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21 luglio 2017

"Sulla riforma penale restano luci e ombre"

Il presidente dell'ANM intervistato dal "Quotidiano di Sicilia"


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Giovanni Canzio, primo presidente della Corte di Cassazione, in apertura dell’anno giudiziario ha detto che bisognerebbe prendere in considerazione l’ipotesi di aprire alcune “finestre di controllo giurisdizionale” nelle indagini dei pubblici ministeri. Si tratta di una cosa piuttosto nuova, qual è la posizione dell’Associazione nazionale magistrati?
“In realtà quel passaggio è stato troppo fugace nella sua relazione per poterne cogliere pienamente il significato. Giovanni Canzio, prima ancora di essere il primo presidente, è un magistrato prestigioso di cui ascoltiamo con piacere i suggerimenti. Per questo ci sarebbe stato utile capire bene a cosa si riferisse. Ma non è detto che non ci sarà occasione”.


Qual è in generale la sua valutazione sulla riforma penale approvata recentemente?
“Credo che ci siano luci e ombre. Sicuramente c’è una parte che secondo noi non funziona, e cioè quella che prevede l’avocazione delle indagini da parte del Procuratore generale nell’ipotesi in cui ci siano ritardi nell’esercizio dell’azione, dopo l’avviso di conclusione delle indagini. Riteniamo che non sia giusto mettere in mano al Procuratore generale una funzione che non gli è propria, visto che ha un’autorità diversa. Il problema, poi, è che quando le indagini non vengono concluse in tempo va fatto un distinguo: se c’è stata una qualche pigrizia del Pubblico ministero è un conto, ed è giusto che intervengano gli strumenti che già ci sono; se invece il ritardo è dovuto a una difficoltà obiettiva, trasferire le indagini in altre mani non cambia la sostanza, perché gli stessi ostacoli li troverà anche il Procuratore generale. Per questo motivo, secondo noi, si tratta di uno strumento sbagliato e inutile”.
 

E per quanto riguarda gli interventi sulla prescrizione?
“Nella riforma penale la prescrizione è stata leggermente allungata in alcuni casi. In generale, è previsto che non decorra per un anno e mezzo dopo la sentenza di primo grado, poi per un altro anno. Praticamente, si guadagnano tre anni di tempo. Come Anm riteniamo che la durata troppo lunga dei processi sia dannosa non solo per i cittadini, ma anche per la credibilità del sistema giudiziario. E quindi, in qualche modo, per quella di noi magistrati. Anche perché poi si dice sempre che i magistrati lavorino poco, che i tempi lunghi dei procedimenti siano da ricollegare a una questione d’inefficienza nostra. Però c’è un altro tema: il carico di processi è elevatissimo, mentre i magistrati e le risorse economiche sono davvero poche. Ecco, in queste condizioni fare di più e meglio non è possibile. Per questa ragione, se il legislatore propone di allungare un po’ la prescrizione noi siamo favorevoli. Anche se gli interventi necessari sarebbero altri”.


Quali sono gli interventi che suggerite?
“Aumentare il numero dei magistrati, considerato che abbiamo 1.200 posti scoperti, e del personale amministrativo, dove i posti vuoti sono 9 mila. Vanno poi fatti investimenti economici anche per l’ammodernamento informatico, mentre occorre considerare il tema del carico degli affari, che è enorme e bisognerebbe intervenire con azioni di sfoltimento. Per il penale, si potrebbe fare una depenalizzazione di una parte di condotte che oggi non sono più così importanti e possono essere gestite in un altro modo; per il civile, invece, vanno trovate soluzioni per far sì che non si finisca sempre di fronte al giudice e per tre gradi di giudizio. Oggi siamo in una situazione per cui per una contravvenzione del Codice della strada, che è una sanzione amministrativa, sono previsti primo grado, appello e Cassazione. Quando le posizioni giuridiche sono sensibili e si verte sui diritti delle persone, è bene che ci siano diversi gradi. Ma non se si parla aspetti economici di scarsissimo livello, come una lite condominiale. Questa secondo noi è la ricetta: aumentare le risorse investite nella giustizia e ridurre il carico di lavoro. Il Ddl penale però queste cose non le fa. Aumenta la prescrizione, che è una misura tampone che dà un po’ di fiato, ma non elimina il problema”.

 

Cosa pensa del nuovo Codice antimafia approvato al Senato e in discussione alla Camera?
“L’Associazione nazionale magistrati sul nuovo Codice antimafia non ha espresso una posizione ufficiale. Anche perché, in mezzo alle tante polemiche e divisioni, non si sono capiti bene i termini della contrapposizione che vede da una parte il Procuratore nazionale Antimafia e dall’altro l’Autorità nazionale anti corruzione (Anac). Alcuni magistrati si sono espressi a favore della legge, altri contro. C’è però sicuramente una parte di questo nuovo Codice antimafia che, a detta di molti esperti del settore, è ottima: quella relativa all’Autorità per la gestione dei beni confiscati. Ci sono degli interventi che prevedono un miglioramento sensibile del funzionamento di questa autorità, che già esiste ma non riesce a funzionare bene. La si vuole potenziare, dandole nuove strutture e più personale per renderla più efficiente. Secondo gli operatori si tratterebbe davvero di un passo avanti. Dalle polemiche di questi giorni, però, non si capisce se si arriverà o meno all’approvazione di questo nuovo Codice antimafia. Io la penso così: considerato che quello dell’effettiva utilizzazione dei beni confiscati è un tema strategico, se tutti gli operatori sono concordi sulla bontà di questo punto della legge, sarebbe il caso di farla passare. Le leggi riguardano tante cose, si possono stralciare le parti contestate e approvare quelle dove non c’è divisione”.
 



Necessario fare chiarezza sulle toghe nella politica

Recentemente lei si è espresso duramente sul tema delle toghe in politica...
“I magistrati sono cittadini come tutti gli altri, possono scegliere solo loro se sia opportuno o meno candidarsi nel loro foro interno. È chiaro che bisogna evitare l’idea che si spenda sul piano politico la visibilità acquisita in base all’attività giudiziaria. Il problema reale, però, è quello del ritorno in magistratura. La posizione dell’Anm, espressa a maggioranza con il voto contrario della corrente ‘Magistratura Indipendente’,  è questa: si può conservare la qualità di magistrato, ma non tornare nelle aule a fare i processi. Finita l’attività politica il magistrato può andare nelle amministrazioni, come il ministero della Giustizia, dove la sua competenza è richiesta, valorizzata e apprezzata, o in altre giurisdizioni, come il Consiglio di Stato. In questo modo si evitano le polemiche. Ovviamente io ho fiducia assoluta nei miei colleghi, e so che continuerebbero a fare i magistrati con la stessa indipendenza e terzietà, ma potrebbe essere un problema per l’opinione pubblica. E la cosa più importante per noi è garantire l’immagine della magistratura e recuperare un po’ di prestigio e fiducia da parte dei cittadini”.


Come mai Piercamillo Davigo è entrato in polemica con l’Anm? Ne è stato anche presidente…

“Siamo rimasti tutti un po’ sorpresi e anche molto dispiaciuti. Credo che questa sua uscita sia un po’ condizionata dal fatto che l’estate prossima ci saranno le elezioni per il rinnovo del Csm. Quello di Davigo è un gruppo emergente, forse pensa di ottenere più visibilità sganciandosi dall’Anm e assumendo posizioni più ‘di pancia’. Questo però non fa bene all’immagine complessiva: dà l’idea all’esterno di uno scimmiottamento della politica, per di più quella peggiore, e mina l’unità dell’associazione, che è un valore in sé. L’azione dell’Anm è tanto più autorevole quanto risultiamo tutti uniti agli occhi del Ministro, del Governo, dell’Avvocatura”.
 



Stop a rinvii a giudizio inutili per non ingolfare il sistema

Cosa pensa del fatto che spesso il Gip non dia una sua valutazione delle accuse della Procura e si rifaccia semplicemente a quanto detto dal pm?
“Il momento più delicato per un Gip è quando è chiamato a decidere sulla libertà personale. In tali casi la legge vuole che il Gip sia terzo e assuma una propria e autonoma valutazione delle richieste del Pubblico ministero. Un Gip attento e anche severo è fondamentale, non solo nell’interesse dei cittadini, ma anche del Pubblico ministero. Nel caso dell’udienza preliminare, invece, è la legge che in qualche modo prevede un ruolo marginale del Gip rispetto al giudice del dibattimento. Però, anche con questi limiti, ogni tanto se ci sono cose proprio infondate vengono filtrate o eliminate dal Gip, perché poi la responsabilità di tutti noi è di non fare dei processi inutili”.


Si tratta di un ruolo deflattivo?
“Certo. Se mandiamo a giudizio tutto, anche ciò che molto probabilmente si concluderà con un’assoluzione, e non archiviamo prima, siamo noi stessi che creiamo un sovraccarico. È responsabilità nostra non collassare il sistema con dei rinvii a giudizio inutili. È una scelta che tiene conto dell’economia del processo, nel senso proprio dei costi”.


A volte viene lamentata una sproporzione tra accusa e difesa…

“Gli spazi della difesa in questi vent’anni si sono riempiti di sostanza, anche grazie alla militanza culturale degli avvocati delle Camere penali. Poi è chiaro che il difensore segue un interesse particolare e privato del suo assistito, mentre il Pm quello pubblico. Quindi una differenza sia nella fase delle indagini, che in quella del processo è inevitabile e conseguente a questo. Ciò non vuol dire che devono essere ridotte le garanzie. Anche perché ci mettono al riparo dagli errori giudiziari, e quindi noi stessi pm e giudici dobbiamo esserne gelosi custodi”.




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