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7 giugno 2013

L’anniversario dell’assassinio di Francesco Coco

Francesco Coco fu il primomagistrato a venire ucciso dalle Brigate Rosse, l'8 giugno 1976, inun attentato in cui persero la vita anche Giovanni Saponara edAntioco Dejana, addetti alla sua tutela. Il suo barbaro assassinioè strettamente legato alla vicenda del sequestro del magistratoMario Sossi, ed alla coraggiosa ed intransigente posizioneprocessuale che Coco tenne mentre era in corso un dibattitopolitico sulla opportunità di trattare con le B.R., che, per laliberazione di Sossi, pretendevano la scarcerazione di detenutiloro sodali. Lunedì 20 maggio 1974, la Corte d'Assise di Appello diGenova attende che sulla scarcerazione dei brigatisti ilProcuratore Generale Coco dia il suo parere. Coco scrive "che gliorgani giudiziari non dispongono di poteri per provvedimentigiudiziari fittizi nella speranza di salvare la vita" di Sossi.Disposta la libertà provvisoria dalla Corte, Coco presenta unricorso che nega ai brigatisti l'attuazione del loro ricattopolitico, e diviene bersaglio della loro ritorsione. Lasciò lamoglie Paola , e quattro figli (tratto dal volume "Nel lorosegno" edito dal Csm).


Francesco Coco

(Terralba, 12 dicembre 1908 - Genova, 8 giugno 1976)

Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Genova, ucciso
dalle Brigate Rosse.



Francesco Coco, sardo di Terralba,
fu il primo magistrato a venir ucciso dalle Brigate Rosse. Alle
13,30 dell'otto giugno 1976, Francesco Coco esce dalla sua stanza
al dodicesimo piano del Palazzo di Giustizia di Genova assieme
all'addetto alla sua tutela, Giovanni Saponara, 42 anni, per andare
a casa. Si infila nella 132 blu guidata da Antioco Dejana, un
appuntato dei carabinieri di 42 anni, sardo come Coco, che per la
prima volta effettua quel servizio. È un dattilografo-autista della
procura. Il suo autista, l'agente penitenziario Stefano Agnesetta,
il giorno prima ha chiesto un permesso che gli salverà la vita. Li
segue una Giulia con tre agenti di polizia. In otto minuti sono ai
piedi della scalinata di Santa Brigida. Coco e Saponara salgono 42
gradoni. Sembrano padre e figlio che tornano a pranzo. Neanche si
avvedono che alle spalle hanno tre uomini che gli sparano contro 24
colpi. Saponara non ha neanche il tempo di mettere mano alla
pistola. Nello stesso istante, a neanche cento metri dalla scala,
un uomo con una sahariana e una borsa e un coetaneo vestito in blu
si avvicinano alla 132 e con le Skorpion silenziate, freddano
Dejana. Una di quelle mitragliette, due anni dopo, ucciderà Aldo
Moro.Dopo qualche ora gli omicidi vengono rivendicati a Savona con
un volantino dal sedicente gruppo "Nuovi partigiani". Alla sera di
quello stesso giorno una telefonata anonima afferma che il
volantino è falso e attribuisce la paternità della strage alle
Brigate Rosse. Nell'aula della Corte d'Assise di Torino, dove si
sta svolgendo il processo a carico di esponenti delle Brigate
Rosse, uno degli imputati legge il messaggio di rivendicazione del
triplice omicidio.



L'uccisione di Francesco Coco è
strettamente legata alla vicenda del sequestro del magistrato Mario
Sossi e al dibattito che ne seguì sulla opportunità di trattare con
le Brigate Rosse che, per la liberazione di Sossi, pretendevano la
scarcerazione dei detenuti del gruppo XXII Ottobre.



Lunedì 20 maggio 1974, la Corte
d'Assise di Appello di Genova attende che sulla scarcerazione il
Procuratore generale Coco dia il suo parere. Nonostante sia
partecipe del dramma, il Procuratore generale scrive "che gli
organi giudiziari non dispongono di poteri per provvedimenti
giudiziari fittizi nella speranza di salvare la vita" di Sossi. La
Corte di Appello concede invece la libertà provvisoria e il nulla
osta per otto passaporti validi per l'espatrio. L'ordinanza della
Corte specifica che deve essere assicurata l'incolumità personale e
la liberazione del dottor Mario Sossi. Quando, lo stesso giorno, la
Corte d'Assise d'Appello dispone il rilascio dei detenuti, come
richiesto dalle BR, Coco presenta un ricorso che blocca la
procedura e nega ai brigatisti l'attuazione del loro ricatto
politico. La decisione della Corte d'Appello è subordinata alla
incolumità dell'ostaggio. A liberazione avvenuta, il ricorso del
Procuratore verrà accolto, formalmente a causa di alcune contusioni
riportate da Sossi. Il giudice Sossi è salvo, ma il Procuratore
generale Francesco Coco diviene bersaglio della ritorsione
brigatista. Verrà ucciso 1'8 giugno 1976.



Il giornalista Vincenzo Tessandori
ne descrive la "figura minuta, l'aspetto timido, spesse lenti sul
naso. Sposato con la moglie Paola, ha quattro figli. Laurea a
Cagliari con tesi pubblicata, subito con la toga addosso. Anche
durante la guerra nella magistratura militare. Rientra in quella
ordinaria come Sostituto Procuratore istruendo processi contro il
banditismo. Un duro. Nel 1964 viene chiamato nella capitale alla
Corte di Cassazione. L'anno seguente è a Genova come Procuratore
capo. Poi va a Cagliari come Procuratore Generale. Infine di nuovo
a Genova con l'incarico di Procuratore Generale presso la Corte
d'Appello".



Il giorno dopo l'omicidio, il
Presidente della Repubblica Giovanni Leone, nel corso della seduta
del Consiglio Superiore della Magistratura, dichiara: "Il primo
pensiero è di riverente omaggio alla memoria di Francesco Coco, di
un uomo che la missione del magistrato esercitò sempre con alta
coscienza morale, con dedizione appassionata e con coraggio; con
quel coraggio - al quale vogliamo rendere onore che anima tanti
magistrati italiani specie in questo momento così difficile... Nel
momento in cui onoriamo la memoria di Francesco Coco, sento di
ripetere che la Repubblica e le sue istituzioni anche di fronte a
queste gravissime forme di criminalità sono e rimarranno salde,
perché vivono nella coscienza civile e democratica di tutti gli
italiani".



Nella stessa seduta, il Ministro
della Giustizia Bonifacio aggiunge: "Ma al di là del compianto, al
di là del lutto, nell'inchinarci reverenti alla loro memoria, come
è giusto, come è dovuto, nella sede del Consiglio Superiore della
Magistratura, spiritualmente presenti tutti i magistrati d'Italia,
tutti i cittadini, tutti gli onesti, nella esecrazione universale
di questo atroce attentato, sentiamo che esso ha offeso, ha voluto
offendere, nelle sue vittime, con la magistratura e con la legge,
lo Stato'.



Luigi Francesco Meloni già collega
di lavoro di Coco ricorda che, come Sostituto Procuratore generale
presso la Corte d'Appello, Coco "era frequentemente impegnato nei
numerosi processi a carico di organizzazioni criminali dedite al
sequestro di persone a scopo di estorsione, che non raramente si
concludeva con la morte del sequestrato... Doveva affrontare - e lo
faceva con interventi di alto livello professionale, oltre che con
sincera passione - collegi di difesa agguerriti, avvocati che
conoscevano le cose e la gente della Sardegna meglio di chiunque
altro; eppure a noi giovani, che andavamo ad ascoltarlo, appariva
sempre a suo agio, padroneggiando con sicurezza le intricate
vicende sottoposte a giudizio e conquistando l'uditorio e gli
stessi avversari, i quali non potevano non riconoscergli -e spesso
lo facevano pubblicamente - doti di obiettività, chiarezza e
incisività..." Dall'estate del 1960 a quella del 1972, Meloni ebbe
la ventura di lavorare con Francesco Coco, che dirigeva la Procura
della Repubblica in Genova: "Si doveva lavorare sodo, e se qualcuno
avesse avuto in animo di farlo «al risparmio», ne sarebbe uscito
umiliato al confronto con un Procuratore capo che, a tarda sera,
usciva per ultimo dalle stanze anguste di un glorioso e vetusto
Palazzo di Giustizia".



Al Palazzo di Giustizia di Genova
un'aula porta il nome del giudice che non volle trattare con i
brigatisti. Anche il giardino della Questura di Genova ne celebra
il ricordo (tratto dal volume "Nel loro segno" edito dal
Csm
).




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