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Responsabilità giudici: no slogan, più equilibrio

di Rodolfo M. Sabelli - 9 gennaio 2015

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La riflessione sul tema della responsabilità civile dei magistrati deve muovere da quel che la responsabilità civile è (un istituto con funzione risarcitoria) e, ancor più, da quel che non è: non è sanzione né strumento di controllo della qualità del giudizio e della professionalità dei magistrati; non è rimedio agli errori del processo; non è mezzo di equilibrio dei rapporti fra politica e magistratura. Non è, insomma, proprio quel che un dibattito inquinato da superficialità e da strumentalizzazioni pretenderebbe che fosse. Si capisce, allora, perché l’argomento abbia appassionato i politici più che i giuristi, perché si sia discusso più di responsabilità che di efficacia del processo e perché la sua riforma marci spedita più di quella della prescrizione o dei mezzi di contrasto a certi gravi fenomeni criminali. Dunque, abbandonati gli slogan da discount delle banalità (chi sbaglia paga! lo vuole l’Europa!), c’è da chiedersi se la legge Vassalli meritasse tante critiche, quale possa essere una riforma equilibrata e se il disegno di legge in discussione realizzi un sistema più equo e più efficace.
Com’è noto, nel 1988 fu introdotto un sistema basato sulla responsabilità dello Stato per i danni cagionati con dolo o colpa grave (quest’ultima limitata a casi ben definiti), escluso ogni sindacato sull’interpretazione di norme di diritto e sulla valutazione del fatto e delle prove. Solo in caso di condanna, lo Stato agisce in rivalsa contro il magistrato. A dispetto di facili dicerie, si tratta di una delle legislazioni più avanzate, a fronte dei sistemi – per limitarsi a pochi esempi – che tutelano l’integrale immunità dei giudici (Regno Unito, USA, Canada, Israele), di quelli che prevedono la sola responsabilità dello Stato (Paesi Bassi) o che consentono la rivalsa solo in caso di condotta dolosa (Francia, Belgio, Portogallo).
Va smentita anche l’altra vulgata secondo la quale una disciplina della responsabilità civile ritagliata per una specifica categoria professionale sarebbe l’eccezione e non la regola: si pensi a quanto previsto per le prestazioni tecniche di speciale difficoltà (art. 2236 c.c.), per gli insegnanti (art. 61 legge n. 312/1980), per i medici (art. 3 d.l. n. 158/2012).
È ovvio che quanti esercitano la funzione giudiziaria – al pari delle altre funzioni pubbliche – non possono essere svincolati da limiti e da controlli: del resto, ciò avviene grazie agli strumenti processuali o col giudizio disciplinare o in sede di valutazione di professionalità. La responsabilità civile, la cui iniziativa è rimessa alla scelta casuale di una parte privata, solleva però il problema della sua compatibilità con l’indipendenza del magistrato, tanto più che la funzione giudiziaria opera in genere su situazioni litigiose, con l’alto rischio che la parte soccombente ribalti sul magistrato quella litigiosità.
Dunque, i punti principali della disciplina consistono nella definizione dei casi di responsabilità e nelle forme dell’azione. Non è un caso che su tali aspetti si soffermi, nel paragrafo dedicato alla responsabilità, la raccomandazione del consiglio dei ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa (n. 12 del 2010) e può quindi sorprendere che proprio su quegli aspetti si siano maggiormente concentrati i tentativi di sfondamento del sistema. In realtà, se ne comprende la ragione, se si pensa alla tensione politica che si è addensata sull’argomento e che rende quasi impossibile un approccio meno pregiudiziale e più oggettivo.
Così, è accaduto che sia stata periodicamente reiterata la proposta – di evidente incostituzionalità – di introdurre l’azione diretta contro il magistrato o quella, analoga, di prevedere forme più o meno occulte di litisconsorzio necessario del magistrato nel giudizio contro lo Stato. Proposte – da ultimo respinte dal Senato – ben consapevoli del fatto che il condizionamento sull’imparzialità della giurisdizione deriva dall’azione in se stessa, ancorché infondata, piuttosto che dal suo esito, anche per gli effetti processuali di incompatibilità che può generare; proposte che consegnerebbero uno strumento di forte pressione nelle mani della parte più dotata di risorse e più disposta a concepire il Tribunale – secondo un andazzo à la page – come arena di una guerra all’ultimo sangue, piuttosto che come luogo di giustizia e di composizione delle liti nel processo e col processo.
Figlia di un preconcetto diffuso è l’eliminazione – da tutti chiesta a gran voce – del filtro di ammissibilità, oggi previsto dall’art. 5 della legge Vassalli, del quale nemmeno è prevista la sostituzione con altri strumenti in grado di scoraggiare le liti temerarie. Così, certo, non si introduce l’azione diretta ma si spalancano le porte alle azioni ritorsive, strumentali, prive dei requisiti minimi di sostanza o di forma, come dimostra l’esame dei casi in cui il filtro ha operato, se solo si avesse la pazienza di esaminarli, senza limitarsi a ripetere qualche slogan. Una scelta, per di più, che va in controtendenza rispetto all’estensione, in campo civile, degli strumenti deflativi, con lo scopo di scoraggiare il ricorso alla lite. Ma tant’è: chi sbaglia paga! lo chiede l’Europa! E via banalizzando.
Quanto ai casi di responsabilità, talune proposte vorrebbero introdurre il sindacato sull’adeguatezza della motivazione o sull’interpretazione della legge, ove questa si discosti dai precedenti di legittimità a sezioni unite senza specifica motivazione, come se il danno potesse derivare da decisioni giuste, sol perché prive di motivato dissenso. Se col voto recente il Senato ha respinto simili storture, che colpiscono l’essenza del giudicare, nel disegno di legge non mancano preoccupanti novità. Senza pretesa di completezza, si osserva che il legislatore ha preservato la clausola di salvaguardia dell’interpretazione – corollario di elementari principi costituzionali – mentre la negligenza inescusabile, sottratta al perimetro della responsabilità dello Stato, diviene condizione per l’esercizio della rivalsa, con conseguente disallineamento fra responsabilità dello Stato e responsabilità del magistrato. La nozione di responsabilità viene mutuata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (violazione manifesta del diritto comunitario), estesa alla violazione della legge nazionale, innestata sulla preesistente casistica della legge Vassalli e integrata con l’inclusione dei provvedimenti cautelari reali, con la generalizzata risarcibilità dei danni non patrimoniali e – inopportunamente – con la nuova ipotesi del travisamento del fatto e della prova.
Il travisamento è categoria già nota, in tema di ricorso per cassazione, con riguardo ai vizi della motivazione, oltre che in materia di rimedio revocatorio (art. 395 c.p.c.). Esso costituisce un’insidia, che potrebbe trascinare la responsabilità civile sul piano del sindacato della motivazione e del merito. Andrebbe quindi espunto dall’ambito della responsabilità o, al più, confinato espressamente alle ipotesi più estreme e più evidenti.


In conclusione, il disegno di riforma non si sottrae alle suggestioni che vengono da campagne martellanti e che finiscono col confondere ed intralciare una riflessione più attenta e più critica su un tema, quello della responsabilità, dei magistrati come di ogni altro titolare di una pubblica funzione, che è fondamento del rapporto di fiducia e della stessa legittimazione di ogni autorità.

Autore
Rodolfo M. Sabelli
Presidente dell’ANM

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA OPERA IN GENERE SU SITUAZIONI LITIGIOSE CON L’ALTO RISCHIO CHE LA PARTE SOCCOMBENTE RIBALTI SUL MAGISTRATO QUELLA LITIGIOSITÀ Rodolfo M. Sabelli