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Fine del viaggio per la nave dei folli rei? Riflessioni sul superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

di Riccardo De Vito - 11 giugno 2014

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L'erba dalla parte delle radici. Una premessa

Veder l’erba dalla parte delle radici è un proverbio popolare, il titolo di un libro sofisticato (Lajolo, 1979), ma anche un verso che Alda Merini ha graffiato per descrivere la sua vita in manicomio. Un verso che racconta di quando i manicomi erano aperti e di quando tutti i “folli”, rei o meno, vivevano l’esperienza della discriminazione e della segregazione.
Si può partire da qui per parlare di ospedale psichiatrico giudiziario, perché la storia della segregazione dei malati mentali continua nonostante la fine della storia dei manicomi. Quell’erba dalla parte delle radici, dunque, esprime in pieno il punto di vista dei sommersi e rende in modo immediato e credibile l’esperienza di quel mondo sotterraneo che è l’internamento. Un mondo a parte, nel quale gli infermi psichici ritenuti socialmente pericolosi sono ancora condannati a vivere e “curarsi”. Un universo nascosto alla società, all’opinione pubblica e alle istituzioni, che nei confronti del dramma dell’internamento hanno costantemente praticato una robusta opera di rimozione. Sino al momento in cui non è stato più possibile distogliere lo sguardo.
Accade, infatti, che le telecamere si introducano in quelle strutture che fino al 1975 venivano chiamate manicomi criminali e che le immagini dello Stato della follia (Cordio, 2013) entrino negli occhi degli italiani, accompagnate quasi subito dalle parole nette del Presidente della Repubblica che, in un celebre discorso del luglio 2011, ha denunciato l’ «orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inammissibili in qualsiasi paese appena appena civile».
Nello stesso lasso di tempo, la «Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari» – approvata il 20 luglio 2011 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale – fornisce una narrazione limpida ed esauriente delle condizioni di vita precarie, dei meccanismi contenitivi, dei metodi di cura non all’avanguardia e della fatiscenza delle strutture. Le prime parole della relazione appaiono sintomatiche e rendono chiaro il senso dell’accenno iniziale ai manicomi: «tutti gli OPG presentano un assetto strutturale assimilabile al carcere o all’istituzione manicomiale, totalmente diverso da quello riscontrabile nei servizi psichiatrici italiani». Il punto fondamentale, infatti, sta qui: la promessa di incontrare i malati di mente fuori dalle istituzioni non si è mai avverata per i pazienti psichiatrici autori di reato e la legge Basaglia in OPG non ha mai messo piede.
Dalla necessità di mettere definitivamente fine a questo stato di cose scaturisce l’art. 3-ter della legge 17 febbraio 2012, n. 9, che reca Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e accelera le procedure per il completamento del processo di chiusura degli OPG avviato dall’allegato C del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1 aprile 2008 (a sua volta precipitato della legge 419/1998).
Proprio dall’analisi degli obbiettivi di quest’ultimo decreto appare opportuno prendere le mosse per provare a esaminare i punti di forza e di debolezza del processo di superamento delineato dal legislatore e verificarne le tappe, i ritardi e gli approdi. Senza dimenticare, prima ancora, di tracciare un veloce quadro di chi e cosa c’è dentro gli ospedali psichiatrici giudiziari.

Dentro gli Opg. Il doppio binario della misura e della cura

L’allegato C del d.p.c.m. 1 aprile 2008 si proponeva di mettere a frutto il passaggio di competenza delle funzioni sanitarie in campo penitenziario al Servizio Sanitario Nazionale per eliminare dall’ordinamento giuridico ogni residuo di segregazione nei confronti dei pazienti psichiatrici socialmente pericolosi, favorire il loro reinserimento sociale e «garantire una corretta armonizzazione fra le misure sanitarie e le esigenze di sicurezza».
In altre parole, il legislatore aveva deciso, in ossequio al dettato costituzionale in materia di tutela della salute (art. 32 Cost.) e alle finalità della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, di riavvicinare le condizioni di cura dei “folli rei” a quelle degli individui affetti da disturbo mentale non autori di reato; con l’ulteriore vantaggio di recuperare, nei confronti degli internati in ospedale psichiatrico giudiziario o assegnati a casa di cura e custodia, una penalità non meramente difensiva e precauzionale, ma finalmente orientata al principio rieducativo di cui all’art. 27, comma 3, Cost.
Insomma, l’ambizioso e nobile traguardo che il legislatore aspirava a tagliare era quello di porrefine alla politica dei “doppi binari”.
L’uso del plurale, in questo caso, è motivato dalla circostanza che il doppio binario pena-misura di sicurezza non è l’unico che riguarda gli infermi di mente socialmente pericolosi. Per quest’ultimi, infatti, esiste un’altra corsia parallela e riservata, che marca la differenza rispetto ai pazienti psichiatrici esterni al circuito penale; una corsia lungo la quale si snodano le modalità, i tempi e gli spazi di una cura che è rimasta essenzialmente coercitiva.
Il malato mentale autore di reato, pertanto, non è “trattato” alla stregua di un condannato sano di mente e non è curato come un cittadino libero affetto da infermità psichica.
Appare opportuno vederle da vicino queste differenze, ispirate da una logica di difesa sociale che, nonostante le progressive erosioni della giurisprudenza costituzionale (sentenze Corte Cost. n. 253/20041 e 367/2004) e nonostante l’apprezzabile sforzo posto in essere da molti psichiatri all’interno degli OPG e da molti giudici di cognizione e magistrati di sorveglianza, appare difficile da scardinare.
L’analisi può prendere avvio da una breve “anatomia” del trattamento della figura principale di internato in ospedale psichiatrico giudiziario2, vale a dire il prosciolto per infermità mentale (artt. 89 e ss. c.p.) sottoposto al ricovero in quanto socialmente pericoloso (art. 222 c.p.).
Al dì là delle complessità e del carattere a volte cabalistico della prognosi di pericolosità ai sensi dell’art. 203 c.p. – spesso fondata sul “lancio di dadi” della perizia psichiatrica (Pugiotto, 2013) –, preme mettere in rilievo che la misura di sicurezza del ricovero in OPG è temporalmente limitata solo nel minimo (art. 222, commi 1 e 2, c.p.), è prorogabile senza limiti e potenzialmente all’infinito (ergastolo bianco) all’esito di ogni nuovo accertamento giurisdizionale della permanenza della pericolosità sociale (art. 208 c.p.), costringe l’infermo di mente alla sottoposizione a un regime di impronta contenitiva e alla vita in strutture in tutto e per tutto assimilabili a un carcere; preclude, infine, l’accesso alle misure alternative. Una disciplina, dunque, che può dar vita a un trattamento nettamente sfavorevole rispetto a quello del condannato sano di mente, il quale, per così dire, sa perché e quando entra in carcere, sa quando ne esce e, se ne ricorrono i presupposti, beneficia di misure alternative all’istituzione penitenziaria.
Oltre a essere trattato diversamente dal reo, come detto, l’internato subisce una cura e una tutela diverse dall’infermo di mente non autore di reato, nei confronti del quale, a decorrere dalla legge 180 del 1978, trattamenti e ricoveri obbligatori costituiscono un’eccezione legittimata solo da urgenze terapeutiche e rigorosamente contenuta in limiti temporali circoscritti. Basta leggere la relazione della commissione di inchiesta parlamentare, viceversa, per avere immediata contezza di come l’internato sia essenzialmente costretto a una cura scandita dalla permanenza in strutture che sono un ibrido di manicomio e di carcere, da terapie contenitive farmacologiche e meccaniche, dal confinamento all’interno dell’istituzione. Detto in poche parole: più custodia che cura.
Ma chi è in concreto il destinatario principale della misura di sicurezza del ricovero in OPG? Da quali reati è stato prosciolto e qual è il suo tasso di pericolosità sociale?
Al momento in cui si scrive, le persone presenti in OPG sono 875, mentre nel 2010 erano ancora 1.294 e nel maggio 2013 circa 1.000.
Soltanto il 10% degli internati si è reso responsabile della commissione di gravi reati, manifestando quella «temibile pericolosità sociale» che costituisce la giustificazione «della necessità di rigoroso controllo dello stato di pericolosità» (in questi termini, Cass. 27. 2. 1981, Maritan). Il rimanente 90% è rappresentato da internati prosciolti da reati che oscillano dal tentato furto alla rapina, dal danneggiamento alla resistenza a pubblico ufficiale, dai maltrattamenti in famiglia alle lesioni (Farina Coscioni, 2011). Per questi reati un sano di mente otterrebbe una pena di limitata entità, magari da scontare, senza assaggio di carcere, in detenzione domiciliare o in affidamento in prova al servizio sociale. Molti dei ricoverati in ospedale psichiatrico giudiziario, viceversa, finiscono di proroga in proroga per soggiacere a una “condanna” all’internamento che supera spesso di molti anni l’originaria durata della misura di sicurezza disposta dalla sentenza di proscioglimento. Sotteso al problema del rinnovo della misura di sicurezza, infatti, vi è anche il dramma della mancanza di risorse all’esterno, dell’insussistenza di un domicilio, dell’impossibilità della famiglia e delle strutture pubbliche a fungere da supporto nello svolgimento di una terapia.
Lo stesso Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, intervenendo in un convegno in materia di OPG svoltosi presso il Senato della Repubblica nel marzo del 2014, ha affermato che «la durata delle misure spesso, attualmente, non è dipendente dalla pericolosità del paziente, ma da uno stato di abbandono della persona rinchiusa o dalla mancanza di accoglienza al di fuori». Non è un caso che il legislatore, nel delineare il processo di definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, abbia messo subito in agenda l’immediata dimissione di coloro i quali hanno cessato di essere socialmente pericolosi.
Di questo processo di superamento ci si deve ora occupare analiticamente.

Peculiarità della riforma e obiettivi immediati

La trama normativa del percorso di superamento degli OPG - condensata in diversi atti normativi, tra cui spiccano l’allegato C della d.p.c.m. 1 aprile 2008 e l’art. 3-ter della legge 9/2012 - verte su alcuni capisaldi che possono essere così riassunti: immediata dimissione degli internati la cui pericolosità sociale è cessata e loro presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale; predisposizione di strutture regionali sostitutive, in cui ospitare le persone alle quali continueranno a essere applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione in casa di cura e custodia; affidamento esclusivo alle aziende sanitarie della gestione di tali strutture e della responsabilità dei pazienti ospitati, in un’ottica di decarcerizzazione e di recupero della prevalenza della dimensione medica; limitazione dei compiti della polizia penitenziaria alla sola vigilanza perimetrale ed esterna.
Appare opportuno iniziare l’approfondimento analitico dei singoli tratti del processo riformatore dalla previsione dell’obbligo di dimissione degli internati che hanno cessato di essere socialmente pericolosi, dal momento che con questo passaggio della normativa i giudici (soprattutto, i magistrati di sorveglianza) hanno dovuto confrontarsi immediatamente. L’art. 3-ter della legge 9/2012, infatti, ha sancito che «le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono essere senza indugio dimesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di salute mentale». Di primo acchito la precisazione legislativa appare pleonastica, limitandosi a ribadire quanto è già in ordinamento o quanto vi è stato immesso dalla giurisprudenza costituzionale: l’art. 208, comma 2, c.p., l’art. 69, comma 4, legge 354/1975 e la sentenza Corte Cost. n. 110/1974 legittimano la revoca della misura di sicurezza, anche prima che siano decorsi i termini minimi di durata, quando vi sia ragione di ritenere che la pericolosità della persona sia cessata. Non è seriamente sostenibile, però, che il legislatore abbia voluto semplicemente reiterare una disposizione esistente; più logica, dunque, si dimostra un’interpretazione della norma tesa a valorizzare la volontà di rimuovere in modo drastico quei fenomeni di proroga della misura di sicurezza legati soltanto all’indisponibilità di risorse all’esterno e alla mancanza di un contesto territoriale idoneo a supportare il paziente psichiatrico non più pericoloso, ma non ancora guarito.
In quest’ottica deve sottolinearsi che il pungolo legislativo non ha trovato impreparata la magistratura, la quale, in alcune pronunce, si è spinta sino a puntualizzare come in capo al medico psichiatra dei servizi territoriali sussista una posizione di garanzia nei confronti del paziente, posizione dalla quale discende un obbligo, penalmente rilevante, di porre in essere tutte le cure necessarie (ivi compreso il ricorso ultimo al Trattamento sanitario obbligatorio) per prevenire condotte auto ed etero lesive.
Gli sforzi della magistratura e dei Dipartimenti di salute mentale, tuttavia, non riescono al momento a nascondere una realtà preoccupante, palesata dalla grave crisi dei servizi territoriali psichiatrici, interessati da una progressiva opera di sottrazione di risorse materiali e personali che li mette in condizione di garantire a stento le prestazioni essenziali. La mancanza di investimenti in Stato sociale, in altre parole, corre il rischio di pregiudicare le prospettive di reinserimento sociale e di riabilitazione legate alla dimissione immediata dei non pericolosi. E gli infermi ancora pericolosi?

Dagli Opg alle Rems

Il meccanismo previsto per il completo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, come già anticipato, è quello della loro sostituzione con le c.d. REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), strutture a base regionale le cui caratteristiche strutturali, tecnologiche e organizzative sono state disciplinate da un decreto del Ministro della Salute (1 ottobre 2012) sulla base delle seguenti indicazioni legislative (art. 3-ter, comma 3, l.9/2012): esclusiva gestione sanitaria all’interno delle strutture; attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna; destinazione delle strutture ai soggetti provenienti, di norma, dal territorio regionale di ubicazione delle medesime. Le strutture appena descritte dovranno accogliere sia gli attuali internati reputati ancora socialmente pericolosi sia le persone «cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia» (in questi termini l’art. 3-ter, comma 2, l. 9/2012), posto che il meccanismo di sostituzione è stato approntato a legislazione penale invariata.
Secondo la tempistica scandita dalla legge 9/2012, le nuove residenze avrebbero dovuto prendere il posto degli OPG a decorrere dal 31 marzo 2013 (in una con il completamento del processo di dimissione degli infermi non pericolosi). Tale termine, in ragione delle difficoltà delle Regioni ad approntare per tempo misure e interventi strutturali, è stato prorogato una prima volta al 1 aprile 2014 (dl 24/2013 convertito in legge 57/2013) ed è poi slittato al 31 marzo 2015 in forza del decreto legge 31 marzo 2014 n. 52. Quest’ultimo intervento normativo del Governo, tuttavia, non si è limitato soltanto a disporre una proroga di un anno del termine di chiusura degli OPG, ma ha anche previsto un sistema di monitoraggio del rispetto del termine da parte delle regioni (e delle province autonome) alla scadenza del semestre successivo al giorno di pubblicazione del decreto medesimo; a quel punto, in caso di riscontrata impossibilità della tempestiva realizzazione (o conversione) delle strutture da parte delle Regioni, sarà possibile l’adozione da parte del Governo dei provvedimenti sostitutivi già previsti dall’art. 3-ter, comma 9, della legge 9/2012.
Nel cercare di cogliere i principi ispiratori della riforma, appare subito evidente che il legislatore, attraverso la creazione delle nuove strutture, abbia voluto portare a termine il processo di riforma della sanità penitenziaria, scorporando in via definitiva le funzioni di sicurezza, rimaste in capo all’Amministrazione penitenziaria e limitate alla vigilanza perimetrale, da quelle sanitarie e mediche, di esclusiva competenza delle aziende sanitarie. Seguendo questa serie di ragionamenti le future REMS dovrebbero essere luoghi dove, in ossequio al diritto fondamentale di ogni individuo alla tutela della salute (art. 32 Cost.), la dimensione medica torna a essere prevalente rispetto alla dimensione securitaria; uno sforzo, dunque, di adeguamento dei sistemi di cura degli infermi di mente socialmente pericolosi a quello dei pazienti psichiatrici comuni e di rimodulazione dei reparti ai primi dedicati sulla base dei modelli costituiti dai servizi psichiatrici “civili”.
In quest’ottica assume una valenza decisiva il principio di territorialità, in base al quale gli infermi di mente ai quali è applicata la misura di sicurezza del ricovero in OPG dovranno essere destinati alle residenze ubicate nella loro regione di provenienza. Così come per la presa in carico dei soggetti non più pericolosi, pertanto, l’ambito territoriale è eletto a “sede privilegiata per affrontare i problemi della salute, della cura, della riabilitazione delle persone con disturbi mentali per il fatto che nel territorio è possibile creare un efficace sinergismo tra i diversi servizi sanitari, tra questi e i servizi sociali, tra le Istituzioni e la comunità”. Prende definitivamente corpo l’idea che la malattia mentale, anche per i socialmente pericolosi, possa essere affrontata seriamente soltanto nel contesto sociale di riferimento, unico terreno ove è possibile attivare un’efficace rete di servizi di salute mentale e attuare dei programmi realmente individualizzati di cura e reinserimento sociale.
A condizione, naturalmente, che le nuove residenze non si trasformino in nuovi OPG. La soluzione allestita dal legislatore per pervenire all’eliminazione degli ospedali psichiatrici, infatti, come è stato segnalato dagli studiosi più attenti e dalle associazioni impegnate sul tema, non è immune da rischi, sui quali ci si deve ora concentrare.

Incongruenze e rischi di un'occasione. Conclusioni

Si è appena detto che il processo di superamento degli OPG non è immune da vizi. Da un punto di vista pratico, viene subito in mente la mancata armonizzazione della disciplina legislativa appena analizzata con le norme di ordinamento penitenziario che stabiliscono le competenze del magistrato di sorveglianza sugli ospedali psichiatrici giudiziari, ragion per cui è lecito interrogarsi sul destino di tale competenze anche in relazione a vicende elementari (le licenze, ad esempio).
Queste incongruenze, certamente superabili in via ermeneutica, destano un’apprensione di tipo puramente applicativo.
Il principale punto di debolezza della pur auspicata produzione legislativa appena esaminata, viceversa, attiene alle linee di fondo di una riforma che ha inteso intervenire “a valle” sul problema OPG e non “a monte”. Il legislatore, in sostanza, non ha messo mano al codice Rocco e ha lasciato invariate le disposizioni del codice penale in materia di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e di assegnazione a casa di cura e custodia, accontentandosi di trasformare soltanto i recinti murari degli OPG in nuove aree maggiormente ospedalizzate e meno degradanti. Il rischio maggiore è che, rimanendo invariata la legislazione, le nuove strutture regionali si trasformino in più piccoli e più vivibili OPG, con conseguente ulteriore tradimento dell’intenzione di mettere fine a ogni ipotesi di segregazione.
In questo senso, dunque, si può parlare di un’occasione mancata, dal momento che ancora una volta non è stato affrontato il problema della attualità e della validità anche scientifica del doppio binario tra pena e misura di sicurezza, del principio di non imputabilità e dei meccanismi di accertamento della pericolosità sociale. Rimangono in piedi, dunque, nonostante alcuni tiepidi accorgimenti adottati o suggeriti4, tutti i dispositivi normativi che aprono le porte alla deresponsabilizzazione dell’infermo di mente autore di reato, alle proroghe delle misure di sicurezza senza termini, al c.d. ergastolo bianco.
Vi è poi un ulteriore rischio. Nonostante il processo legislativo di superamento degli OPG sia una delle poche riforme in materia di giustizia con capitoli di spesa stanziati, la sensazione è che tutto il complesso della riforma possa funzionare a dovere soltanto a patto di un massiccio investimento in Stato sociale, in particolare nel campo della sanità e dei servizi sociali. Se le nuove strutture delineate, così come i dipartimenti di salute mentale, dovessero continuare a sopravvivere tra continue riduzioni delle piante organiche e tagli di spesa, l’alternativa all’OPG sarebbe rappresentata da una sorta di azzardato abbandono a se stesso dell’infermo di mente socialmente pericoloso. Ne discenderebbero due pericoli: il primo legato all’insorgere tra l’opinione pubblica di meccanismi di paura e di reazione, con conseguente possibile veloce approdo a una fase politica di nuova “istituzionalizzazione” della malattia mentale; il secondo connesso alla possibilità di una nuova condanna all’invisibilità. È stato scritto, lucidamente, che «il panopticon è stato chiuso, ma, in sostituzione, si è imposto ai pazienti e ai loro familiari l’elmo di Ade. Secondo la mitologia greca, l’elmo di Ade, dio dell’oltretomba, rende invisibili. Se il panopticon era un dispositivo che imponeva il dover essere visti, l’elmo di Ade rappresenta il non poter essere visti, un dispositivo dell’invisibilità coatta».
(Galofaro, 2011).


 


 



 



COMUNICATO ANM-CONAMS SUGLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI 

L’Associazione Nazionale Magistrati e il Coordinamento dei Magistrati di Sorveglianza, esaminato il testo del disegno di legge di conversione del d.l. n. 52/2014, approvato dal Senato il 24/4/2014, formula le seguenti osservazioni. 
Con il dl n. 211/2011 conv. nella l. n. 9/12 si è proceduto alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) - chiusura rinviata alla fine di marzo 2015 - ma non alla loro abolizione, in quanto la misura del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, anche quella provvisoria nel corso delle indagini, continua a essere prevista, assieme alla nozione di pericolosità sociale e di non imputabilità che ne sono i presupposti, dal codice penale e di procedura penale. Tale normativa generale non è stata toccata dalla riforma che ha ad oggetto, com’è noto, il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, il cui modello penitenziario, frutto della stagione del positivismo, ormai da tempo non è più compatibile con la civiltà di un paese democratico e con i progressi e le migliori acquisizioni della moderna scienza giuridica, criminologica e psichiatrica. 
Va sottolineata la piena condivisione di tale importante intervento legislativo che prevede, finalmente, la sostituzione degli attuali OPG (il cui complessivo sistema non appare in linea con le esigenze di cura e con i principi di rispetto della dignità degli internati) con le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), da istituirsi su base regionale con una capienza massima di 20 posti, le quali saranno gestite interamente da personale sanitario, essendo prevalenti nello spirito della riforma le finalità di cura. 
Tanto premesso, si devono in ogni caso sottolineare le perplessità e le preoccupazioni che desta l’art. 1 lett.b) del testo approvato nella parte in cui svincola il giudizio di pericolosità sociale (che compete anche al gip nel momento dell’applicazione provvisoria della misura) dai parametri di cui all’ art. 133 c. 2 n.4, così derogando alle previsioni dell’ art. 203 c. 2 c.p. per il quale il giudizio di pericolosità sociale va desunto da tutte le circostanze indicate nell’art. 133 c.p.. Il giudizio di pericolosità potrà pertanto essere desunto esclusivamente dalle qualità soggettive della persona, vale a dire dalle sole condizioni biologiche, caratteriali e di salute psichica del soggetto, e non anche da quelle di vita individuale, familiare e sociale, condizioni che da sempre assumono importanza fondamentale nelle valutazioni della pericolosità sociale di tutti i soggetti siano o non siano essi infermi di mente. In base a tale disciplina, che espressamente nega rilevanza prognostica alla mancanza di progetti terapeutici individuali, la pericolosità sociale sarà legata in definitiva solo alla malattia, ove è palese il richiamo a teorie positivistiche il cui superamento, alla stregua delle più moderne teorie criminologiche e psichiatriche, si riteneva ormai patrimonio comune. 
Tali modifiche normative, ancorché dettate da buone intenzioni (evitare ulteriori proroghe della chiusura degli OPG e limitare il numero degli internamenti), finiscono tuttavia col realizzare forzature e incrinature di fondamentali categorie penalistiche, criminologiche e psichiatriche, senza una generale e meditata rivisitazione della materia. 
In conclusione si auspica la piena attuazione della l. n.9/12, il rapido completamento delle REMS sull’intero territorio nazionale senza ulteriori rinvii e, nel contempo, l’avvio di una seria riflessione per una revisione complessiva della materia, ivi compresi gli istituti dell’imputabilità e della pericolosità sociale, senza affrettate, riduttive e regressive reinterpretazioni che rispondono più a impulsi contingenti che a una sana logica sistematica. 

Roma, 29 aprile 2014 
La Giunta Esecutiva Centrale dell’ANM 
Il Comitato Esecutivo del CONAMS




NOTE: 
1 Le sentenze in questione, come noto, hanno consentito di adottare misure di sicurezza non detentive in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione alla casa di cura e custodia. Sia in via definitiva sia in via provvisoria, ad esempio, è possibile la misura di sicurezza della libertà vigilata accompagnata dalla prescrizione della presa in carico da parte dei servizi psichiatrici territoriali
2 Tra le altre numerose categorie presenti in OPG (internati provvisori imputati, internati con vizio parziale di mente assegnati alla CCC) preme mettere in rilievo che la riforma non si occupa di un’altra categoria di infermi, quella dei detenuti condannati la cui infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena (art. 148 c.p.).
3 Tra le capofila si segnala Ord. Magistrato di Sorveglianza di Firenze, 15. 2. 2012, reperibile su www. personaedanno.it.
4 Va infatti osservato che la 12a Commissione permanente del Senato ha poi di recente approvato all’unanimità una risoluzione che propone, tra l’altro, di introdurre una disposizione volta a fissare la durata massima di permanenza nelle REMS, vietare che nelle medesime strutture possa aver luogo il ricovero provvisorio o l’applicazione provvisoria della misura ai sensi dell’art. 206 c.p.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: 
Farina Coscioni M.A. (2011), Matti in libertà. L’inganno della “legge Basaglia”, Editori Internazionali Riuniti, Roma.
Gordio F. (2013) Lo Stato della follia. Qui nessuno è libero (documentario).
Lajolo D. (1979), Veder l’erba dalla parte delle radici, Rizzoli, Milano.
Pugiotto A. (2013), La follia giuridica dell’internamento nei manicomi criminali, in Corleone F., Pugiotto A. (a cura di, 2013), Volti e maschere della pena. Opg e carcere duro, muri della pena e giustizia ripartiva, Ediesse, Roma.
Galofaro F., (2011) Basaglia è morto. Dal panopticon all’Elmo di Ade, in “Alfabeta 2”, n. 8 2011, cit. in Magrelli V. (2011), il Sessantotto realizzato da Mediaset. Un Dialogo agli Inferi, Einaudi, Torino.

Autore
Riccardo De Vito
Magistrato di sorveglianza di Nuoro

Il meccanismo previsto per il completo superamento degli OPG รจ quello della loro sostituzione con le REMS, strutture con una gestione sanitaria Riccardo De Vito