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La proposta di riforma della legge elettorale del CSM secondo la Commissione Scotti

di Giuseppe Marra - 29 maggio 2017

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Come è noto il Ministro della Giustizia lo scorso anno ha istituito una “Commissione ministeriale per le modifiche alla costituzione ed al funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura” presieduta da Luigi Scotti, ex magistrato ed ex Ministro della Giustizia, che ha concluso i suoi lavori nella primavera del 2016 con la stesura di un’articolata Relazione.


Tra i temi affrontati dalla suddetta Commissione vi era anche quello relativo alla riforma del sistema elettorale del CSM, che attualmente, a seguito della legge n.44/2002 (che ha modificato la l. n.195/1958 e le sue successive modificazioni), prevede l’elezione di 16 magistrati (2 di legittimità, 4 pubblici ministeri e 10 giudici) eletti con un sistema maggioritario puro su base nazionale, che consente a tutti i magistrati in servizio (salvo alcune limitate eccezioni) di potersi candidare, anche a prescindere dalla designazione da parte dei gruppi associativi dell’ANM.


Tale sistema fu pensato al dichiarato scopo di ridurre l’influenza delle cosiddette correnti nella fase elettorale e poi nel funzionamento del CSM, tant’è che fu eliminato il voto con sistema proporzionale per liste contrapposte in vigore fino a quel momento. A distanza di quasi 15 anni, a detta di tutti, il sistema elettorale in vigore, non solo non ha raggiunto neppure in parte l’obiettivo che si era prefissato, ma ha per certi versi rafforzato il potere di influenzare in maniera determinante l’esito elettorale da parte dei gruppi associativi.


Infatti seppure è vero che ciascun magistrato si può candidare a prescindere dall’appartenenza a una corrente della magistratura, è al pari vero ed evidente che soltanto coloro che possono godere del sostegno e dell’organizzazione di un gruppo (che in precedenza l’ha selezionato tra i propri aderenti) potranno avere delle chanches di essere eletti.


Solo questi ultimi potranno di fatto fare campagna elettorale o comunque essere presentati fuori dal territorio dove esercitano le funzioni giudiziarie, avvalendosi di una rete di supporto in ogni dove, fatta di colleghi pronti a organizzare la cena o l’incontro elettorale, o comunque a chiedere i voti per loro, e ciò in ragione soprattutto dell’appartenenza allo stesso gruppo.


Chi è fuori da questo “giro” in pratica non ha alcuna possibilità di poter sperare di prendere tanti voti fuori dalla sede dove lavora ed è conosciuto; infatti di candidati “indipendenti” in 15 anni se ne sono visti pochissimi e nessuno è mai stato eletto.


Il sistema elettorale in vigore ha rafforzato quindi il potere delle correnti, creando perciò un meccanismo in cui per essere eletti al CSM è necessario avere un cursus honorum all’interno dei singoli gruppi associativi, i cui vertici provvedono di regola alla preselezione dei candidati (solo nell’ultima elezione del 2014 si sono sperimentate le primarie organizzate dall’ANM, con risultati deludenti per varie ragioni, tra cui in particolare il numero molto ridotto di candidati).


Il Ministro prima e la Commissione Scotti poi avevano anch’essi ben chiara la negatività di un simile sistema elettorale.


Infatti la Relazione ha in primo luogo sottolineato: «… l’esigenza che il sistema adottabile risponda ad alcuni requisiti essenziali, e cioè: che si ispiri al principio della parità di genere; che risulti nettamente diverso dal sistema vigente sul quale – come si è detto – le critiche sono state pressoché unanimi; che garantisca la possibilità di scelta tra un’ampia platea di aspiranti ai quali sia dato proporsi come candidati a prescindere dalla designazione di gruppi associativi; che renda riconoscibile e manifesto il progetto di giurisdizione che i candidati intendono presentare.


Coerentemente a tale esigenza è sembrato a tutti necessario che la distribuzione dei magistrati tenga conto della diversa consistenza numerica di ciascuna categoria, adottando perciò il rapporto “due + quattro + dieci”; che le candidature siano presentabili soltanto nel collegio ove il magistrato esercita l’attività giudiziaria; che l’eventuale molteplicità di collegi debba corrispondere al numero di magistrati da eleggere per categorie e debba assicurare contiguità territoriale nonché una tendenziale parità numerica del corpo elettorale in ciascun collegio, col divieto di inserire nel medesimo collegio non più di uno dei distretti più numerosi….».


Ha quindi affermato che «...è certamente necessario analizzare i possibili sistemi elettorali e scegliere quello che garantisca un’ampia platea di candidature, una pluralità di idee e di culture prospettate dai candidati, la piena autonomia sia del corpo elettorale sia degli eletti chiamati ad esercitare le funzioni consiliari; è necessario perciò circoscrivere eccessive interferenze di gruppi organizzati ed escludere la possibilità di un vincolo di mandato riguardante gli eletti.


Pur nella consapevolezza che le formule elettorali non possono di per sé sole evitare distorsioni o forzature nell’organizzazione del consenso ma che molto dipenda dal senso di responsabilità e di autonoma determinazione del corpo elettorale la commissione ha preso in considerazione i meccanismi elettorali più rispondenti agli obiettivi prefissati».


In primo luogo la Commissione ha espresso in maniera netta una valutazione negativa sul sistema del c.d. sorteggio, che avrebbe alla base il sorteggio di un numero abbastanza ampio di candidabili e una successiva elezione tra i sorteggiati (che hanno dato la disponibilità a essere eletti), sia per i dubbi di costituzionalità che tale sistema porta con sé, sia perché esso di fatto nega la rappresentatività delle diverse “anime” della magistratura affidando alla sorte la composizione dell’organo di autotutela.


Sono stati poi esaminati e valutati i vari sistemi elettorali in astratto proponibili, tra cui quello proporzionale a turno unico con liste concorrenti, quello maggioritario a doppio turno, quello con collegi nazionali a voto trasferibile e infine un sistema articolato su un primo turno con collegi locali senza liste e su un secondo turno per collegi nazionali ma con liste concorrenti.


La Commissione si è soffermata a lungo su quest’ultimo sistema con caratteristiche di novità rispetto a quelli in vigore nel corso del tempo, sia perché, a suo avviso, «…sembra soddisfare più degli altri le esigenze enunciate nella premessa, e cioè appunto di favorire la parità di genere, di garantire la possibilità di scelta tra una platea ampia di aspiranti ai quali sia possibile proporsi a prescindere dalla designazione di gruppi associativi consolidati».


Si tratta di un sistema con una prima fase di tipo maggioritario per collegi territoriali e una seconda fase di tipo proporzionale per collegio nazionale con liste concorrenti.


I collegi territoriali sono determinati in rapporto alla consistenza dell’intero corpo elettorale e a quelle delle singole categorie di magistrati: cioè quattro per la categoria requirente e dieci per quella giudicante mentre il collegio rimane unico per la categoria di legittimità. Alla prima fase possono liberamente partecipare magistrati che si candidino secondo la categoria di appartenenza, nel collegio ove esercitano l’attività giudiziaria, su presentazione di un certo numero di colleghi del medesimo collegio.


Nella prima fase ciascun elettore riceve tre schede ed esprime il voto per il candidato di ciascuna categoria; può esprimere un secondo voto per un candidato di genere diverso che risulti dalle candidature ammesse. Alla seconda fase è ammesso un numero di candidati pari al quadruplo dei magistrati da eleggere per ogni categoria, i quali abbiano ottenuto il maggior numero di voti calcolato in senso decrescente sino all’anzidetto quadruplo; vale a dire otto per la legittimità, sedici per la requirente e quaranta per la giudicante.


Qualora non si sia realizzata la parità di genere tra i candidati selezionati, si aggiungono altri candidati del genere meno rappresentato i quali abbiano conseguito il più elevato numero di voti tra i non ammessi al secondo turno.


Si legge nella proposta della Commissione che: «Sul piano della tecnica elettorale la prima fase realizza un sistema maggioritario che offre un ampio ventaglio di selezionati. La seconda fase, attraverso il voto di lista con la conseguente applicazione del quoziente elettorale e con il voto di preferenza, realizza un sistema proporzionale; si prevede la possibilità di una sola o di una duplice preferenza a favore di candidati della stessa lista o anche a favore di candidato di altra lista purché di genere diverso in entrambi i casi».


La maggioranza della Commissione si è espressa favorevolmente all’adozione di un siffatto sistema elettorale, e ciò per vari motivi che sono così elencati: «…tutela appieno la parità di genere e lascia ampio spazio a candidature che si propongono liberamente, in modo che in prima battuta possano confrontarsi capacità, idoneità, caratterizzazioni professionali e culturali, personalità ed esperienze anche al di fuori del reticolo di gruppi e di vincoli associativi, con analoga possibilità di valutazione e di scelta per l’elettore.


Recupera in seconda battuta, attraverso le liste, la condivisione di linee ideologiche e culturali concernenti il governo dell’ordine giudiziario in piena autonomia e indipendenza, la necessità di una rigorosa professionalità per riorganizzare il servizio di giustizia in modo adeguato alla domanda dei cittadini, cioè tende a recuperare la parte migliore delle logiche associative. Nel contempo questo sistema ha la possibilità di ridurre notevolmente l’incidenza di vincoli verso gruppi organizzati sia attraverso la legittimazione da un primo turno con candidature spontanee sia nel secondo turno attraverso panachage e splitting in sede di votazione finale.


Evita, infine, la preoccupazione che un sistema esclusivamente maggioritario dia forza pressoché esclusiva a un solo gruppo organizzato rendendo pressoché impossibile quelle diversità propositive, quel confronto, quella dialettica di variegate esperienze professionali e culturali che, integrandosi con altrettante esperienze della componente non togata, sono indispensabili ai fini di un corretto governo della magistratura».


La Relazione della Commissione Scotti è stata poi trasmessa dal Ministro al CSM, il quale ha deliberato in data 7 settembre 2016 una “Risoluzione sulla relazione della Commissione ministeriale per le modifiche alla costituzione ed al funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura”.


Con riguardo nello specifico alla modifica del sistema elettorale, il CSM ha espresso un parere interlocutorio, nel quale in premessa si può leggere che: «... si esprime pieno favore per le possibili soluzioni prospettate le quali muovono dalla finalità di esaltare quei meccanismi elettorali tesi a dar voce effettiva sia sotto il profilo attivo che passivo ai singoli componenti dell’elettorato magistratuale», per poi suggerire con poche battute (come era prevedibile, dato che i consiglieri sono stati eletti con quel sistema tanto deprecato dalla Commissione) un diverso meccanismo elettorale, ossia «…quello del voto singolo trasferibile: in collegi plurinominali si presentano liste – con alternanza di genere – e l’elettore può indicare in ordine decrescente di preferenze i vari candidati, dando così rilievo sia al progetto di giurisdizione preferito, sia ai candidati di altre liste premiati per qualità personali», soluzione che la Commissione Scotti non aveva avuto la possibilità di approfondire perché proposta da un componente subentrato solo in un secondo momento.


Il CSM laconicamente conclude affermando: «Ciò che resta in ogni caso rilevante è l’etica ed il senso istituzionale dei componenti, in uno alla scrupolosa applicazione di regole decisionali adeguate, aspetti questi già da tempo all’attenzione vigile del CSM», quasi a voler parlare d’altro.


Ad avviso di chi scrive la proposta conclusiva fatta dalla Commissione ministeriale presieduta da Luigi Scotti non appare però utile a risolvere i problemi denunciati in premessa, ossia l’influenza determinante delle cosiddette correnti nell’elezione dei componenti togati del CSM. Infatti il sistema elettorale indicato, caratterizzato di per sé da una certa farraginosità, non riduce affatto il ruolo dei gruppi organizzati nell’incidere nel momento elettorale per le ragioni di seguito esposte.


In primo luogo quella che viene prevista come la prima fase da svolgersi con un sistema maggioritario per collegi territoriali, al fine espresso di consentire anche le candidature di magistrati “indipendenti” ossia scollegati da appartenenze a gruppi associativi, in realtà non è in grado di assicurare il raggiungimento dello scopo prefissato.


La ragione è molto semplice: i collegi elettorali predisposti su base territoriale (quindi non più il collegio unico nazionale) sono numericamente troppo esigui. Infatti, essi, si legge, «…sono determinati in rapporto alla consistenza dell’intero corpo elettorale ed a quelle delle singole categorie di magistrati cioè: quattro per la categoria requirente e dieci per quella giudicante mentre il collegio rimane unico per la categoria di legittimità». Anche i dieci collegi per la categoria giudicante comprenderanno di regola più distretti giudiziari.


Per questa ragione il candidato cosiddetto “indipendente” non avrà di fatto alcuna possibilità concreta (salvo eccezioni) di essere eletto senza l’appoggio determinante di un gruppo organizzato, in quanto fuori dal suo territorio, dove può essere conosciuto ed apprezzato trasversalmente, egli diventerà anonimo.


I candidati invece aderenti ai gruppi organizzati invece avranno in ogni territorio dell’ampio collegio elettorale l’appoggio della corrente di riferimento. In sostanza una sfida ad armi impari.


Si ripropone quindi, seppure in misura ridotta territorialmente, la distorsione propria del sistema elettorale introdotto dalla legge n.44/2002, che, come sopra detto, aveva immaginato di risolvere il problema dell’influenza delle correnti organizzate nelle elezioni semplicemente eliminando il voto di lista, introducendo il sistema maggioritario puro con collegio unico nazionale.


In ogni caso se anche immaginassimo che il candidato cosiddetto “indipendente” riesca a superare la prima fase elettorale, egli sarà poi costretto ad “imparentarsi” forzosamente con qualche gruppo organizzato al fine di essere inserito all’interno di una lista, unico modo previsto per partecipare al voto finale con un sistema proporzionale su base nazionale per liste contrapposte (seppur ipotizzando il possibile correttivo di poter esprimere una seconda preferenza per un candidato di altra lista con il sistema del panachage).


Verrebbe subito da dire “Molto rumore per nulla”. L’obiettivo prefissato dalla Commissione Scotti, ossia offrire «un sistema elettorale che garantisca la possibilità di scelta tra un’ampia platea di aspiranti ai quali sia dato proporsi come candidati a prescindere dalla designazione dei gruppi associativi», non sembra avere serie possibilità di essere raggiunto.


E allora? In verità la Commissione ministeriale non ha avuto il coraggio di affrontare fino in fondo la questione centrale del rapporto candidato/elettore, vale a dire realizzare un sistema elettorale che davvero possa consentire al singolo magistrato, anche a quello che non ha mai svolto attività associativa, di candidarsi senza l’appoggio di alcun gruppo organizzato, con la concreta possibilità di essere eletto, in ragione della sola stima professionale e personale di cui gode tra i colleghi.


Quali colleghi possono votare un simile candidato? Solo quelli che l’hanno conosciuto nelle aule di giustizia e nei convegni o dibattiti nell’ambito di un determinato territorio dove il candidato ha esercitato le funzioni, che potrebbe immaginarsi di dimensioni distrettuali (o al massimo due Distretti piccoli accorpati).


L’unico modo per invogliare e rafforzare questo tipo di candidature e di conseguenza ridurre al minimo l’influenza dei gruppi organizzati è quello di predisporre dei collegi elettorali quanto più possibile ristretti territorialmente, dove l’attrattiva della candidatura “indipendente” di prestigio può avere concrete possibilità di prevalere sulla forza organizzata della candidatura di corrente.


Il passaggio necessario è però quello di ampliare il numero dei componenti togati del CSM, riportarlo almeno al numero di 20 previsto dalla legge n.695/1975 (prima di essere ridotto a 16 dalla sciagurata riforma del 2002), in modo da avere un numero più consistente di collegi elettorali con dimensioni territoriali più ridotte. Inoltre allo scopo di cui sopra si dovrebbe eliminare la distinzione tra le categorie giudicanti/requirenti, introdotta sempre nel 2002, e riportare, attualizzandola, la distinzione tra le categorie di magistrato di tribunale, di appello e di cassazione, come prevista in precedenza.


In definitiva si potrebbero formare ben 18 collegi di merito da distribuire a livello più o meno distrettuale (accorpando in qualche caso due distretti piccoli e contigui, es. quello di L’Aquila con quello di Campobasso, quello di Catanzaro con quello di Reggio Calabria), e riservare 2 collegi per i magistrati in servizio presso la Cassazione e la Procura generale.


Va subito ricordato che il numero dei componenti del CSM è fissato dalla legge ordinaria, in quanto l’art. 104 della Cost. vincola il legislatore solo a mantenere la proporzione tra gli eletti nella misura di due terzi per i togati e un terzo per i laici, nonché a distinguere gli eleggibili per categorie (senza però alcun riferimento alla distinzione giudicanti/ requirenti).


Quindi si può affermare che una modifica nel senso da noi auspicato non presenta particolari difficoltà non essendo necessario modificare la Costituzione. Le obiezioni che potrebbero essere fatte a una simile proposta sono essenzialmente due: non è ipotizzabile in questa fase storica di perdurante crisi socio-economica ampliare il numero dei componenti del CSM perché ciò comporterebbe un inevitabile aumento dei costi dell’Organo, a fronte dell’esigenza politica generale di ridurre sempre di più le spese degli apparati per esigenze di bilancio e di immagine; l’elezione di componenti su base territoriale avrebbe l’effetto collaterale negativo di spingere i singoli consiglieri a essere portatori di interessi localistici, difficilmente conciliabili con le funzioni proprie del CSM destinato a perseguire interessi generali di buona amministrazione e di tutela dell’indipendenza e autonomia della magistratura.


Ad avviso di chi scrive si tratta di obiezioni facilmente superabili. In primo luogo l’esigenza di aumentare, anche significativamente, il numero dei componenti il Consiglio Superiore è avvertita da molti, perché sono sotto gli occhi di tutti i notevoli ritardi che affliggono il CSM nelle sue decisioni, anche quelle di minor difficoltà o valenza politica. E ciò è in gran parte conseguenza del consistente ampliamento di compiti che la riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006/2007 ha introdotto (si pensi alla valutazione di professionalità ogni quattro anni per gran parte dei magistrati, alla temporaneità delle funzioni tabellari, alla proroga e scadenza degli incarichi direttivi e semidirettivi, a tutta l’attività riguardante la magistratura onoraria).


La riduzione dei componenti agli attuali 24 eletti fatta dalla l. n.44/2002 (di cui 16 togati), non era ovviamente coordinata con il successivo (di pochi anni) ampliamento dei compiti affidati al CSM, che vive ormai in una situazione di permanente ingolfamento, con ricadute non indifferenti sull’attività giudiziaria (si pensi ad esempio agli uffici che rimangono senza il dirigente per moltissimi mesi). La remora consistente nel rischio di aumentare i costi dell’apparato è poi certamente un falso problema.


È sufficiente a tal fine proporre che i componenti togati eletti al CSM non percepiscano più ulteriori indennità, oltre allo stipendio di propria spettanza e al rimborso delle spese vive per la permanenza a Roma, eliminando al contempo i consistenti privilegi economici della componente laica retaggio di epoche precedenti. Quanto poi alla questione più delicata del rischio di territorializzazione della rappresentanza consiliare, è facile osservare da un lato che gli interessi locali eventualmente promossi dal singolo consigliere difficilmente potrebbero essere imposti a un organo collegiale di ampia composizione come il CSM, e dall’altro che le questioni di carattere generale non sono di regola condizionate da interessi di tipo territoriale (es. le Circolari e le Risoluzioni).


Inoltre si supererebbe l’attuale super rappresentanza dei Distretti grandi come Roma, Napoli, Milano che, in ragione del sistema elettorale maggioritario puro, vedono sempre eletti numerosi magistrati in servizio negli uffici di quel distretto a discapito di altri distretti più piccoli che quasi mai riescono ad “avere” un consigliere del proprio territorio, creando un’evidente distorsione nei casi in cui invece possano esistere inevitabilmente degli interesse di tipo locale (es. nell’assegnazione dei m.o.t.).


In conclusione si può affermare che è apprezzabile il tentativo del Ministro della Giustizia di affrontare anche il problema centrale del CSM, vale a dire la necessaria modifica del sistema elettorale, la cui negatività è avvertita da tutti anche fuori dalla magistratura3. Vi è poi piena condivisione sull’analisi fatta dalla Commissione Scotti circa i limiti del sistema elettorale attuale e sugli obiettivi in astratto da perseguire, nonché il giudizio complessivamente negativo in ordine a un sistema elettorale fondato sul sorteggio dei candidabili, che potrebbe mettere a rischio la natura stessa del CSM quale organo deputato a difendere l’indipendenza e l’autonomia della magistratura e non solo a curare le carriere dei magistrati, pur riconoscendo che l’introduzione del sorteggio effettivamente reciderebbe in una prima fase il legame perverso con le correnti che noi oggi denunciamo a chiare lettere.


Purtroppo non si concorda con la proposta conclusiva fatta dalla Commissione perché, come detto più volte, essa appare del tutto inidonea a ridurre l’influenza determinante delle correnti nelle elezioni.


Certamente si è consapevoli che nessun meccanismo elettorale sarà mai perfetto, né si riuscirà a eliminare completamente (se non con il sorteggio puro) il legame tra gli eletti e i gruppi associativi di rispettiva appartenenza. Sarebbe però molto importante ridurre in maniera significativa l’influenza delle c.d. correnti nel far eleggere i candidati designati dalle stesse (anche se poco stimati negli uffici dove lavorano), consentendo a singoli magistrati molto apprezzati e stimati di candidarsi senza aderire a nessuna corrente e senza chiedere di essere inserito in alcuna lista elettorale gestita dai gruppi, e al contempo senza pretendere che essi possano fare campagna elettorale su tutto il territorio nazionale senza avere una struttura organizzata alle spalle, come invece ha immaginato utopicamente la riforma fatta nel 2002.


Si è consapevoli che la suddetta proposta non troverà grandi consensi nei gruppi associativi dell’ANM, in genere poco propensi a cambiare davvero le cose con il rischio di perdere quote di potere all’interno del sistema di autogoverno, anche se ormai sono tanti i magistrati che sono consapevoli della crisi profonda di autorevolezza e di credibilità dell’organo di autogoverno, e anche la Politica in generale a parole vorrebbe recidere il legame tra correnti e CSM, senza però mai proporre soluzioni veramente ponderate ed efficaci, operando in modo tecnicamente non adeguato ai fini proposti, se non francamente in modo improvvisato (come fu fatto nel 2002).


Va invece rilevato come questa proposta sia quella maggiormente in grado di raggiungere i fini che ci si prefigge. Solo così, si pensa, sarà forse possibile assicurare al CSM maggior autorevolezza e credibilità, sempre più necessarie oggi per svolgere il difficile compito di tutelare sotto ogni profilo la dignità dei magistrati e l’indipendenza della magistratura.

Autore
Giuseppe Marra
Magistrato addetto all’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione - Componente del Comitato Direttivo Centrale dell’ANM

il Ministro della Giustizia lo scorso anno ha istituito una “Commissione ministeriale per le modifiche alla costituzione ed al funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura” presieduta da Luigi Scotti, ex magistrato ed ex Ministro della Giustizia, che ha concluso i suoi lavori nella primavera del 2016 con la stesura di un’articolata Relazione. Giuseppe Marra