L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi alla protezione internazionale

di (delibera del CSM del 15 marzo 2017) - 29 maggio 2017

alberto-ollo-expreso-de-macedonia.jpg  https://www.flickr.com/photos/alberto_ollo/  https://www.flickr.com/photos/alberto_ollo/

  1. Le linee guida, il procedimento di formazione delle tabelle e le modifiche legislative


Il Consiglio è già intervenuto sul tema della protezione internazionale con la delibera del 14 luglio 2016 ed è ora ben consapevole della necessità di un ulteriore intervento, atto a garantire una miglior risposta di giustizia a fronte della crescita esponenziale del fenomeno dei flussi migratori e, conseguentemente, dei procedimenti di protezione internazionale.


Da qui la necessità di offrire le seguenti linee guida agli uffici giudiziari interessati dalla competenza per i procedimenti di protezione, pur nella consapevolezza che l’intervento legislativo operato con il recente D.L. 17 febbraio 2017 n. 13, istitutivo delle sezioni specializzate, sulla medesima materia richiederà ulteriori aggiornamenti, alla luce del dettato dell’art. 2 comma 2, che attribuisce al Consiglio il potere di normare in merito all’organizzazione delle sezioni specializzate.


Con tale decreto legge, pubblicato sulla G. U. del 17 febbraio 2017 ed entrato in vigore il giorno successivo, l’Esecutivo si propone di dettare un insieme di disposizioni volte a far fronte alla situazione emergenziale dovuta alla crescita esponenziale delle domande per il riconoscimento della protezione internazionale e alla conseguente esigenza di affermare, così anche prestando ossequio al complesso ordito normativo di origine costituzionale, sovranazionale e euro-unitario (cfr. infra § 3), il principio di effettività ed efficacia della risposta giurisdizionale.


Il decreto legge si compone di 23 articoli, distribuiti in quattro capi. Il primo capo disciplina, segnatamente, l’istituzione presso i tribunali ordinari di Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Palermo, Roma, Napoli, Torino e Venezia di sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea.


Esse sono attributarie di una competenza allargata sia ratione materiae, giusta la disposizione dell’articolo 3, sia ratione loci, estendendosi questa ex articolo 4 per le sezioni istituite presso i tribunali di Bologna, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Palermo, Napoli, Torino e Venezia anche oltre il distretto di Corte d’appello di appartenenza e per per le sezioni istituite presso i tribunali di Bari, Cagliari e Milano nei limiti del distretto di Corte d’appello di appartenenza.


Tali previsioni, in uno ad altre di stampo più prettamente processuale, si applicano, in virtù della disposizione transitoria di cui all’ articolo 21, comma 1, alle cause e ai procedimenti giudiziari sorti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto de quo. Di rimbalzo anche l’articolo 5, rinviando esso alle materie di cui all’articolo 3, acquista efficacia solo dopo tale data.


Mentre sono di apparente immediata applicazione, limitandosi qui l’esame alle norme di tipo ordinamentale, l’articolo 1 che istituisce presso i detti quattordici tribunali le sezioni specializzate in materia di immigrazione e l’art. 2 secondo cui i giudici che compongono le sezioni specializzate sono scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze, con i conseguenti oneri formativi della Scuola, tenuta ad assicurare la costante formazione del corpo magistratuale. Al riguardo, è necessario operare una lettura combinata dell’intero intento riformatore per cui, posto che la ratio di tali sezioni specializzate risiede proprio nel cennato ampliamento della competenza oggettiva e territoriale delle stesse, è auspicabile che il legislatore, in sede di conversione, differisca l’entrata in vigore anche di tali disposizioni dopo il centottantesimo giorno decorrente dal 18 febbraio 2017.


Diversamente, può opinarsi che il legislatore abbia inteso istituire immediatamente le sezioni specializzate presso gli elencati tribunali, salvo intendere che esse acquistino concreta operatività solo dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto de quo. In altri termini, vuolsi che a tale data le sezioni siano immediatamente funzionanti senza che si perda altro tempo per istituirle e destinarvi magistrati.


Così si spiega anche il portato dell’articolo 2, comma 2, in base al quale il Consiglio superiore deve dettare disposizioni organizzative entro il detto termine dilatorio.


Nel frattempo, l’incertezza in merito all’esito dell’iter di conversione del decreto, che potrebbe incidere anche arricchendo o limitando l’elenco dei Tribunali ordinari sedi delle sezioni specializzate; la circostanza che tali sezioni riceveranno per nuova competenza le <cause ed i procedimenti sorti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore> del decreto legge (art. 21), dunque solo dal 18 agosto 2017; l’ulteriore circostanza che medio tempore presso gli indicati Tribunali, come anche presso i Tribunali titolari dell’attuale competenza, verranno trattate le procedure di protezione internazionale secondo le regole vigenti prima del 18 febbraio 2017; infine, l’attualità e la prossima scadenza dell’iter tabellare, prevista per l’aprile 2017 impongono comunque un intervento consiliare, fatta salva ogni ulteriore determinazione in merito alle modifiche normative, sia con il parere che il Consiglio renderà nell’ambito delle proprie prerogative in ordine al decreto legge, sia con il futuro aggiornamento delle presenti linee guida.


Va da subito evidenziato che le presenti linee guida sono già coerenti con il principio di specializzazione previsto dall’art. 2 comma 2 del predetto decreto legge. L’annunciata delibera di dettaglio organizzativo, in merito alle sezioni specializzate, per altro non si discosterà dalle linee guida che seguono, proposte agli uffici giudiziari oggi competenti, al fine di favorire la definizione delle procedure di protezione internazionale con una risposta di giustizia di qualità.


E d’altro canto, con separata delibera, il Consiglio provvederà a prorogare i termini per il deposito delle proposte tabellari, proprio al fine di consentire ai dirigenti degli uffici giudiziari interessati di modulare l’organizzazione a fronte della definitiva normativa primaria, a seguito della conversione del decreto legge n. 13 del 2017, alla quale seguirà la delibera consiliare di dettaglio per l’istituzione delle sezioni specializzate.



  1. Il fenomeno migratorio ed i procedimenti per il riconoscimento della protezione internazionale


Il fenomeno migratorio si è intensificato verso l’Europa dal 2011, a partire dalle cd. primavere arabe, e ancor più si è incrementatoa causa del conflitto nell’area siro-irachena, assumendo caratteristiche che nel corso del biennio appena passato hanno coinvolto l’Unione Europea in modo significativo, con l’afflusso di un milione di profughi siriani.


I dati forniti dall’UNHCR per il biennio 2015/2016, quanto agli sbarchi dal Mediterraneo sulle coste italiane, accertano un incremento del 15% circa, dunque un dato in crescita, con prevalenza di nazionalità nigeriana ed eritrea.


Se il fenomeno delle migrazioni scaturisce dall’instabilità, dai conflitti nell’area mediorientale e dalle complesse situazioni etnico-religiose e politiche dell’Africa sub sahariana, oltre che dalle persecuzioni per ragioni religiose, dai disastri ambientali, dalla nuove forme di schiavitù nel lavoro, non di meno le cause delle migrazioni non si risolvono solo in questi ambiti, ma trovano una loro origine anche nelle disparità delle condizioni sociali, umane, economiche tra le diverse parti del pianeta, amplificate dalla globalizzazione delle informazioni.


Il fenomeno migratorio ha ormai assunto carattere strutturale e conseguentemente, seppur con alcuni fisiologici scostamenti connessi anche alla distribuzione dei migranti richiedenti asilo sul territorio nazionale, che radica la competenza territoriale, i Tribunali competenti sono destinatari di un flusso sostanzialmente stabile di ricorsi avverso le decisioni delle Commissioni territoriali.


A riprova di ciò basti considerare che dalle verifiche effettuate dall’Ufficio Statistico del Consiglio nell’arco temporale da gennaio a dicembre 2016, risulta che siano stati iscritti in primo grado con il nuovo codice oggetto Sicid 110032, introdotto dal Ministero della Giustizia solo dal 1 gennaio 2016, n. 46.131 procedimenti e ne siano stati definiti n. 13.461 con il medesimo codice.


Dal monitoraggio operato dalla Settima Commissione del Consiglio emerge altresì che per gli affari indicati non sempre è stato utilizzato il nuovo codice oggetto specifico e non sempre è stato effettuato il cambiamento di codice per i fascicoli iscritti precedentemente all’introduzione del codice 110032. In tal senso deve invitarsi la Direzione Generale per i Servizi Informativi Automatizzati presso il Ministero della Giustizia a promuovere la migrazione dal codice precedente al codice specifico ed a garantire assistenza agli uffici che dovessero richiederla.


Or bene, se per un verso le definizioni indicate sono risultate numericamente basse in quanto molto probabilmente gli uffici si sono concentrati sulla definizione dei procedimenti iscritti precedentemente e quindi con differenti codici oggetto, grazie alle informazioni raccolte presso gli uffici giudiziari, attraverso il monitoraggio predisposto dalla Settima Commissione del Consiglio, può stimarsi, seppur per difetto, che siano stati definiti n. 20442 procedimenti.


Anche il solo dato certo, quello delle iscrizioni avvenute con l’appropriato codice oggetto (n. 46.131), dimostra comunque le dimensioni del fenomeno e il numero delle sopravvenienze. E, d’altro canto, emerge con assoluta evidenza come cresca l’impegno della magistratura italiana, secondo quanto attestano dai dati dell’ultimo bimestre del 2016: in primo grado, a fronte di un incremento delle sopravvenienze con il codice SICID appropriato del 22%, vi è un incremento delle definizioni del 41%, mentre in secondo grado le rispettive percentuali sono del 41% e del 70%.


In buona sostanza risulta un indice di ricambio positivo in relazione all’ultimo bimestre.


L’incremento significativo del numero dei ricorsi palesa la necessità di un ulteriore cambio di passo nell’ambito dell’organizzazione degli uffici giudiziari, che consenta di far fronte a tale contenzioso, pur nella consapevolezza della insufficienza di risorse, con un investimento adeguato di personale di magistratura nonché declinando, nel modo in cui si dirà, i principi di specializzazione, non esclusività, flessibilità, garantendo in tal modo il rispetto delle esigenze di celerità.


Il recente seminario su “Giurisdizione e protezione internazionale”, tenuto presso la sede consiliare il 26 settembre 2016, ha consentito di dare inizio a un processo di ascolto in merito alle prassi messe in atto nei singoli uffici giudiziari, processo che ha avuto un suo seguito con il monitoraggio effettuato dalla Settima commissione consiliare, nonché nel recentissimo incontro avuto con i Presidenti dei Tribunali il 17 febbraio 2017: negli uffici giudiziari cresce la consapevolezza da parte di dirigenti e magistrati della necessità di una diversa organizzazione e varie sono le soluzioni organizzative approntate.


Proprio a partire da questa fase di ascolto e di monitoraggio delle prassi sperimentate negli uffici giudiziari, il Consiglio ritiene necessario intervenire con le presenti linee guida, al fine di ribadire la natura prioritaria da assegnare alla trattazione dei procedimenti riguardanti la protezione internazionale e per sollecitare ulteriormente in tal senso dirigenti e magistrati.


Tale priorità scaturisce da tre ragioni fondamentali. In primo luogo il diritto del richiedente asilo afferisce ai diritti inviolabili dell’uomo. Pertanto occorre riconoscerne o negarne tempestivamente la protezione internazionale, anche al fine di evitare il permanere a lungo degli stranieri nelle strutture di accoglienza: una risposta di giustizia in un tempo adeguato e ragionevole evita il prolungarsi dell’attesa, che alimenta nel richiedente asilo situazioni di inerzia, di parassitismo, se non a volte forme di disagio mentale.


Tale priorità è confermata anche dal termine semestrale previsto dal legislatore per la trattazione del procedimento, da ultimo ridotto a quattro mesi (cfr. art 19, comma 9 del d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, così come modificato dal d.lgs. 18 agosto 2015 n. 142, nonché l’art. 6 lett. g) del d.l. 13/17). In secondo luogo, connessa all’esigenza del richiedente asilo di una celere risposta di giustizia, vi è anche una ragione di finanza pubblica, inerente ai costi connessi e sostenuti dal sistema di accoglienza.


Terzo profilo di priorità è legato all’accertamento della presenza degli stranieri sul territorio nazionale, con la possibilità di distinguere, in forza del principio di legalità, quanti abbiano diritto alle forme di protezione internazionale e quanti invece non abbiano titolo a restare sul territorio italiano e vi siano giunti in dispregio della normativa sull’immigrazione.


Tali ragioni giustificano un investimento per una risposta di giustizia di qualità e caratterizzata da tempestività, nella prospettiva di dar contenuto concreto all’invito mosso dal Presidente Mattarella, nel suo intervento presso il Centro Astalli il 20 giugno 2016 per la Giornata Mondiale del Rifugiato, affinché si affronti il «fenomeno migratorio con senso di realtà e di responsabilità, governandolo in maniera solidale, intelligente e consentendo di regolarlo con ordine e in sicurezza».



  1. Le fonti nazionali e sovranazionali del diritto alla protezione internazionale


L’Organo di governo autonomo ha sempre connesso le proprie delibere al complessivo quadro costituzionale, sovranazionale ed euro unitario, cercando, pur nella scarsezza delle risorse umane e materiali che connota il servizio giustizia, di inverare i diritti fondamentali oggetto di tutela in siffatti procedimenti.


È opportuno ricapitolare, al fine di rappresentarne la priorità normativa, quali siano le plurime fonti internazionali, eurounitarie e nazionali che sanciscono il diritto alla protezione internazionale: Lo status di rifugiato trova un suo primo fondamento nell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28/7/1951, ratificata con l. 24/7/1954, n. 722, come modificata dal Protocollo aggiuntivo del 31/1/1967 relativo allo statuto dei rifugiati, ratificato con la l. 14/2/1970, n. 95.


Per tale Convenzione è rifugiato chiunque sia a ragione timoroso di esser perseguitato a cagione della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un certo gruppo sociale e, a causa di tal timore, non vuole richiedere la protezione di tal paese; o che, se non ha nazionalità [apolide] e si trova fuori del paese nel quale aveva la sua residenza abituale, in ragione di tali accadimenti, non può o, a causa di tal timore, non vuole ritornarvi.


Il principio fondante della Convenzione è quello di non-refoulement, cioè di non respingimento: lo Stato richiesto dell’asilo ha il divieto di restituire il richiedente asilo allo Stato di cittadinanza o di origine. Interagisce nella materia anche la Carta EDU, che tutela, all’art. 2, il diritto alla vita; proibisce, all’art. 3, la tortura e i trattamenti degradanti e, all’art. 4, la schiavitù; garantisce, all’art. 5, il diritto diritto alla libertà e sicurezza; vieta, all’art. 4 del Protocollo Addizionale n. 4, le espulsioni collettive.


Del pari, la Carta di Nizza (che, per effetto del “Trattato di Lisbona” ha il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, ed è pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri), oltre a richiamare all’art. 18 la Convenzione Ginevra, all’art. 19 vieta le espulsioni collettive, precisando che «nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti». L’articolo 2 TUE (Trattato sull’Unione europea) riporta un elenco di valori sui quali si fonda l’Unione: questi includono il rispetto dello Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani. L’articolo 78, paragrafo 1, TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) così recita: «L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra [...], e agli altri trattati pertinenti».


Com’è noto anche la Costituzione italiana garantisce il diritto di asilo. L’art. 10 comma 3 della Costituzione, infatti, così recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».


La disposizione si colloca, invero, entro il principio generale delineato dal primo comma del medesimo articolo di conformazione dell’ordinamento giuridico italiano alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, fra cui, certamente, vi rientra la Convenzione di Ginevra.


Di qui si è configurato il diritto di asilo come diritto soggettivo perfetto e incomprimibile in capo al non cittadino, straniero o apolide, spettante al soggetto cui siano impedite nel paese di provenienza le libertà di cui alla nostra Costituzione.


Infine, nel diritto interno, la materia inerente al riconoscimento della protezione internazionale è disciplinata da una pluralità di fonti normative attuative di direttive comunitarie. L’art. 2 comma 1° lett. e) e f) del d.lgs. del 19.11.2007 n. 251 definisce lo status di rifugiato.


In particolare, tale decreto definisce “rifugiato” «il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure se apolide che si trovi fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni su citate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all’art. 10».


Ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, inoltre, gli artt. 7 e 8 del menzionato decreto legislativo contengono la definizione di atti di persecuzione e dei motivi della persecuzione, individuati in riferimento alla razza, al credo religioso, alla nazionalità, all’appartenza ad un particolare gruppo sociale alle opinioni politiche.


Il sistema di protezione internazionale contempla poi un’altra misura in cui si invera il diritto di asilo: la protezione sussidiaria, prevista dall’art. 2 comma 1 lett. g) e h) del d.lgs. n. 251/2007, che dev’essere riconosciuta al cittadino straniero che non possieda i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine o, nel caso di apolidia, di precedente dimora, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e non possa o, a causa di tale rischio, non voglia, avvalersi della protezione di detto Paese. Una terza forma di protezione, di carattere nazionale, in cui si articola il diritto di asilo, è quella della protezione umanitaria, concretizzantesi nel permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’art. 5 comma 6 del d.lgs. n. 286/1998.



  1. I precedenti interventi normativi e consiliari e lo strumento dell’applicazione extradistrettuale straordinaria


Il rilievo dei diritti coinvolti impegna quindi la giurisdizione anche in merito all’organizzazione giudiziaria in materia di protezione internazionale: plurimi sono stati gli interventi sin qui svolti dal Consiglio sul tema.


 4.1. Il piano di applicazioni straordinarie extradistrettuali


Già con la formulazione del parere reso con delibera del 16 luglio 2015 al Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 10, secondo comma, l. 195/1958 in occasione della conversione in legge del decreto 27 giugno 2015, n. 83 sulle “disposizioni in materia di organizzazione degli uffici giudiziari e di Giustizia”, il Consiglio ha auspicato la previsione normativa dell’istituto dell’applicazione straordinaria che avrebbe consentito di offrire «una risposta, sul piano ordinamentale, all’emergenza connessa agli imponenti fenomeni di migrazione attualmente in corso nelle regioni dell’Africa e del Medio Oriente, direttamente interessate o comunque coinvolte in scenari di guerra. Tali drammatiche vicende, infatti, alimentano continui flussi di persone che, in fuga dai Paesi di origine, raggiungono i confini, terrestri e marittimi, dello Stato Italiano, al quale, nella maggior parte dei casi, chiedono il riconoscimento dello status della protezione umanitaria, accordata ai rifugiati dai trattati internazionali. Accanto ai relativi procedimenti giurisdizionali, si registra, ovviamente, un aumento degli ulteriori procedimenti, sia penali che civili, connessi all’ingresso di migranti nel nostro Paese».


Il legislatore ha poi dato seguito a quanto auspicato dal Consiglio con la richiamata delibera. Infatti, in sede di conversione del decreto legge, la l. 6 agosto 2015, n. 132, ha introdotto l’art. 18 ter, che regola le applicazioni straordinarie e affida al Consiglio il relativo piano straordinario17. Tale disposizione ha avuto immediata attuazione da parte del Consiglio, il quale, sin dalla delibera del 23 settembre 2015, ha avviato il piano straordinario di applicazioni extradistrettuali, diretto a fronteggiare l’incremento del numero di procedimenti giurisdizionali connessi con le richieste di accesso al regime di protezione internazionale e umanitaria da parte dei migranti presenti sul territorio nazionale.


Piano di applicazione che ha trovato completa esecuzione con i provvedimenti riguardanti i singoli magistrati, che hanno consentito finora l’applicazione di 18 giudici destinati a far fronte alle emergenze in sede civile e penale connesse ai flussi migratori, tenendo conto del peculiare sistema della ripartizione territoriale della competenza in materia e dell’aumento esponenziale delle procedure impugnatorie sottoposte al vaglio dell’autorità giurisdizionale.


Il Consiglio ha disposto la destinazione quasi esclusiva dei magistrati applicati in via straordinaria al settore civile – e non penale – proprio per facilitare la trattazione delle procedure di protezione internazionale. Tale scelta, in linea con la priorità costituzionale già espressa, vede i magistrati applicati progressivamente sempre più specializzati nella materia.


Data la straordinarietà dello strumento e la necessità di giustificare il “sacrificio” della perdita temporanea di un magistrato per gli uffici cedenti, il Consiglio ha richiesto ai dirigenti degli uffici giudiziari di destinazione una relazione semestrale sugli esiti della applicazione, anche al fine di valutare se prorogarla ulteriormente.


Si tratta di uno strumento che alla fine del quinto mese di applicazione a partire dal 18 gennaio 2016 ha visto i primi magistrati, quelli destinati ai Tribunali di Bari, Brescia, Catania, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Roma, divenire assegnatari complessivamente di 5620 procedimenti pendenti, già provvedendo costoro alla definizione per circa il 30% dei procedimenti.


Dalla seconda relazione semestrale emerge che nel primo anno di applicazione i magistrati presso i Tribunali di Bari, Catania, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Roma hanno definito 3669 procedimenti, con una media di 610 procedimenti per ciascun applicato. ipotesi i diciotto mesi - e che la stessa sia rinnovabile per un periodo non superiore ad ulteriori sei mesi, così da rendere omologa il periodo di durata massima dell’applicazione generale del citato comma 5, a mente del quale l’applicazione “nei casi di necessità dell’ufficio al quale il magistrato è applicato può essere rinnovata per un periodo non superiore ad un anno”.


Al fine di incentivare le manifestazioni di disponibilità dei magistrati alle applicazioni in esame, si potrebbero prevedere inoltre il riconoscimento, nelle procedure di trasferimento successive, di un punteggio di anzianità aggiuntivo parametrato alla durata dell’effettivo esercizio delle funzioni in applicazione, oltre all’indennità di cui all’articolo 2, della l. 4 maggio 1998, n. 133.


Una norma di chiusura potrebbe prevedere la facoltà del Consiglio superiore della magistratura di utilizzare lo stesso istituto delle applicazioni extradistrettuali straordinarie per far fronte a diverse situazioni di eccezionale rilevanza e sofferenza di altri uffici giudiziari. Questi dati confermano la bontà dello strumento, per quanto non risolutivo, che il legislatore ha fornito al Consiglio.


Non di meno devono registrarsi alcune criticità. In primo luogo la scopertura dell’organico nazionale della magistratura ha determinato la Settima Commissione a non dare corso a quelle applicazioni che avrebbero determinato un aggravio nella funzionalità nell’ufficio cedente, già gravato da scoperture significative o carichi di lavoro eccessivi. Pertanto sono ancora in corso i bandi per i posti di Catania e Caltagirone, nonchè Reggio Calabria, posto nuovamente pubblicato.


In secondo luogo, in alcuni casi l’ingresso dei magistrati applicati ha richiesto un tempo di adattamento per acquisire competenze e specializzazione, cosicchè deve prevedersi una particolare cura formativa per quanti saranno applicati, proprio per ridurre quel lasso temporale. In prospettiva, conformemente a quanto previsto nel recente intervento legislativo occorre che il Consiglio inviti la Scuola Superiore della Magistratura, che già profonde un notevole impegno, a organizzare dei corsi speciali di aggiornamento nella materia, affinchè possano essere acquisite competenze prima dell’interpello per le applicazioni, tenuto conto della prossima scadenza a seguito di proroga prevista per gennaio 2018.


Pertanto, auspicabilmente, i corsi già in calendariopotranno essere duplicati, in sede centrale o decentrata, entro il mese di settembre 2017, così da precedere gli interpelli per le applicazioni, che a loro volta dovranno essere pubblicati entro il mese di ottobre 2017, in modo da consentire la selezione degli applicati ed il loro subingresso senza soluzione di continuità alla scadenza del gennaio 2018, per la migliore funzionalità degli uffici.


Dovrà darsi valore, nella procedura di selezione, alla partecipazione a corsi di formazione nonché ad esperienze professionali specialistiche pregresse. Inoltre, andrà valutata caso per caso dal Consiglio la possibilità di rinnovare l’applicazione del medesimo magistrato, a seguito della pubblicazione del relativo posto, su richiesta del magistrato e del dirigente dell’ufficio beneficiato, in ragione del rilievo dei risultati ottenuti nel periodo di applicazione e degli obiettivi da raggiungersi, fatta salva la verifica comparativa fra le esigenze degli uffici di provenienza e di destinazione del magistrato applicato.


Ciò consentirebbe di non disperdere l’acquisita specializzazione e di non arrestare programmi organizzativi virtuosi già in atto.


4.2. Gli altri interventi consiliari


Il Consiglio, in data 14 luglio 2016, ha deliberato una pluralità di ulteriori interventi, al fine di meglio monitorare e governare il servizio giustizia in materia di protezione internazionale. Il primo di tali interventi è già in atto ed è consistito nella creazione dell’area tematica in materia di “giustizia e protezione internazionale”, nell’ambito del più complessivo programma di reingegnerizzazione del sito consiliare.


Si tratta di un ausilio che verrà offerto quanto prima al giudice della protezione internazionale dal Consiglio, che provvederà al popolamento dei dati, a cura della Settima commissione, come sancito con la richiamata delibera: ciò consentirà anche una rapida specializzazione, che potrà offrire la ricognizione delle fonti normative, la raccolta e pubblicazione delle COI (Country of Origin Information), grazie all’interlocuzione con il Ministero dell’Interno e con altri organismi internazionali che predispongano affidabili report sulla situazione dei vari Paesi di origine dei richiedenti protezione. In particolare è prossima la stipula di un protocollo fra il Consiglio e il Ministero dell’Interno, al fine di consentire l’accesso riservato alle COI ai giudici ed ai pubblici ministeri della protezione internazionale.


Si sta anche predisponendo l’area per la raccolta organizzata dei casi affrontati nella giurisprudenza di merito, di legittimità e comunitaria, nonché dei contributi di dottrina in materia di protezione internazionale. Con la richiamata delibera, inoltre, il Consiglio ha disposto un monitoraggio negli uffici interessati dalla trattazione dei procedimenti di protezione internazionale. I risultati di tale attività informativa, svolta dalla Settima Commissione con l’ausilio dell’Ufficio Statistico del Consiglio, consentono anche di evidenziare quali siano state le scelte organizzative operate nei singoli uffici giudiziari, delle quali ora si darà conto.



  1. La nuova circolare per la formazione delle tabelle e l’elaborazione di ulteriori moduli organizzativi in materia di protezione internazionale ispirati ai criteri di specializzazione, flessibilità, non esclusività


Le criticità quantitative e organizzative e la risposta che ne è conseguita sono state oggetto del richiamato seminario e degli esiti del questionario disposto con la delibera del 14 luglio 2016.


Gli uffici giudiziari giudicanti e requirenti di primo e secondo grado sono stati invitati a fornire alla Settima Commissione informazioni più dettagliate circa i moduli organizzativi adottati nella gestione dei procedimenti di protezione internazionale.


Si è seguito, anche in questo caso, un metodo di lavoro che considera come passaggio ineliminabile la consultazione degli uffici giudiziari e la rilevazione dei loro bisogni organizzativi, onde assicurare che le linee guida che il Consiglio vada a fornire non siano imposte dall’alto, senza una fase di ascolto e di preventiva partecipazione dei magistrati e degli operatori giuridici direttamente coinvolti. Un metodo di lavoro, dunque, partecipato, ispirato a logiche organizzative contemporanee che assicurano la migliore compliance giudiziaria.


Dai dati raccolti emerge come le rilevantissime sopravvenienze si confrontino con una capacità di smaltimento, sia in primo sia in secondo grado, non omogenea sul territorio nazionale. Del pari significative sono le discrasie circa il numero dei procedimenti pendenti e i tempi medi di definizione degli stessi.


Variegata è stata, peraltro, la scelta del modello organizzativo: l’attribuzione della materia a una sezione autonoma o meno; nell’ambito di una unica sezione, la distribuzione dei fascicoli a tutti i magistrati della sezione o solo ad alcuni di essa; e, così, in tale ultimo caso, la possibile creazione di gruppi di magistrati destinati alla trattazione esclusiva di tali procedimenti. Parimenti diversificata è risultata l’attribuzione di tali affari alla magistratura onoraria in primo e secondo grado.


Altro elemento di criticità rilevato attiene all’utilizzo degli interpreti e del rapporto con i locali Consigli dell’Ordine degli Avvocati quanto all’ammissione al gratuito patrocinio.


A tal proposito è necessario che nell’ambito del Tavolo fra CSM e CNF, conseguente al relativo Protocollo, possa affrontarsi il tema del gratuito patrocinio per garantire una difesa adeguata. Impellente è, invero, la necessità di affrontare le tematiche dell’organizzazione del lavoro all’interno degli uffici giudiziari e delle buone prassi poste in essere o promuovibili, per favorire ogni misura che possa garantire adeguata specializzazione, ridurre i tempi di trattazione delle procedure, accrescere la consapevolezza nella magistratura in ordine alla risposta di giustizia a darsi in un settore di tale delicatezza.


Tanto più che non si è in presenza di un’emergenza transeunte, ma, come ricavabile da plurime evidenze su richiamate, di un trend del fenomeno migratorio assolutamente solido e a carattere strutturale, sia pure con flussi variabili.


Il Consiglio ribadisce che la priorità ex lege nella trattazione dei procedimenti da protezione internazionale impone da subito, ed ancor più nell’ambito delle sezioni specializzate, l’individuazione di un numero di giudici e di risorse adeguato alla qualità e alla necessaria celerità della risposta giurisdizionale.


Le scelte di allocazione delle risorse, da parte dei dirigenti, potranno implicare un inevitabile rallentamento nella trattazione degli altri procedimenti, almeno finchè non troverà soluzione l’arretrato da protezione internazionale.


Occorre, di conseguenza, che, accanto al dimensionamento adeguato per numero di giudici della sezione o del gruppo di magistrati addetti alla protezione internazionale, per far fronte nei tempi previsti dal legislatore alla definizione della sopravvenienze, vengano anche predisposte misure straordinarie per lo smaltimento dell’arretrato.


In tale direzione si pone in primo luogo la circolare in tema di formazione delle tabelle, tesa a recepire e ribadire la priorità attribuita dal quadro normativo alla materia della protezione internazionale.


La delibera del 25 gennaio 2017, che approva la circolare per il triennio 2017/2019, ha infatti previsto, all’art. 63, che, in tutti i casi nei quali il numero dei magistrati assegnati all’ufficio e il numero degli affari giudiziari lo consenta, possa essere istituita, nell’ambito della sezione per la trattazione dei procedimenti relativi alle persone e ai rapporti di famiglia, un’eventuale ulteriore specializzazione per la trattazione delle materie di competenza del giudice tutelare e dei procedimenti di cui all’art. 19, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, con il caveat per cui i magistrati preposti alla detta sezione specializzata, cui siano assegnate funzioni di giudice nei procedimenti in tema di riconoscimento della protezione internazionale, partecipino in misura ridotta, rispetto agli altri componenti della sezione, alle assegnazioni ordinarie.


Allo stesso modo, ai sensi dell’art. 174 (in tema di riequilibrio dei carichi di lavoro), il dirigente può, qualora sussista l’esigenza di definire i procedimenti di procedimenti di protezione internazionale di cui all’art. 19 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, adottare provvedimenti diretti a riequilibrare i carichi di lavoro, indicando i criteri oggettivi e predeterminati e la razionalità organizzativa del provvedimento medesimo.


Quella contenuta nella circolare citata è solo una prima risposta, tesa a evidenziare la necessaria priorità da attribuire alla trattazione dei procedimenti da protezione internazionale: resta fermo però il consolidato principio che sia da rispettarsi l’autonomia organizzativa degli uffici giudiziari, quanto alle soluzioni che possano garantire la miglior risposta di giustizia, secondo le seguenti coordinate che, come anticipato, informeranno anche i successivi interventi del Consiglio nell’esercizio dei poteri normativi assegnati dal legislatore, in ordine alle sezioni specializzate.



  1. La specializzazione e la non esclusività


L’esperienza e il confronto con le realtà giudiziarie hanno evidenziato come una prima esigenza sia quella di garantire la specializzazione. In tal senso deve trovare applicazione quanto già previsto dall’art. 55 della nuova circolare in tema di tabelle, poiché la specializzazione assicura una risposta più efficace, qualitativamente e quantitativamente, nonché più celere, oltre la prevedibilità ed omogeneità degli orientamenti.


Occorre altresì chiarire che non necessariamente la materia della protezione internazionale debba essere attribuita alla sezione che stabilmente tratti il diritto di famiglia latamente inteso, in quanto è ben possibile combinare siffatta materia, afferente alla tutela dei diritti della persona, anche con materie che involgono competenze ulteriori e non omogenee, pur se altrettanto specializzate e tecniche.


La scelta è rimessa alla discrezionalità dei dirigenti, nell’ambito e all’esito del procedimento tabellare partecipato, e deve essere tesa a garantire la concreta possibilità, per il giudice della protezione, di una trattazione efficiente, celere e di qualità, avendo in conto la qualità dell’istruttoria richiesta dai procedimenti di protezione internazionale e la sostenibilità delle altre forme di contenzioso, al medesimo giudice assegnato, con ulteriore impegno istruttorio.


In tal senso, potrebbe essere preferibile l’opzione di associare la materia della protezione internazionale a procedimenti contenziosi, la cui trattazione non si connoti per la particolare complessità in punto di acquisizione di prove costituende o presupponga il necessario svolgimento di complesse comparizioni personali delle parti.


Come pure va valutato con cura – anche alla luce delle pendenze complessive degli affari – se collegare strettamente la materia della protezione internazionale a quella tutelare, in ragione del particolare coinvolgimento della sfera personale che caratterizza entrambe. La caratteristica, pur nella stabilità, dei flussi variabili nel tempo del fenomeno migratorio sconsiglia di adibire, quand’anche i numeri lo permettano, un’intera sezione alla trattazione esclusiva di tali procedimenti, in quanto è da ritenersi preferibile un modulo organizzativo maggiormente flessibile e in grado di adeguarsi all’evolvere contingente delle sopravvenienze.



  1. La flessibilità: gruppi di lavoro interni alle sezioni o allargati, coassegnazioni e applicazioni


Sempre in tale ottica di flessibilità, il Consiglio considera possibile la creazione all’interno della sezione destinataria di tali procedimenti anche di un gruppo di magistrati destinato, per un congruo, ma non illimitato, periodo di tempo, alla trattazione prevalente di tali procedimenti.


Il che va ovviamente accompagnato dall’adeguato esonero parziale dei medesimi dall’assegnazione dei restanti procedimenti di competenza sezionale. Un’ulteriore opzione percorribile è quella, nell’ottica della flessibilità, della creazione di gruppi di lavoro allargati oltre la sezione, ai quali attribuire la specifica competenza, recuperando il contributo dei magistrati assegnati ad altre sezioni, con esonero parziale e proporzionale rispetto al lavoro loro attribuito nella sezione di appartenenza. In tal senso può ricorrersi sia alla creazione, anche con lo strumento della coassegnazione, di gruppi tabellarmente e stabilmente previsti per far fronte alle sopravvenienze, sia anche a disporre applicazioni all’interno dell’ufficio o in sede distrettuale, su base eminentemente volontaria quanto meno in quest’ultimo caso.


È auspicabile, a tal fine, che il Presidente della Corte di Appello promuova applicazioni endodistrettuali per far fronte all’arretrato degli affari da protezione internazionale. Qualora sussista la stringente esigenza di definire l’arretrato, l’applicazione può anche essere concepita per obiettivi, nel senso che sia predefinito nel provvedimento di applicazione il numero fisso di procedimenti mensili da definire, alla cui stregua poi rideterminare il conseguente esonero dal lavoro ordinario.


L’accento posto sull’esigenza di un’accentuata specializzazione nella trattazione di siffatti procedimenti impone che i provvedimenti di applicazione abbiano una durata almeno annuale, onde evitare una dispersione di conoscenze e di energie professionali.


In linea generale, in ogni caso, è preferibile la scelta organizzativa di non distribuire in modo indifferenziato, “a pioggia” e senza una adeguata stabilità tali procedimenti fra tutte le sezioni, il che rischierebbe di mortificare il principio della specializzazione e della omogeneità degli orientamenti.



  1. La magistratura onoraria e l’Ufficio per il Processo dell’Immigrazione


Particolare attenzione va prestata all’impiego della magistratura onoraria. Si impone, in primo luogo, che sia assicurata ai magistrati onorari, comunque coinvolti in siffatta materia, un’adeguata formazione e una condivisione dei saperi all’interno della sezione, mediante la loro presenza alle riunioni sezionali ex art. 47 quater o.g., oltre che con la partecipazione, anche in sede di formazione decentrata, agli appositi corsi in materia di protezione internazionale, già richiesti dal Consiglio alla Scuola della Magistratura con la delibera del luglio 2016 e per la quale sono ora in corso ulteriori concreti contatti.


Deve anche evidenziarsi che l’eliminazione del grado di appello, operata con il decreto legge n. 13 del 2017, imporrà maggiore cautela nel ricorso alla magistratura onoraria, data la delicatezza dei diritti fondamentali in gioco, dovendosi garantire un grado elevato di specializzazione da parte del giudice onorario ed il suo inserimento, con finalità di coordinamento, formazione e servizio, nell’ambito dell’ufficio per il processo.


Di rilievo è, dunque, anche la tematica dell’ufficio per il processo, in cui un ruolo va riconosciuto, in uno ai magistrati onorari, anche ai tirocinanti laureati ex art. 73 l. 9 agosto 2013, n. 98, specie al fine di acquisire e scrutinare le corrette informazioni sulla situazione dei paesi di origine. Va da sé che occorre che i tirocinanti siano adeguatamente formati dai magistrati affidatari e che siano auspicabilmente coinvolti nel processo di formazione ad erogarsi dalle strutture decentrate della SSM.


È inoltre possibile configurare l’ufficio per il processo, così composto, funzionale non solo al singolo magistrato, ma anche come complessivamente addetto al gruppo specializzato di magistrati che si occupano della materia: ben può ipotizzarsi l’istituzione di un Ufficio per il Processo dell’Immigrazione (UPI), ancor più con la finalità di favorire, nell’immediatezza, la definizione dell’arretrato e per far fronte al carico di lavoro conseguente all’attività di cancelleria connesso alle pratiche di gratuito patrocinio, che in alcuni uffici, per la quantità, possono richiedere una struttura amministrativa dedicata.



  1. Le buone prassi e i protocolli


Il Consiglio favorisce la formazione e la comunicazione di buone prassi, anche mediante la stipula di protocolli con amministrazioni statali o organizzazioni non governative, fermo rimanendo che nella stipula dei protocolli dev’essere prestata particolare attenzione alla circostanza che le Commissioni rivestono dal punto di vista processuale la natura di parte.


Per la risoluzione di alcune criticità, constatate nella gestione di tale tipologia di procedimenti, si sono già sviluppate nelle realtà territoriali delle prassi virtuose. In particolare, tenuto conto del fatto che uno degli aspetti più problematici attiene alla circolazione delle informazioni, sia relative ai Paesi di provenienza, sia in merito ai dati identificativi dei richiedenti, sia in ordine ai precedenti giurisprudenziali, singoli uffici hanno elaborato protocolli con l’amministrazione dell’interno e della giustizia per favorire l’accesso alle informazioni e per la creazione di archivi di dati ai vari fini (si pensi alla problematica relativa all’identificazione del richiedente con possibilità di incrocio tra i CUI e gli alias utilizzati).


Da segnalare l’accordo di collaborazione stipulato in data 30 ottobre 2015 tra il Tribunale di Catania, la Commissione nazionale per il diritto di asilo e le Commissioni territoriali di Catania e Siracusa, nonché il CISIA (progetto Migrantes); come anche altre intese – come l’Accordo operativo stipulato il 15 marzo 2016 dalla Corte di Appello di Cagliari con un’associazione di mediazione interculturale - elaborate per far fronte alla necessità di reperire interpreti e mediatori culturali che siano a conoscenza dell’idioma dei richiedenti asilo, protocolli che peraltro cercano di dare una risposta alle difficoltà di pagamento degli stessi interpreti, anche nel caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.


In tal senso sono da favorirsi tutte le forme di intesa con enti pubblici o privati locali, nonché con i centri di accoglienza e con le organizzazioni non governative che consentano ai Tribunali, attaverso protocolli, di poter stabilmente contare su interpreti e mediatori culturali affidabili e con le necessarie qualità soggettive. Tanto premesso, il Consiglio delibera di approvare le presenti linee guida da offrire ai Tribunali e alle Corti d’appello aventi competenza in ordine ai procedimenti per il riconoscimento della protezione internazionale,offrendo le seguenti indicazioni:


1) costituzione di sezioni o gruppi che assicurino il principio di specializzazione nella trattazione degli affari in materia di protezione internazionale, riservando alla valutazione del dirigente l’individuazione delle materie aggiuntive da attribuirsi;


2) istituzione presso la sezione specializzata dell’ufficio per il processo dell’immigrazione, con la previsione dei compiti attribuiti ai giudici onorari e ai tirocinanti; favorire la coassegnazione alle sezioni specializzate dei magistrati di altre sezioni dell’ufficio, anche per lo smaltimento dell’arretrato, con fissazione di obiettivi ed esonero parziale dalle assegnazioni nell’originaria posizione tabellare;


3) favorire le applicazioni endodistrettuali su base volontaria;


»di dare mandato alla Settima Commissione affinchè:


a) provveda al tempestivo interpello, nell’ambito del piano straordinario, per le applicazioni, in modo da evitare soluzioni di continuità nel sostegno agli uffici destinatari, entro il mese di ottobre 2017;


b) inviti la Scuola Superiore della Magistratura a predisporre percorsi di formazione entro il mese di settembre 2017 per i magistrati competenti nella materia della protezione internazionale, per i magistrati applicati e per quanti intendono concorrere per le future applicazioni, nonché per i Giudici onorari di primo e secondo grado, i tirocinanti assegnati alle sezioni, ai gruppi di lavoro o all’Ufficio del Processo per l’Immigrazione;


c) metta a disposizione le COI (Country of Origin Information), nell’area <Giustizia e protezione internazionale> del sito consiliare, grazie al protocollo da stipularsi con il Ministero dell’Interno, per consentire in forma riservata l’accesso da parte dei giudici e dei pubblici ministeri della protezione internazionale;


d) richieda convocarsi il Tavolo attuativo, nell’ambito del Protocollo stipulato dal CSM con il CNF, riguardo alle difficoltà afferenti l’ammissione al gratuito patrocinio in ordine alle procedure di protezione internazionale;


e) promuova un incontro al CSM fra i Presidenti delle sezioni specializzate, i magistrati della protezione internazionale ed i magistrati applicati, per la data del 7 luglio 2017 al fine di operare una verifica sugli orientamenti giurisprudenziali, le prassi organizzative ed i risultati conseguiti con il piano straordinario di applicazioni;


f) solleciti gli uffici giudiziari all’invio dei provvedimenti secondo le modalità tecniche stabilite dal Comitato di Progetto, per il popolamento e la gestione a regime dell’area del portale del Consiglio relativa alla banca dati di merito;


g) inviti la DGSIA presso il Ministero della Giustizia a promuovere la migrazione degli affari da protezione internazionale dal codice precedente al 1.1.2016 al codice SICID specifico 110032 ed a garantire una tempestiva e prioritaria assistenza agli uffici giudiziari che dovessero richiederla. Dispone la trasmissione al Ministro della Giustizia, al Ministro dell’Interno e al Presidente della Scuola Superiore della Magistratura.”.

Autore
(delibera del CSM del 15 marzo 2017)

Il decreto legge si compone di 23 articoli, distribuiti in quattro capi. Il primo capo disciplina, segnatamente, l’istituzione presso i tribunali ordinari di Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Palermo, Roma, Napoli, Torino e Venezia di sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. (delibera del CSM del 15 marzo 2017)