(Tratto dalla pubblicazione del
Consiglio Superiore della Magistratura "Nel loro segno" - seconda
edizione giugno 2011)
Luigi Daga
(Catanzaro, 26 agosto 1947 - Roma, 17 novembre1993),
magistrato di appello addetto al Ministero della Giustizia,
Direttore dell'Ufficio VI - studi e ricerche del D.A.P.
Nell'hotel Semiramis del Cairo, tutto si svolge in pochi drammatici
minuti. L'assassino si siede a un tavolo come un cliente qualsiasi
e inizia a gridare "Allah akhbar" (Allah è grande) premendo il
grilletto della pistola che punta sugli avventori più vicini. Due
uomini di affari americani che sorseggiano un drink - Coby Hoffmann
e Robert Guidi - sono uccisi sul colpo. Anche i numerosi giuristi
che partecipano a un convegno finiscono nel mirino del terrorista:
per Fernard Boulan non c'è scampo, il magistrato Luigi Daga viene
ferito.
Il dottor Luigi Daga, Direttore dell'Ufficio Studi e Ricerche del
Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria presso il Ministero
della Giustizia, è stato inviato in missione al Cairo dal 23 al 29
ottobre 1993 per partecipare, in qualità di relatore, al VI
Congresso dell'Associazione egiziana di Diritto Criminale. Il
magistrato dovrà svolgere una relazione sul nuovo codice penale
francese e sul progetto di riforma del codice penale italiano. Ma
Daga non ha neppure il tempo di capire che il convegno
internazionale si sta trasformando in uno spicchio di guerriglia
globale che vede gli stranieri come nemici da combattere. Due colpi
Io raggiungono alla testa. Privo di sensi cade vicino al suo
collega francese, ma il suo cuore batte ancora. Tre morti, cinque
feriti. Tre sono arabi. I mezzi di soccorso si preoccupano dei
feriti. Luigi Daga è il più grave di tutti. Viene trasportato
all'ospedale e dopo un primo controllo viene operato d'urgenza.
Subisce due interventi di seguito. Daga viene trasportato a Roma.
Il calvario dura circa 20 giorni; muore il 17 novembre. Il ministro
della Giustizia, Giovanni Conso, dà in Parlamento la triste
notizia.
Luigi Daga nasce a Catanzaro e studia Giurisprudenza a Roma. Si
laurea nei 1968. Vuole seguire le orme del padre, Giuseppe Daga,
stimato presidente del Tribunale per i minorenni. Luigi vince il
concorso in magistratura e poi inizia ad occuparsi di carcere e
detenzione.
La sua esperienza si amplia ai profili internazionali ed egli
rappresenta l'Italia nei convegni internazionali. Nel settembre del
1985 è a Milano al Congresso delle Nazioni Unite sul crimine. Qui,
vivacizza il simposio facendo riflettere sul fatto che il carcere è
una risposta negativa sia dal punto di vista umano sia da quello
economico. "La risposta detentiva "dice allora Daga" va adottata
solo per i casi gravi. Soluzioni alternative devono prendere il
posto del carcere".
La sua scomparsa desta sconcerto negli amici più cari. Tutti
constatano come Gigi fosse caduto per la stessa causa per cui sono
stati uccisi dalla Brigate Rosse suoi due maestri, Girolamo
Tartaglione e Girolamo Minervini. Era stato Tartaglione -
instancabile e sagace scopritori di talenti tra giovani magistrati,
avvocati e ricercatori universitari - ad avviarlo agli studi
penitenziari, chiamandolo, nel 1973 a far parte della Sezione
criminologica del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale.
Allora Luigi non era ancora entrato in magistratura, ma si era già
imposito all'attenzione della dottrina per la sua tesi di laurea
sul Consiglio superiore della magistratura.
Dopo che Daga aveva svolto dal 1976
funzioni di Magistrato di Sorveglianza a Roma, Girolamo Minervini -
anche lui infaticabile promotore del Centro nazionale di
prevenzione e difesa sociale e con Tartaglione uno dei padri
fondatori del diritto penitenziario - lo volle, nel 1979, alla
Direzione generale per gli Istituti di Prevenzione e Pena del
Ministero della giustizia dove, nel 1981, divenne titolare del
prestigioso Ufficio studi e ricerche dell'amministrazione
penitenziaria.
A dieci anni dalla scomparsa di Luigi Daga, l'Amministrazione
Penitenziaria ne ha voluto onorare la memoria e l'opera in una
sobria e commossa cerimonia commemorativa svoltasi a Roma in via
del Gonfalone, in una sala gremita di amici e collaboratori, alla
presenza della moglie, signora Paola, dei figli e della sorella del
magistrato ucciso.
Quel giorno, il professor Giovanni Conso ha ripercorso i tragici
momenti che precedettero la morte di Luigi e ne ha ricordato il
ruolo importantissimo per l'affermazione della riforma
penitenziaria e la diffusione della sua conoscenza ben al di là dei
confini del nostro Paese.
Nel suo scritto "In memoria" Vitaliano Esposito - attuale
Procuratore Generale della Cassazione, che con Luigi Daga ha
condiviso l'esperienza internazionale nei più qualificati organismi
incaricati della prevenzione del crimine e della giustizia penale -
così ha ricordato l'amico: "Dell'attività di ricerca compiuta in
Italia e degli orientamenti che provenivano dalla fusione delle
idee nel Consiglio d'Europa e nelle Nazioni Unite, Luigi ... era
divenuto l'autentico ambasciatore in tutto il mondo ed in tutte le
società, anche in quelle più progredite, ove maggiormente si
annidava la tentazione dell'intolleranza, della sopraffazione e
della violenza. Era, poi, particolarmente curioso - un tratto che
maggiormente lo avvicinava a Girolamo Tartaglione - di conoscere i
meccanismi di trattamento con cui anche nelle società meno evolute
si tendeva a favorire un armonico sviluppo della personalità dei
soggetti privati della libertà». "La parabola della vita di Luigi -
conclude Esposito - è stata spezzata nel suo punto di ascissa più
elevato, ma in un momento di grandi trasformazioni politiche, le
quali hanno posto in discussione anche la validità di molti
principi nei quali egli, nel fervore ideologico che aveva
accompagnato le riforme legislative, aveva creduto e per i quali si
era generosamente battuto. Il suo testamento culturale e spirituale
è, però, affidato alla voce "Trattamento penitenziario"
dell'Enciclopedia del diritto in cui è possibile cogliere, in uno
al tormento che era subentrato al suo entusiasmo iniziale, la
sicura fiducia sulle linee evolutive di un sistema penitenziario
"dal volto umano", basato su un serio apparato protettivo dei
diritti soggettivi dei detenuto, quali già riconosciuti nel nostro
ordinamento, e teso alla identificazione di nuovi e più agili
strumenti di tutela di tali diritti".