incorra nella grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile. Diversamente, si rischierebbe di compromettere la serenità del giudizio.
Tale impostazione ha retto al vaglio della Consulta, ma ha mostrato i suoi limiti nell'ambito più ampio della cornice europea, allorquando la Corte di Giustizia (Corte Giust. Ce, 13 giugno 2006, causa 173/03, Soc. traghetti del Mediterraneo c. Gov. Italia, Foro it., 2006, IV, 417, con note di Scoditti, Palmieri, Giovannetti), facendo applicazione dei principi elaborati in tema di responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario ed estesi in virtù della sentenza Köbler (Corte Giust. Ce, 30 settembre 2003, causa 224/01, Köbler c. Gov. Austria, in Foro it., 2004, IV, 4, con nota di Scoditti) agli organi giurisdizionali di ultimo grado, ha ritenuto essere in contrasto con il diritto comunitario la disciplina vigente che esclude la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado, per il motivo che la violazione risulti da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale e che limita tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave.
Non essendosi l'Italia adeguata alla decisione, la Commissione europea ha promosso una procedura d'infrazione culminata nella successiva sentenza della Corte (Corte Giust. Ue, 24 novembre 2011, causa 379/10, Commiss. Ue c. Gov. Italia, in Foro it., 2012, IV, 13, con nota di Scoditti) che ha accertato il venir meno dell’Italia agli obblighi a essa incombenti in forza del principio generale della responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado. Successivamente, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, la Commissione ha avviato il 26 settembre 2013 una procedura di infrazione per non conformità al diritto dell'Unione della l. n. 117/1988, contestando all’Italia di non aver adottato alcuna iniziativa volta ad adempiere alle prescrizioni contenute nella sentenza della Corte del 24 novembre 2011 e a breve scadrà il termine per darvi esecuzione.


2. Quale riforma?
Nell'attuale legislatura, accantonata la possibilità di introdurre modifiche attraverso la legge comunitaria, diversi sono i progetti di riforma all’esame del Parlamento.
Tra di essi va richiamata la proposta di legge n. 1735, presentata alla Commissione giustizia della Camera, d'iniziativa dei deputati Leva, Verini, Rossomando e Ferranti, che pone l'accento sulla responsabilità civile dello Stato, differenziando il diverso piano della rivalsa nei confronti del magistrato.
Al Senato, alla Commissione giustizia, ove è stato presentato il disegno di legge governativo n. 1626, è in corso di trattazione il disegno di legge n. 1070, d’iniziativa dei senatori Buemi, Nencini e Longo che, pur mantenendo il sistema misto della responsabilità della legge n. 117/1988, introduce la previsione di responsabilità diretta nel caso in cui venga disattesa la consolidata giurisprudenza della Cassazione e rimodula la clausola di salvaguardia sulla manifesta violazione di diritto. All’attenzione della Commissione vi è anche il disegno di legge n. 315, d’iniziativa del senatore Barani, che mira a introdurre un sistema di responsabilità diretta del magistrato concorrente con quella dello Stato.
Il disegno di legge del governo n. 1626 conserva anch'esso il sistema misto della responsabilità diretta dello Stato e indiretta del magistrato disponendo l'eliminazione del filtro sull'ammissibilità della domanda, considerato un ostacolo all'effettività della disciplina.
In relazione all'area della responsabilità, al fine di dare attuazione alle sentenze della Corte di Giustizia, le ipotesi della responsabilità discendente da colpa grave sono legate alla manifesta violazione della legge e del diritto dell'Unione Europea, ovvero al travisamento del fatto o delle prove. In questi casi non opera la clausola di salvaguardia prevista per l'attività di interpretazione delle norme e della valutazione dei fatti e delle prove.
Si interviene, infine, sull'azione di rivalsa, che rimane obbligatoria nel caso di condotta illecita per negligenza inescusabile, portando il termine per proporla da uno a tre anni e innalzando il suo importo fino alla metà dell'annualità dello stipendio.
Con delibera del 29 ottobre 2014, il CSM ha reso un parere sul disegno di legge presentato dal Ministro della giustizia sollevando diversi dubbi sulla legittimità e sull'opportunità di talune modifiche normative contenute nel testo.
I prossimi mesi ci diranno quale sarà l’esito del confronto parlamentare e se si riuscirà a varare la revisione della disciplina nei tempi richiesti dalla Commissione europea. Tuttavia, l'adeguamento alle sole esigenze di compatibilità col diritto dell’Unione, attraverso una diversa considerazione della violazione del diritto interno, costituirebbe una soluzione irragionevole che si porrebbe in contrasto, per disparità di trattamento, con l'art. 3 Cost. Ecco, pertanto, la necessità di un intervento complessivo che, traendo spunto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, individui i casi di violazione manifesta non solo del diritto dell'Unione ma anche della legge.
La necessità di adeguamento ai principi dell'Unione non può tuttavia porre in discussione la permanenza della clausola di salvaguardia per l'attività di interpretazione al di fuori dei casi di violazione manifesta. Deve rammentarsi che la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sui giudici CM/REC (2010), adottata il 17 novembre 2010, nel trattare della responsabilità e dei procedimenti disciplinari, ha precisato che «l'interpretazione della legge, l’apprezzamento dei fatti o la valutazione delle prove effettuate dai giudici per deliberare su affari giudiziari non deve fondare responsabilità disciplinare o civile, tranne che nei casi di dolo e colpa grave» (punto 66).
Alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia, sulla base delle decisioni della Corte di Giustizia e tenendo conto del quadro comparato dei sistemi giudiziari europei (cfr. L.P. Comoglio, La responsabilità civile dei magistrati e dello Stato nell’ottica dei princìpi comunitari, in Questione giustizia, 2013, fasc. 5, 33), che con modalità distinte sono tendenzialmente rivolti all'affermazione di una responsabilità dello Stato in via diretta salva la possibilità della rivalsa, può ritenersi che la disciplina debba continuare a basarsi su un sistema misto, che differenzi la posizione dello Stato da quella del magistrato/persona fisica. La stessa Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 2010 ha precisato che «soltanto lo Stato, ove abbia dovuto concedere una riparazione, può richiedere l’accertamento di una responsabilità civile del giudice attraverso un’azione innanzi ad un Tribunale» (punto 67) e che «i giudici non devono essere personalmente responsabili se una decisione è riformata in tutto o in parte a seguito di impugnazione» (punto 70).


Riguardo al filtro di ammissibilità, i progetti di riforma in discussione tendono a eliminarlo. Sul piano statistico è indubbio che il meccanismo attualmente disciplinato dall’art. 5 abbia ridotto in maniera significativa le domande portate all'attenzione della fase a cognizione piena. Di fatto, la delibazione preliminare, riguardando anche i presupposti dell'azione di cui agli artt. 2, 3 e 4 l. n. 117/1988, ha finito per costituire una sorta di valutazione anticipata del merito della causa. Tuttavia, come sottolineato anche dal CSM nel parere del 29 ottobre 2014 sul disegno di legge governativo, l'eliminazione completa del filtro finirebbe per aumentare sensibilmente il numero delle controversie, anche manifestamente infondate, portate all'attenzione del giudizio di merito, che si andrebbero a sommare al contenzioso civile pendente presso gli uffici giudiziari. La delibazione preliminare, invero, potrebbe limitarsi alle sole condizioni formali per l'esercizio dell'azione, senza involgere il merito della causa. In questo modo, si manterrebbe un filtro contro le azioni temerarie senza pregiudicare il merito del contenzioso, rimesso a una fase successiva, che secondo il Consiglio dovrebbe svolgersi dinanzi a un giudice diverso.

Autore
Gianluca Grasso
Magistrato di Tribunale destinato alla Corte di Cassazione

LA DISCIPLINA DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI È CHIAMATA A CONTEMPERARE I PRINCIPI DI AUTONOMIA E INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA CON IL DIRITTO DI OGNI CITTADINO A RICEVERE IL RISTORO DEL DANNO INGIUSTO Gianluca Grasso