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Le procedure di accesso alla magistratura

di Sara Pedone - 31 gennaio 2017

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Il sistema di accesso alla magistratura ordinaria è stato da sempre caratterizzato dalla concorsualità in aderenza ai principi costituzionali di cui all’art. 106 della Carta Fondamentale.


L’articolo in esame infatti dispone che “Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso. La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”.


La selettività nella scelta dei magistrati ordinari trae origine dalla necessità di garantire una scelta imparziale dei candidati e di premiare in tal modo i più meritevoli che abbiano dato prova di possedere conoscenze giuridiche di livello elevato e capacità di ragionamento allo scopo di tutelare nella misura più ampia possibile i principi di cui all’art. 97 della Costituzione, che si rivolgono a tutti gli ambiti dell’operare della Pubblica Amministrazione e dunque alla stessa nella predisposizione e svolgimento delle procedure concorsuali.


È da ricordare che è lo stesso articolo 97, nel disposto dell’ultimo comma, a ribadire che “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.


La ratio meritocratica che anima il meccanismo del concorso in magistratura è tesa a garantire uguali possibilità di accesso a tutti gli aspiranti attraverso una valutazione obiettiva della capacità di svolgere la funzione giurisdizionale.


Tale sistema è dunque direttamente collegato al principio di imparzialità della Pubblica Amministrazione che, al fine di tutelare l’interesse pubblico, non può che scegliere i più meritevoli utilizzando criteri il più possibile oggettivi e trasparenti.


Il percorso concorsuale, tappa obbligata per divenire magistrati ordinari, come noto, è lungo e tortuoso anche per coloro che lo hanno vinto partecipandovi per la prima volta, poiché richiede una notevole preparazione tecnica nelle materie oggetto della prova scritta e della prova orale e una capacità di ragionamento tale da consentire al candidato di dimostrare di essere in grado di affrontare le problematiche che si possono presentare nello svolgimento della funzione giurisdizionale.


La procedura selettiva più complessa è riservata però solo a coloro che intendono accedere alla funzione giurisdizionale in qualità di magistrati ordinari.


Ed invero, procedure più semplici e meno rigorose sono previste per la selezione dei magistrati onorari che, in aderenza alle disposizioni normative, in particolare in ossequio al disposto di cui all’art. 106 della Costituzione, possono svolgere solo le funzioni attribuite ai giudici singoli.


Ed infatti, contrariamente a quanto previsto per la magistratura ordinaria, per i magistrati onorari è la stessa Costituzione a consentire l’elusione dei criteri della concorsualità e a prevedere la possibilità di nomine elettive e dunque basate su criteri, almeno in parte, diversi rispetto a quelli che governano la selezione dei magistrati ordinari.


La loro nomina è infatti fiduciaria anche se la legge disciplina i requisiti di accesso alla funzione, la durata degli incarichi, ne delimita le funzioni e i poteri e ne regolamenta le responsabilità (rispondono anche essi in base ai criteri dettati dalla legge 117/88).


Anche essi, però, esercitano una funzione giurisdizionale, come disposto dall’art. 4 del r.d. n. 12/41 in base al quale la giurisdizione ordinaria è amministrata da giudici professionali e da giudici onorari che costituiscono l’ordine giudiziario.


Questi ultimi rivestono un ruolo importante nell’amministrazione della giustizia in quanto si collocano al fianco dei magistrati professionali nelle duplici funzioni di giudicanti e requirenti in un’ottica di completamento e supplenza dei primi che, considerata la mole di lavoro e il numero comunque insufficiente del personale in organico, difficilmente sarebbero in grado di gestire tutti i procedimenti pendenti.


L’incarico dei giudici onorari, a differenza di quello dei giudici ordinari, è caratterizzato da temporaneità e dalla corresponsione di un’indennità parametrata sostanzialmente all’attività svolta (per numero di sentenze redatte con riferimento ai giudici onorari e per ore di servizio con riferimento ai v.p.o.).


L’ATTUALE SISTEMA DI ACCESSO ALLA MAGISTRATURA


Attualmente la procedura di accesso alla magistratura ordinaria è disciplinata dal d.lgs. 160/06 che regolamenta i requisiti per l’ammissione al concorso, la fase iniziale della presentazione delle domande, la composizione e le funzioni della commissione di concorso e lo svolgimento delle prove scritte e orali.


Il concorso nel tempo ha subito una lenta, ma progressiva evoluzione. La relativa disciplina è stata infatti interessata da numerosi interventi legislativi tesi ad abbreviare le tempistiche delle procedure selettive e a garantire una maggior qualificazione professionale dei candidati.


Sono state, infatti, apportate numerose modifiche tese a rendere da un lato la procedura più complessa sotto il profilo delle prove scritte e orali e dall’altro a consentire l’accesso alla magistratura ordinaria a soggetti che presentino un livello di preparazione maggiore rispetto a quello richiesto in passato.


Con riferimento ai requisiti di partecipazione al concorso occorre segnalare che gli stessi sono stati soggetti a modifica.


Ed invero, partendo dalla concezione della procedura come concorso di primo grado, dunque aperto ai neo laureati, si è passati a configurarlo alla stregua di un concorso quasi di secondo grado richiedendo dunque il possesso di requisiti aggiuntivi e tra loro, a volte, alternativi, ai fini della partecipazione alla selezione.


I candidati, per essere ammessi al concorso, infatti, oltre al possesso dei consueti requisiti (essere cittadino italiano; avere l’esercizio dei diritti civili; essere di condotta incensurabile; essere fisicamente idoneo all’impiego; essere in posizione regolare nei confronti del servizio di leva al quale sia stato eventualmente chiamato; non essere stato dichiarato per tre volte non idoneo nel concorso per esami alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda), devono possedere dei requisiti che concernono la qualifica latu sensu professionale intesa come possesso dei titoli maturati nel corso del percorso post universitario.


Sono previsti una serie di requisiti, tra loro alternativi, che ovviamente il candidato – limitatamente ad alcuni – potrebbe anche possedere cumulativamente.


È infatti necessario che l’aspirante rientri, senza possibilità di cumulare le anzianità di servizio previste come necessarie nelle singole ipotesi, in una delle seguenti categorie:


- magistrati amministrativi e contabili;


- procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;


- dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti a una delle posizioni corrispondenti all’area C, già prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, che hanno costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;


- appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;


- dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti alla ex area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, che hanno costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;


- abilitati all’esercizio della professione forense e, se iscritti all’albo degli avvocati, non incorsi in sanzioni disciplinari;


- coloro i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario (giudice di pace, giudice onorario di Tribunale, vice procuratore onorario, giudice onorario aggregato) per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;


- laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modifiche;


- laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, e hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;


- laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, e hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162;


- laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata almeno quadriennale e che hanno concluso positivamente lo stage presso gli uffici giudiziari o hanno svolto il tirocinio professionale per diciotto mesi presso l’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 73 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, nel testo vigente a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 114”.


L’aspetto dei titoli di accesso al concorso è stato quello che nel tempo ha subito le modifiche più rilevanti.


Ed invero, come anticipato ante, precedentemente l’accesso alla procedura selettiva era consentito con il solo possesso del titolo di laurea e di conseguenza ciò comportava una platea di aspiranti di età – mediamente – compresa tra i 24 e i 30 anni.


Ciò dal punto di vista delle conoscenze tecniche poteva però comportare delle lacune cognitive dovute al mancato approfondimento delle tematiche più complesse che, per ragioni di tempo e di opportunità, all’Università non erano oggetto di trattazione.


Ad oggi invece è richiesto il possesso dei titoli aggiuntivi sopra menzionati il che comporta una prima – ovvia – conseguenza: i candidati si approcciano al concorso a un’età più avanzata rispetto al passato in quanto il percorso formativo necessario per raggiungere i requisiti richiesti è più lungo e complesso.


Ovviamente ciò non sempre comporta una maggior preparazione, né garantisce l’idoneità all’esercizio della funzione giurisdizionale poiché, come noto, la teoria e la pratica sotto molti aspetti richiedono competenze diverse anche se nessuna delle due, da sola, è sufficiente per rendere il soggetto un buon magistrato.


Proprio al fine di saggiare la reale capacità dell’aspirante magistrato all’esercizio della funzione giurisdizionale sono state da sempre previste delle prove teoriche atte a valutare le competenze tecnico giuridiche dei soggetti in possesso dei requisiti di ammissione.


Le prove che il candidato deve superare si articolano in una duplice fase, la fase degli scritti – preliminare – e la fase successiva degli orali.


A tal riguardo occorre ricordare che, precedentemente, la procedura selettiva era articolata in una triplice fase.


Vi era infatti una fase preselettiva in cui il candidato doveva rispondere ai quiz in materia di diritto civile, penale e amministrativo che costituivano il principale scoglio per tutti gli aspiranti magistrati, non solo per la notevole difficoltà di affrontare una simile prova, ma anche per il tempo a disposizione, sempre insufficiente soprattutto se rapportato al numero di domande cui dover rispondere.


Tale tecnica però garantiva una selezione durissima e dunque una netta riduzione del numero di partecipanti alle prove scritte vere e proprie.


Detta fase però è da sempre stata aspramente criticata perché inutile ai fini dell’obiettivo del concorso, considerando che la funzione giurisdizionale non è nemmeno lontanamente simile alla soluzione di un quiz a risposta multipla, ma richiede capacità di ragionamento più che memoria.


Di certo l’eliminazione è stata favorevolmente accolta da tutti gli aspiranti magistrati e sicuramente non ne è auspicabile la sua reintroduzione allo scopo di ridurre il numero di candidati e di conseguenza il numero delle prove scritte da correggere e in definitiva la durata complessiva della procedura selettiva.


Le prove scritte che attualmente deve sostenere il candidato consistono nella stesura di tre elaborati strutturati come tema e concernono le principali materie giuridiche del nostro ordinamento, civile, penale e amministrativo.


Per quanto concerne la prova in diritto amministrativo, in particolare, provengono da più parti aspre critiche tese a stimolarne l’eliminazione considerato che solo in limitati casi e per aspetti latu sensu marginali il giudice ordinario può occuparsi di tematiche che lambiscono tale branca del diritto.


La modalità di svolgimento delle prove scritte è rimasta sostanzialmente immutata nel tempo in disparte l’eliminazione dei cenni di diritto romano all’interno della prova di diritto civile.


La prova orale invece ha conosciuto una lunga evoluzione per quanto concerne il numero e l’oggetto delle materie attraverso le quali la stessa si snoda.


Ed invero, molte delle materie attualmente oggetto della prova orale sono state aggiunte all’originario elenco che si è dunque incrementato comportando una crescente difficoltà per il candidato.


Ed invero, andando a ritroso nel tempo si nota che fino al concorso Fumu, bandito con d.m. 23 marzo 2004, le materie erano tredici, non erano infatti oggetto di esame il diritto commerciale, fallimentare ed elementi di ordinamento giudiziario.


Deve inoltre precisarsi che i commissari d’esame dell’epoca intendevano la dizione “diritto internazionale” nella sola accezione di diritto internazionale pubblico il che rendeva meno gravoso l’esame per i candidati; il legislatore però prendendo posizione sul punto ha sostituito con la legge 111/07 la precedente dizione con quella attuale di “diritto internazionale pubblico e privato” delimitando definitivamente l’ambito della materia in esame.


Nel concorso indetto il 17 ottobre del 2000, presidente Macioce, le materie erano dodici poiché non era previsto nemmeno il colloquio in lingua straniera; in quello indetto il 16 gennaio 1997, presidente Battisti, erano undici poiché non vi erano nemmeno diritto comunitario, tributario ed elementi di informatica giuridica ed erano invece previsti statistica e diritto ecclesiastico.


Attualmente la prova orale ha ad oggetto le seguenti materie:


                - diritto civile ed elementi fondamentali di diritto romano;


                - procedura civile;


                - diritto penale e procedura penale;


                - diritto amministrativo, costituzionale e tributario;


                - diritto commerciale e fallimentare;


                - diritto del lavoro e della previdenza sociale;


                - diritto comunitario;


                - diritto internazionale pubblico e privato;


                - elementi di informatica giuridica e di ordinamento giudiziario.


 


Rispetto ad un passato relativamente recente si nota inoltre che, tra le materie oggetto della prova orale, sono state inserite, oltre al diritto comunitario, anche il diritto internazionale pubblico e privato in


considerazione della crescente importanza della formazione europea dei magistrati e dell’inserimento stabile dell’Italia in un contesto sovranazionale in cui sempre più spesso il magistrato si trova a dover fronteggiare casi giudiziari che non toccano solo aspetti di diritto nazionale.


Tenuto conto della crescente integrazione con realtà extranazionali è previsto poi un colloquio in lingua straniera che, in base alla scelta del candidato, può vertere sull’inglese, francese, spagnolo o tedesco.


Pertanto, sostenere l’esame orale, per come strutturato attualmente, è sicuramente la parte più difficile di tutta la procedura concorsuale poiché, mentre per le prove scritte è previsto l’utilizzo dei codici e delle normative speciali, per la prova orale il candidato non ha alcuno strumento se non la sua memoria, la sua capacità di ragionamento, le sue conoscenze giuridiche e la capacità di cogliere gli aspetti di connessione tra i vari istituti.


Può ragionevolmente ritenersi che l’aumento delle materie sia andato a scapito dell’approfondimento della preparazione, poiché è impossibile nel poco tempo a disposizione tra il momento in cui il candidato apprende l’esito degli scritti e la data dell’orale che lo stesso abbia la possibilità di studiare approfonditamente tutte le materie oggetto di esame.


Si deve tener conto anche del fatto che, come spesso accade, la legislazione frenetica degli ultimi tempi, modificativa di istituti e norme a una velocità impressionante, impone al candidato di occuparsi anche dello studio delle modifiche normative nel frangente in cui si sta preparando alla prova finale.


Per fare un esempio pratico si rammenta che nel periodo degli orali di magistratura, tenutisi a maggio/ottobre del 2015, numerosi sono stati gli istituti sottoposti a revisione da parte del legislatore e all’orale le domande in alcuni casi hanno avuto ad oggetto anche dette modifiche (ad esempio la modifica della normativa in materia cautelare in diritto processuale penale e la modifica della procedura esecutiva in diritto processuale civile).


PROSPETTIVE DI RIFORMA


Quella appena vista è l’attuale configurazione della procedura di accesso al concorso in magistratura; passiamo ora alle prospettive di riforma.


Attualmente si è preso atto delle principali problematiche riscontrate nel percorso di accesso alla magistratura dovute sia all’avanzamento dell’età dei candidati, costretti ad affrontare un sempre più lungo percorso di formazione post-universitaria prima di approcciarsi al concorso; sia alle difficoltà incontrate dalla Pubblica Amministrazione nell’organizzazione e gestione delle procedure concorsuali dovute al crescente numero di partecipanti – aspetto che si riverbera anche sulle tempistiche di correzione degli elaborati e sulla durata del periodo dedicato agli orali il che, parallelamente, coinvolge anche l’aspetto della prolungata assenza dal posto di lavoro dei magistrati impegnati nelle commissioni di concorso con i problemi pratici legati alla gestione dei ruoli e dei procedimenti in corso –; sia all’assenza – sino ad oggi – di prove pratiche che consentano di vagliare anche le capacità del candidato relative agli aspetti caratterizzanti della funzione giurisdizionale e non solo la conoscenza della teoria del diritto.


Alla prima di tali esigenze, come si vedrà meglio nel prosieguo della trattazione, si è data risposta affiancando al tradizionale canale di accesso, che prevede il passaggio attraverso le scuole di specializzazione o attraverso gli stage formativi, un canale di accesso più veloce destinato ai laureati in giurisprudenza più brillanti che abbiano riportato una media di almeno 28/30 nelle materie qualificanti il corso di laurea e un voto complessivo finale non inferiore a 108/110.


Correlativamente, per rendere la norma compatibile con la previsione dell’accesso diretto, si sono eliminati i requisiti di merito nel percorso universitario che consentivano l’iscrizione agli stage formativi, ora aperti a tutti.


La seconda problematica, invece, è stata risolta, ipotizzando una sostanziale riforma delle Scuole di Specializzazione per le professioni legali che si pone su un piano complementare rispetto alla riforma dell’accesso alla magistratura ordinaria (allo stato disciplinate dall’articolo 16 d.l.vo 398/97).


Per risolvere la terza problematica – strutturazione delle prove d’esame in chiave eminentemente teorica – ed in particolare al fine di adeguare anche le prove d’esame all’esigenza di valutare globalmente la preparazione del candidato, si è introdotta tra le prove scritte una prova pratica (da sorteggiarsi per ogni concorso, tra le tre materie attualmente previste di diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo) che sarà costituita dalla redazione di una sentenza che comporti conoscenze di diritto processuale e sostanziale.


Con specifico riferimento alla modifica delle Scuole di Specializzazione per le professioni legali una commissione di studio guidata dal professor Michele Vietti ha di recente predisposto un progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario mediante delega al Governo che nel preambolo prevede che:


“Il Governo al fine di qualificare e definire il percorso formativo post-universitario di cui all’articolo 16 Decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, quale canale di accesso al concorso per magistrato ordinario, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la modifica della predetta disciplina, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:


a) prevedere l’istituzione di scuole esclusivamente destinate all’accesso in magistratura. Ridefinire i criteri per la determinazione del numero dei laureati da ammettere alle scuole di specializzazione di cui all’articolo 16 Decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, introducendo come parametro il numero dei posti relativi agli ultimi concorsi di magistrato ordinario;


b) ridurre la durata delle scuole di specializzazione di cui all’articolo 16 Decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, sino ad un massimo di diciotto mesi e, conseguentemente, ridefinire i modelli didattici di formazione, stabilendo che devono contenere corsi sia di tipo pratico che teorico e prevedendo la piena autonomia didattica delle scuole, salva l’omogeneità dell’insegnamento nelle materie oggetto di prova scritta del concorso per l’accesso in magistratura;


c) introdurre misure volte ad incentivare la possibilità delle scuole di specializzazione di consorziarsi al fine di ridurre il numero complessivo sul territorio nazionale per garantire un’offerta formativa maggiormente omogenea e qualificata;


d) prevedere un esame unico nazionale, cui far conseguire il rilascio del diploma di specializzazione;


e) prevedere che i laureati in possesso dei requisiti per l’accesso diretto al concorso in magistratura possano frequentare i corsi pratici delle scuole di specializzazione senza obbligo di sostenere l’esame finale.


La riforma realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti.


Gli schemi dei decreti legislativi previsti dal comma uno sono adottati su proposta del Ministro della Giustizia e del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e successivamente trasmessi al Parlamento ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni competenti in materia. I pareri, non vincolanti, sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri stessi. Qualora detto termine vanga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto al comma due, o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni”.


Nel prosieguo della trattazione saranno affrontate le varie linee di riforma principiando con quelle attinenti alla revisione delle Scuole di Specializzazione.


Come visto la riforma, al punto a), prevede la creazione di Scuole di Specializzazione specifiche per gli aspiranti magistrati.


Detta proposta pare opportuna e sotto certi aspetti necessaria per porre rimedio alle criticità emerse sin dalla loro istituzione.


Sul punto occorre rammentare che, con il d.lgs. 398/97, sono state istituite presso le Università le Scuole di Specializzazione per le professioni legali al fine di completare e perfezionare la preparazione tecnico-giuridica di coloro che, a seguito del conseguimento della laurea in giurisprudenza, intendano accedere alla professione di magistrato, avvocato o notaio.


L’istituzione effettiva delle predette scuole si è realizzata però solo a partire dall’Anno Accademico 2001-2002.


Le Scuole di Specializzazione prevedono un programma di studi che si affianchi in linea di continuità a quello universitario e lo segua con lo scopo di completare la formazione degli specializzandi e di fornire agli stessi conoscenze di grado superiore.


Al termine di detto corso di studi, della durata di un biennio, lo specializzando dopo aver sostenuto l’esame finale consegue un diploma che costituisce uno dei titoli alternativamente necessari per accedere al concorso di magistratura.


Il principale punto debole delle predette scuole sta – o meglio è stato sino ad oggi – nell’insufficiente attività pratica proposta durante il biennio e nell’assenza di specializzazione delle stesse.


Le scuole infatti sono state strutturate secondo il modello del binario unico con un percorso analogo in ogni suo aspetto per tutti gli studenti, senza prevedere percorsi specifici per coloro che in futuro intendano approcciarsi al concorso di magistratura,di notariato o all’esame d’avvocato.


Occorre inoltre considerare che sembra essersi sviluppata all’interno delle predette istituzioni una strana tendenza: improntare il percorso di studi verso un’unica direzione, l’esame d’avvocato.


Ed invero, quasi tutte le prove scritte effettuate nel corso di studi presso le Scuole di Specializzazione sono state strutturate secondo la modalità redazionale dell’atto difensivo, il che si rivela del tutto inutile per coloro che invece intendono approcciarsi al concorso in magistratura dal momento che la tecnica di redazione di un tema è totalmente differente rispetto a quella richiesta per l’atto difensivo.


Ed invero, come noto le prove dell’esame d’avvocato, notaio e magistrato sono notevolmente diverse tra loro per modalità di redazione degli elaborati e sono inoltre caratterizzate da un differente grado di complessità.


Troppo spesso inoltre gli specializzandi si sono confrontati con la stesura di atti difensivi senza aver prima avuto alcuna indicazione o suggerimento per l’impostazione e la redazione delle varie tipologie di atti.


Al fine di far fronte a tali criticità spesso gli aspiranti magistrati ricorrono a corsi frontali specificamente destinati a coloro che intendono affrontare la prova concorsuale il che, tenuto conto del numero di soggetti che vi partecipa, rende spesso il confronto diretto e costante con il docente quanto meno arduo.


Di conseguenza le predette criticità hanno reso sino ad oggi le Scuole di Specializzazione non idonee al raggiungimento dello scopo che ne aveva ispirato la costituzione.


Probabilmente proprio tenendo conto di tali criticità la riforma tende a rendere differenziati i percorsi di specializzazione e a introdurre all’interno delle Scuole di Specializzazione percorsi formativi teorico-pratici.


Detta modifica si rivela necessaria proprio tenendo conto delle criticità riscontrate nel percorso post-universitario che si è rivelato sino ad oggi improntato più alla teoria che alla pratica.


Attualmente infatti, come anticipato, sono eccessivamente esigue le opportunità per gli specializzandi di confrontarsi con la redazione di elaborati del tipo di quelli che poi saranno oggetto della prova scritta al concorso di magistratura.


Sino ad oggi senza un corso privato che privilegi la redazione dei temi molti studenti, pur brillanti, non sono in grado di redigere un buon tema che rispetti i criteri di completezza, chiarezza, sinteticità e coerenza.


La modifica dunque risponde alle esigenze manifestate e alle criticità evidenziate da coloro che hanno seguito i corsi presso dette scuole e hanno potuto concretamente constatare la scarsa utilità di lezioni frontali spesso improntate alla mera lettura o parafrasi delle norme e la necessità di implementare le ore di esercitazione e di confronto su problematiche di non pronta soluzione.


Ed invero riproporre a soggetti laureati lezioni che hanno già caratterizzato il loro percorso universitario si rivela oltre che inutile anche noioso poiché gli specializzandi conoscono già, pur se non nei dettagli, le disposizioni normative e gli istituti del nostro ordinamento e non abbisognano certo di un’acritica lettura delle stesse da parte dei docenti.


La proposta in esame va dunque salutata con favore poiché solo così si potrà dare nuova linfa alle Scuole di Specializzazione rendendole realmente aderenti alla funzione che ne ha ispirato la costituzione.


Per quanto concerne la proposta di garantire autonomia alle Scuole sulla scelta delle materie oggetto di studio occorre sottolineare che la stessa, pur presentando degli aspetti positivi, dovrebbe essere attuata operando degli opportuni accorgimenti.


Ed infatti, sarebbe auspicabile che fossero elaborate delle linee guida comuni e mirate rispetto all’obiettivo di affrontare il concorso in magistratura, allo scopo di evitare l’introduzione di materie inutili ai fini del concorso stesso.


Come anticipato è stata proposta anche l’introduzione di misure volte a incentivare la possibilità per le scuole di consorziarsi al fine di ridurne il numero complessivo sul territorio nazionale e contemporaneamente garantire un’offerta formativa maggiormente omogenea e qualificata.


In tal modo si garantirebbe invero un’offerta formativa migliore e si ridurrebbe il divario, ad oggi notevole, tra le varie scuole di specializzazione.


Dal confronto con altri specializzandi – alcuni dei quali attualmente colleghi – è infatti emerso un notevole divario sia sotto il profilo qualitativo delle lezioni frontali, sia sotto il profilo del numero e della tipologia di esercitazioni in aula.


Ciò se da un lato è spiegabile con la differente inclinazione e preparazione dei docenti, dall’altro risponde alle linee didattiche della singola scuola di specializzazione che sarebbe auspicabile venissero omogeneizzate allo scopo di rendere il più possibile uniforme il livello di offerta formativa proposta.


Le Scuole di Specializzazione dovrebbero infatti tendere tutte verso un identico obiettivo: la formazione di futuri professionisti e, nell’ottica della creazione di scuole ad hoc per la formazione degli aspiranti magistrati, sarebbe doveroso uniformare i livelli di formazione al fine di consentire a tutti gli specializzandi di conseguire un livello di preparazione omogeneo.


Tra le proposte di riforma si segnala anche quella di ridefinire i criteri di determinazione del numero dei laureati da ammettere alle scuole di specializzazione introducendo come parametro numerico il numero dei posti messi al concorso negli ultimi anni.


Detta proposta appare ispirata all’esigenza di ridurre, in via indiretta, il numero di partecipanti al concorso e così risolvere – almeno in parte – il problema della Pubblica Amministrazione nella gestione della procedura selettiva.


Ciò avrà come diretto risvolto il decrescere dei soggetti in possesso del titolo di specializzazione necessario – tra gli altri requisiti alternativi – per accedere al concorso, ma di certo non potrà ridurre in modo significativo il numero di partecipanti al concorso, poiché in ogni caso vi sono altri canali di accesso alla magistratura.


Detta proposta appare inoltre poco opportuna in quanto non vi può essere una così restrittiva selezione dei soggetti ammessi ai corsi di specializzazione soprattutto se si tiene conto che non vi sono corrispondenze certe tra il numero di chi frequenta le scuole e il numero di coloro che si approcceranno realmente e nell’immediatezza al concorso, men che meno di coloro che potrebbero in concreto risultare vincitori dello stesso.


Al fine di ridurre il numero di partecipanti al concorso sarebbe forse più opportuno introdurre dei criteri selettivi già alla base del percorso universitario con la previsione di quiz di accesso alle università e del numero chiuso, analogamente a come avviene per altre tipologie di corsi di laurea.


Va invece accolta con favore la proposta di ridurre la durata dei corsi delle predette scuole a un massimo di diciotto mesi in quanto consentirebbe invero di ridurre i tempi necessari al fine della precostituzione dei titoli di studio richiesti per la partecipazione al concorso.


Attualmente, infatti, per tutti gli aspiranti magistrati la prospettiva del concorso, così incerta e aleatoria quanto a tempistiche ed esiti, non rende più il concorso un reale obiettivo in sé e molti vi si approcciano senza realmente aver maturato una preparazione tecnico-giuridica adeguata mentre altri, anche brillanti, abbandonano il sogno di diventare magistrato perché consapevoli del tempo necessario per prepararsi, dei sacrifici e del costo di uno studio di tal fatta (tra libri e corsi post-universitari) che per molte famiglie non è possibile affrontare.


La proposta di prevedere un esame unico nazionale per il conseguimento del diploma di specializzazione e la possibilità per i laureati in possesso dei requisiti per l’accesso diretto in magistratura di frequentare i corsi pratici delle Scuole di Specializzazione senza obbligo di sostenere l’esame finale non sollecita osservazioni di rilievo, in quanto ciò che maggiormente conta ai fini della preparazione al concorso in magistratura è l’aspetto formativo più che le modalità di svolgimento dell’esame finale.


Nella riforma inoltre, e con specifico riferimento alle prove scritte del concorso per l’accesso alla magistratura disciplinate dall’art. 1, comma 3, del decreto legislativo del 05/04/2006, n.160, rispetto al sistema attuale, si prevede che: “La prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati rispettivamente vertenti sul diritto civile, sul diritto penale e sul diritto amministrativo. Due elaborati sono di natura teorica e il terzo di natura pratica, consistente nella redazione di una sentenza, che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale. L’abbinamento tra i tre elaborati e le tre materie è sorteggiato dalla Commissione”.


Come noto, invece, l’attuale disciplina prevede che “La prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati teorici, rispettivamente vertenti sul diritto civile, sul diritto penale e sul diritto amministrativo”.


Dunque, quanto alla prova scritta le modifiche che si intendono apportare sono di non poco momento giacché si richiederà ai candidati di redigere una sentenza che, ovviamente, è caratterizzata da modalità di redazione completamente differenti rispetto a quelle previste per l’elaborazione di un tema.


Probabilmente tale proposta si giustifica considerando che è proprio nella capacità motivazionale del candidato e dunque nella sua attitudine a redigere una motivazione logica, coerente e che dia conto del materiale probatorio e delle osservazioni difensive delle parti, che si concreta il proprium della funzione giurisdizionale che essendo attività di ius dicere richiede come competenze fondamentali quella decisionale e motivazionale.


Deve inoltre rilevarsi che solo una prova pratica come la redazione della sentenza è in grado di racchiudere in sé, con la medesima metodologia, materie così diverse come diritto civile, penale e amministrativo considerando che sostanzialmente in tutte e tre le branche del diritto tale tipologia di atto è caratterizzata dalla medesima struttura base.


Non ci sono infatti altre tipologie di provvedimenti giurisdizionali che siano comuni, quanto meno nelle linee essenziali, a tutte e tre le materie.


Dunque, se da un lato è valutabile favorevolmente siffatta proposta per gli indubbi risvolti positivi che potrebbe avere sull’aspetto della reale selettività dei futuri magistrati poiché in grado di far emergere con maggior nitidezza le capacità motivazionali e logiche del candidato, dall’altro non si può non evidenziare come tale prospettiva presenti aspetti negativi e problematici.


Deve infatti considerarsi che, sino ad oggi, non erano oggetto della prova scritta le materie di diritto processuale nelle sue molteplici articolazioni (diritto processuale penale, diritto processuale civile e diritto processuale amministrativo) il che comporterà uno studio ma g g i o rme n te gravoso per i candidati che dovranno già nel periodo di preparazione per la prova scritta affrontare lo studio di altre tre materie la cui complessità è nota a tutti.


Inoltre, preme sul punto evidenziare come la possibilità di redigere una sentenza in tema di diritto amministrativo renderebbe per i candidati lo studio concorsuale inutilmente più complesso e gravoso rispetto a quanto lo sia attualmente, considerato che il diritto amministrativo, anche in sede di esame orale, non viene richiesto con lo stesso grado di dettaglio con cui sono invece esaminati i candidati nelle materie del diritto processuale penale e civile.


Ed invero, dover studiare il diritto processuale amministrativo ai fini della redazione di un’eventuale sentenza richiederebbe uno studio approfondito delle tematiche di tale branca dell’ordinamento e delle relative problematiche il che ad oggi, lo si ripete, non è richiesto nemmeno ai fini della prova orale.


Inoltre pare davvero poco opportuno prevedere che una delle possibili prove pratiche consista nella redazione di una sentenza in materia di diritto amministrativo poiché giammai un giudice ordinario si troverà a redigere detta tipologia di atto.


Sino ad oggi infatti le carriere e le procedure concorsuali del magistrato ordinario e del magistrato del Tribunale Amministrativo Regionale sono state rigorosamente distinte tenuto conto della peculiarità dei ruoli e delle competenze rispettivamente richieste.


Detta proposta di modifica assumerebbe senso solo se si dovesse arrivare all’espunzione dei TAR e all’unificazione della giurisdizione poiché solo in tal caso si comprenderebbe appieno la ratio di tale tipo di prova e del vaglio, già in sede di prova scritta, dell’idoneità potenziale del soggetto ad esercitare la funzione giurisdizionale anche nella branca del diritto amministrativo.


Di certo la proposta di riforma della prova scritta, globalmente intesa, è volta ad adeguare le prove concorsuali all’esigenza di valutare anche la preparazione pratica del candidato, ma ciò se da un lato può tendere alla miglior selezione dei futuri magistrati, dall’altro, si rivela inopportuno poiché si richiede, in una fase di molto antecedente allo svolgimento del tirocinio, che l’aspirante magistrato mostri una capacità redazionale e motivazionale che allo stadio in cui si approccia al concorso tendenzialmente non possiede.


Ed infatti occorre considerare che, attualmente, ciò che si riscontra nella pratica è che coloro che superano il concorso difficilmente sono in grado di redigere immediatamente i provvedimenti propri dell’attività giurisdizionale senza commettere errori e ciò indipendentemente dalle conoscenze tecnico-giuridiche possedute, poiché è solo con la pratica che si può imparare davvero a svolgere con competenza il delicato ruolo del magistrato, in particolare la redazione degli atti giudiziari.


Al fine di realizzare compiutamente detta riforma è inoltre auspicabile, anzi doveroso, che la riforma delle Scuole di Specializzazione sia attuata in maniera effettiva.


È infatti necessario che le predette Scuole curino realmente l’aspetto pratico della formazione e che si istituiscano scuole dirette solo alla formazione di futuri magistrati, rivedendo completamente i modelli didattici allo scopo di renderli concretamente aderenti a ciò che viene richiesto al candidato in seduta concorsuale.


Si evidenzia sul punto che nemmeno i corsi privati prevedono lezioni o esercitazioni atte a consentire all’aspirante magistrato di essere in grado di redigere una sentenza che lambisca problematiche processuali e sostanziali in diritto penale, civile e amministrativo.


Sino ad oggi infatti anche i corsi privati, che molti di noi hanno frequentato, sono stati incentrati su lezioni teoriche frontali e sulla redazione di temi e in nessuna delle due modalità di approccio hanno affrontato anche tematiche di diritto processuale, da sempre espunto dalle materie oggetto della prova scritta.


La proposta di riforma della prova scritta, seppur presenta risvolti positivi, si rivela ad oggi sostanzialmente inattuabile tenuto conto che i percorsi formativi sono del tutto inadeguati a consentire una preparazione completa al concorso di magistratura secondo le linee prospettate dalla riforma; andrebbero quindi interamente rivisti i moduli didattici del percorso post-universitario al fine di renderli consoni a quanto si intende richiedere in sede concorsuale.


Sul punto anche il parere espresso dal Consiglio Superiore della Magistratura è sostanzialmente critico.


Il CSM si è espresso nei seguenti termini: “Quanto alla previsione di una possibile introduzione di una prova pratica consistente nella redazione di una sentenza da affiancare ai tre elaborati teorici vertenti su diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo, il Consiglio manifesta dubbi su una siffatta ipotesi di riforma: e ciò sia perché le scuole di preparazione al concorso hanno finora mostrato una qual certa incapacità a fornire gli strumenti per affrontare una prova così particolare, qual è quella della stesura della motivazione di una sentenza; sia anche perché l’introduzione di una quarta prova di esame appare in controtendenza rispetto all’esigenza, pure segnalata dalla commissione ministeriale, di fare fronte alle difficoltà per le commissioni di dover correggere un elevatissimo numero di elaborati.” (Odg. 1260 – Aggiunto del 27 luglio 2016, Fasc. 29/RI/2016 - Risoluzione sulla relazione della Commissione ministeriale per il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, relatori Consigliere Palamara, Consigliere Aprile, Consigliere Forteleoni, Consigliere Fanfani, Consigliere Morosini).


Detta proposta di riforma suscita inoltre una riflessione: se si pretende che il candidato sia già in grado di redigere una sentenza non si rischia di anticipare a tale momento ciò che invece sarebbe di regola – e per logica – riservato al momento del tirocinio? Ed inoltre, siffatta tecnica di selezione non rischia di falcidiare in modo eccessivo la platea di aspiranti magistrati? Ciò come si concilia con la necessità di coprire i posti vacanti in organico?


Detta esigenza lo si ricorda è stata alla base di un netto cambiamento di rotta avvenuto proprio con l’ultimo concorso in cui all’orale sono stati ammessi molti più candidati di quanti fossero i posti messi a concorso cosa – fino ad oggi – quasi mai avvenuta.


Ed invero nel concorso antecedente sono stati ammessi a sostenere la prova orale solo 328 candidati e sono risultati vincitori solo 311 rispetto ai 365 posti messi a concorso.


Di conseguenza – ad oggi – considerata la strutturazione dei percorsi di studio post-universitari, la proposta di modifica della prova scritta rischia di pregiudicare l’attuazione degli obiettivi alla luce dei quali si sta orientando il legislatore, improntati a coprire i posti vacanti in organico nella magistratura ordinaria, poiché la maggior parte dei candidati non possiede le conoscenze tecnico-giuridiche necessarie ai fini della redazione di una sentenza.


Non vi è bisogno di ricordarlo che la sentenza è un atto complesso che richiede notevole esercizio pratico prima di poter divenire abili nello scrivere tale tipologia di provvedimenti e che la conoscenza delle tecniche redazionali non si può certo acquisire sui libri, ma solo con la pratica che molti – ad oggi – possono fare solo dopo il superamento del concorso stesso.


Ad oggi infatti i soli aspiranti magistrati che concretamente si trovano nelle migliori condizioni per affrontare la prova pratica sono quelli che provengono dai tirocini svolti presso gli uffici giudiziari che si sono trovati nel percorso di studio post-universitario a redigere atti giudiziari con continuatività.


Al fine di comprendere appieno il perché di questo vantaggio pratico pare opportuno fare una breve digressione sulla normativa di cui al decreto legge, 21/06/2013 n° 69.


In particolare, l’art. 73 del predetto decreto legge prevede che “I laureati in giurisprudenza all’esito di un corso di durata almeno quadriennale, in possesso dei requisiti di onorabilità di cui all’articolo 42-ter, secondo comma, lettera g), del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, che abbiano riportato una media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, ovvero un punteggio di laurea non inferiore a 105/110 che non abbiano compiuto i trenta anni di età, possono accedere, a domanda e per una sola volta, a un periodo di formazione teorico-pratica presso le Corti di appello, i tribunali ordinari, gli uffici requirenti di primo e secondo grado, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni della durata complessiva di diciotto mesi”.


I soggetti ammessi allo stage sono affidati a un magistrato che ha precedentemente espresso la disponibilità e lo assistono e coadiuvano nel compimento delle ordinarie attività istituzionali.


Agli stessi vengono inoltre fornite dal Ministro della Giustizia le dotazioni strumentali il che li pone dunque nelle migliori condizioni per poter coadiuvare il magistrato affidatario grazie anche all’accesso ai sistemi informatici ministeriali.


L’attività degli ammessi allo stage si svolge sotto la guida e il controllo del magistrato e nel rispetto degli obblighi di riservatezza riguardo ai dati e alle informazioni acquisite durante il periodo di formazione, con obbligo di mantenere il segreto su quanto appreso in ragione della loro attività.


Orbene, la previsione degli stage in esame, oltre a costituire utile strumento di ausilio ai magistrati nello svolgimento della loro attività istituzionale, consente ai partecipanti di conseguire una preparazione mediamente superiore a quella normalmente ottenibile con il solo studio manualistico.


Detto percorso infatti consente di imparare in modo concreto ed effettivo a redigere gli atti giudiziari e dunque, alla luce delle proposte di modifica delle prove scritte del concorso per magistrato ordinario, consente di poter affrontare la prova pratica nel migliore dei modi proprio grazie all’esperienza precedentemente maturata presso gli uffici giudiziari.


Ed invero nei diciotto mesi di stage, innanzitutto grazie al contatto costante con il magistrato formatore, i tirocinanti hanno la possibilità di esaminare molteplici istituti di diritto sostanziale e processuale, in particolare l’attuazione pratica degli stessi e di comprendere il modo di operare e di ragionare del magistrato, soprattutto con riferimento alla redazione dei provvedimenti, apprendendo così ciò che è veramente utile ai fini del superamento delle prove concorsuali.


Tale attività, unita all’approfondimento dei manuali, consentirà dunque agli stagisti di affrontare, con reali speranze di successo, il concorso in magistratura.


Preme inoltre sottolineare che lo stage formativo sarà utile a tali fini in ogni caso, indipendentemente dall’ufficio in cui il soggetto è concretamente inserito anche se, ovviamente, l’utilità specifica ai fini del concorso e in particolare della redazione di una sentenza, varierà a seconda dell’ufficio di destinazione (sarà infatti massima negli uffici giudicanti civili e penali).


Oltre a questo aspetto di indubbia rilevanza formativa, la normativa del Decreto del Fare offre ai partecipanti agli stage ulteriori vantaggi.


È infatti previsto che “L’esito positivo dello stage, come attestato a norma del comma 11, costituisce titolo per l’accesso al concorso per magistrato ordinario, a norma dell’articolo 2 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni.”


Ed inoltre che “L’esito positivo dello stage costituisce titolo di preferenza a parità di merito, a norma dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, nei concorsi indetti dall’amministrazione della giustizia, dall’amministrazione della giustizia amministrativa e dall’Avvocatura dello Stato. Per i concorsi indetti da altre amministrazioni dello Stato l’esito positivo del periodo di formazione costituisce titolo di preferenza a parità di titoli e di merito”.


Ciò costituisce senza dubbio un importante incentivo ad effettuare gli stage in oggetto per i risvolti pratici immediati che gli stessi comportano sulla partecipazione al concorso, prima, e sul suo eventuale superamento, poi.


Tornando a trattare delle prospettive di riforma occorre far presente che, con riferimento alla prova orale, le cui materie sono indicate dall’ art. 1, comma 4, è prevista solo una leggera modifica di nomenclatura; è infatti previsto che venga cambiato il nome di diritto comunitario in diritto europeo.


Ciò in aderenza al mutato quadro sovranazionale in cui non è più corretto discorrere di diritto comunitario, ma di diritto europeo.


Ed invero, a seguito dell’introduzione del Trattato di Lisbona, il termine “Unione” ha sostituito la precedente terminologia “Comunità” evidenziando la soppressione della Comunità Europea intesa come entità distinta in seno all’Unione, corrispondente al sistema definito dal Trattato di Maastricht; è infatti stabilito che “l’Unione sostituisce e succede alla Comunità Europea” (art. 1, par. 3, TUE).


Detta modifica non apporterebbe nessun cambiamento rilevante dal punto di vista sostanziale poiché è solo il nomen della materia che si intende modificare.


Le proposte di riforma si appuntano anche sulla modifica dei requisiti di ammissione al concorso, in particolare attengono ai titoli richiesti per l’accesso.


Ed invero è prevista l’espunzione dei titoli previsti dall’art. 2, comma 1, lettera f), i) ed l).


Si tratta cioè dei seguenti titoli:


f) abilitati all’esercizio della professione forense e, se iscritti all’albo degli avvocati, non incorsi in sanzioni disciplinari;


i) laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;


l) laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162.


La modifica pare invero irrazionale in quanto comporta l’esclusione di alcune categorie di soggetti che pur in possesso del titolo di laurea abbiano solo l’abilitazione all’esercizio della professione forense o il dottorato di ricerca, rendendo dunque tali due titoli non più sufficienti.


Sembra dunque che si intenda restringere notevolmente la platea di aspiranti magistrati e imporre sostanzialmente ai laureati di frequentare le Scuole di Specializzazione per le professioni legali.


Ciò comporterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento e un’illogica restrizione delle possibilità di accesso al concorso il che inoltre mal si concilia con la scelta di lasciare invariati gli altri requisiti previsti dalla normativa specifica che non si comprende in base a quali valutazioni siano considerati atti ad assicurare una maggior preparazione e competenza (eccetto che per i magistrati amministrativi e contabili).


Occorre inoltre evidenziare che ciò che la proposta di riforma sembra non aver considerato è che in ogni caso un soggetto che ha conseguito l’abilitazione forense o ha terminato il dottorato è in ogni caso un soggetto provvisto del titolo di laurea e di una preparazione equivalente a quella che – almeno ad oggi – è potenzialmente conseguibile al termine del biennio presso le Scuole di Specializzazione.


Ciò mal si concilia anche con la previsione di accesso diretto di soggetti neo laureati che abbiano conseguito voti elevati nelle materie qualificanti (dettagliatamente elencate nelle proposte di riforma) e una votazione di 108/110 come voto di laurea di cui si parlerà a breve.


Sul punto in ogni caso non è dato comprendere la ratio dell’esclusione.


Sempre con riferimento ai requisiti un dato di sicura rilevanza presente nella riforma, per l’indubbia portata innovatrice, sta nella previsione dell’introduzione di un nuovo comma all’interno dell’art. 2, segnatamente il comma 1 bis che prevede quanto segue: “Al concorso sono ammessi, anche se privi dei requisiti di cui al comma 1, i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che abbiano riportato una media di almeno 28/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, nonché un punteggio di laurea non inferiore a 108/110”.


Detta modifica è stata pensata al fine di porre rimedio al problema dell’avanzamento dell’età dei candidati affiancando al tradizionale canale di accesso delle Scuole di Specializzazione per le professioni legali e degli stage formativi un percorso di accesso più veloce per i laureati in giurisprudenza che nel corso di studi abbiano ottenuto una media di 28/30 nelle materie qualificanti e un voto di laurea non inferiore a 108/110.


Per detti soggetti, come anticipato ante, è inoltre previsto che possano partecipare alle lezioni teorico pratiche tenute presso le Scuole di Specializzazione per le professioni legali e non sostenere l’esame finale in quanto già in possesso dei requisiti di accesso al concorso.


Ciò costituisce un parziale ritorno al passato e dunque un riavvicinamento alla configurazione del concorso come concorso di primo livello aperto ai neolaureati.


Detto canale privilegiato e meritocratico di certo è ispirato a garantire un accesso più veloce a coloro che già nel percorso universitario abbiano dimostrato di possedere un livello elevato di preparazione tecnico-giuridica e ha finalità latu sensu premiali nel senso di consentire ai più meritevoli di accedere al concorso in via diretta e di saltare così, ove lo ritengano opportuno, il percorso formativo post-universitario.


Si parte invero dal presupposto che i soggetti che abbiano conseguito una media alta (28/30) nelle materie più qualificanti del corso di studi universitario siano già in possesso delle cognizioni necessarie ai fini del concorso.


Ciò però non sempre si rivela un presupposto corretto in quanto il voto dei singoli esami e, conseguentemente, anche il voto di laurea possono essere influenzati da vari fattori che nulla hanno a che vedere con la reale preparazione giuridica del laureando.


Sul punto si rivela illuminante il parere del Consiglio Superiore della Magistratura che si è espresso nei seguenti termini “Il Consiglio, nel riservare una valutazione più dettagliata sulla eventuale proposta di riforma delle scuole di specializzazione, manifesta perplessità in ordine alla soluzione prospettata con riferimento alla prima delle tre indicate problematiche, dovendosi, al riguardo, ribadire quanto già esplicitato nella propria delibera consiliare del 31 maggio 2007, contenente il parere sull’allora disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario: delibera nella quale fu sottolineato che il “rischio della previsione relativa all’accesso diretto è quello di creare delle iniquità tra i laureati nelle università italiane, privilegiando quelli che hanno conseguito il titolo nelle facoltà meno qualificate, e di conseguenza di favorire un meccanismo perverso di incentivazione all’iscrizione nelle università che sono meno rigorose nella valutazione degli studenti, determinando un effetto emulativo al ribasso tale da produrre un ulteriore scadimento della qualità dei laureati, ivi compresi quelli che potranno accedere al concorso in magistratura…”. (Odg. 1260 – Aggiunto del 27 luglio 2016, Fasc. 29/RI/2016 - Risoluzione sulla relazione della Commissione ministeriale per il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, relatori Consigliere Palamara, Consigliere Aprile, Consigliere Forteleoni, Consigliere Fanfani, Consigliere Morosini).


Conclusivamente la riforma, con le sue luci e ombre, sembra ridisegnare ancora una volta il volto del concorso in magistratura.


La vera capacità innovatrice e l’efficacia delle proposte si potranno constatare solo al termine dei lavori e sarà possibile cogliere i risvolti positivi palesati dalla riforma e che l’hanno animata solo se tutte le linee guida saranno attuate a pieno.


Ai futuri colleghi l’ardua sentenza.

Autore
Sara Pedone
Magistrato ordinario in tirocinio presso il Tribunale di Lecce

La selettività nella scelta dei magistrati ordinari trae origine dalla necessità di garantire una scelta imparziale dei candidati e di premiare in tal modo i più meritevoli che abbiano dato prova di possedere conoscenze giuridiche di livello elevato e capacità di ragionamento allo scopo di tutelare nella misura più ampia possibile i principi di cui all’art. 97 della Costituzione Sara Pedone