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L’Ufficio per il Processo: un’etichetta vuota o una reale opportunità?

di Antonio Gatto - 16 ottobre 2017

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L’Ufficio per il Processo (UPP) nasce da una serie di esperienze sviluppatesi, sulla scia di soluzioni organizzative adottate in altri Paesi europei, all’interno di diversi Uffici giudiziari italiani a partire dai primi anni 2000.
A livello normativo, il Legislatore istituisce formalmente l’Ufficio per il Processo con l’art. 50 del D.L. 90/2014 convertito in L. 114/2014.


Gli obiettivi fondamentali


Nell’articolo suindicato, si prevede espressamente la creazione di strutture organizzative denominate “Ufficio per il Processo”, “al fine di garantire la ragionevole durata del processo”, nonché allo scopo di assicurare “un più efficiente impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.
Due appaiono essere, pertanto, gli obiettivi fondamentali perseguiti dal Legislatore: l’accelerazione dei tempi processuali e un più efficiente utilizzo delle tecnologie informatiche.
Il terzo compito fondamentale affidato dal Legislatore all’UPP si ritrova nell’art. 7 del D.M. 1/10/2015, che affida a tale struttura organizzativa la realizzazione della Banca dati della giurisprudenza di merito.
In particolare, si prevede, a decorrere dal 31 dicembre 2016, con un periodo sperimentale di 12 mesi, l’avvio della Banca dati della giurisprudenza di merito, garantendo la fruibilità dei dati in essa contenuti su base nazionale.
Viene affidato al Presidente della Corte d’appello e al Presidente del Tribunale il compito di stabilire annualmente “i criteri per la selezione dei provvedimenti” da inserire nella banca dati, avvalendosi per l’espletamento di tale compito dell’attività dei tirocinanti, nonché degli altri soggetti componenti l’Ufficio per il Processo.


La composizione


L’art. 50 sopra citato, oltre a puntualizzare gli obiettivi prioritari della nuova struttura organizzativa, ne delinea la composizione soggettiva, statuendo che di tale ufficio fanno parte:


1. il personale di cancelleria;
2. i magistrati onorari;
3. i tirocinanti presso gli Uffici giudiziari.


Quanto al personale magistratuale onorario, si fa riferimento, in particolare, ai giudici onorari presso i Tribunali, nonché ai giudici ausiliari presso le Corti d’appello, che sono i due Uffici giudiziari nell’ambito dei quali il Legislatore prevede l’istituzione dell’Ufficio per il Processo.
In ordine ai tirocinanti, si tratta degli stagisti ex art. 73 D.L. 69/2013 (convertito in L. 98/2013), nonché dei tirocinanti ex art. 37 D.L. 98/2011 (convertito in L. 111/2011).


Il ruolo dei tirocinanti e i compiti degli altri componenti


Venendo ai compiti che possono essere affidati, all’interno dell’UPP, ai vari soggetti che lo compongono, va, innanzitutto osservato che è lo stesso Decreto ministeriale istitutivo (datato 1/10/2015) a puntualizzare che, “l’inserimento dei giudici ausiliari e dei giudici onorari di Tribunale nell’Ufficio per il Processo non può comportare lo svolgimento di attività diverse da quelle previste dalle disposizioni vigenti” (art. 1 comma 2), così come “l’inserimento del personale di cancelleria nell’Ufficio per il Processo non può comportare modifiche dei compiti e delle mansioni previsti dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti” (art. 1 comma 3).


Se così è, se, dunque, a magistrati onorari e cancellieri, seppur inseriti nell’Ufficio per il Processo, non possono essere affidati compiti diversi e aggiuntivi rispetto a quelli previsti dalle disposizioni vigenti, appare evidente che larga parte del successo o del fallimento di questa nuova struttura organizzativa dipenderà dal fattivo coinvolgimento all’interno della stessa dei tirocinanti, i quali finiranno con l’assumere il ruolo (per quanto possa apparire cruda quest’espressione) di “valvola di sfogo” del sistema.


Sono proprio i tirocinanti, quindi, i soggetti chiamati, all’interno dell’Ufficio per il Processo, a farsi carico di attività fino ad oggi svolte dal magistrato togato e che in futuro potranno essere delegate ai giovani laureati in tirocinio.
In base alle esperienze già maturate in vari Uffici giudiziari in diverse parti d’Italia, è possibile riassumere le attività affidabili ai tirocinanti come segue:


1. fase di controllo: controllo del fascicolo tramite una check list che elenca tutte le specifiche attività da compiere (nel settore penale: verifica della prescrizione del reato; individuazione della scadenza delle misure cautelari; accertamento della regolarità delle notifiche; ecc.); al termine dei controlli effettuati, viene redatta una “scheda del processo” da cui sono rapidamente evincibili tutti i dati maggiormente significativi;
2. fase pre-udienza: ricerca dottrinale e giurisprudenziale sulle questioni più complesse e delicate ai fini della decisione (in questa prospettiva, certamente opportuna appare la partecipazione dei tirocinanti e di tutto l’UPP alle riunioni ex art. 47 quater dell’Ordinamento giudiziario, allo scopo di dare vita, all’interno del singolo Ufficio, ad orientamenti giurisprudenziali quanto più possibile condivisi e univoci);
3. fase dell’udienza: redazione del verbale di udienza;
4. fase provvedimentale: redazione di bozze di sentenze, ordinanze e decreti;
5. fase post-provvedimentale: raccolta e massimazione dei provvedimenti da inserire nella Banca dati della giurisprudenza di merito, selezionati in base ai criteri individuati dal Presidente della Corte d’appello o del Tribunale.


Il valore dell’attestato di tirocinio e gli altri vantaggi per i tirocinanti


È evidente come un utilizzo intensivo dei tirocinanti sia in grado, da un lato, di sgravare il magistrato professionale da una nutritissima serie di incombenze che, previa adeguata formazione, possono essere svolte dai giovani laureati in tirocinio, dall’altro, di massimizzare l’esperienza formativa degli stessi tirocinanti, pienamente e fattivamente coinvolti nell’esercizio dell’attività giudiziaria.
In questa prospettiva, decisivo appare l’appeal che il tirocinio formativo presso gli Uffici giudiziari sarà in grado di esercitare sui giovani laureati, soprattutto su quelli con una più solida preparazione giuridica di base.
Sul punto, va ricordato che possono accedere al tirocinio ex art. 73 D.L. 69/2013 solo i laureati che abbiano conseguito un punteggio finale non inferiore a 105/110 (o che abbiano riportato almeno il voto di 27 di media nella materie più importanti del corso di studi).
Questi ultimi saranno attratti dal tirocinio in base a due elementi fondamentali: sul piano astratto, il valore legale del titolo conseguito al termine dello stage; sul piano concreto, la qualità del percorso formativo offerto dai vari Uffici giudiziari.
Sotto il primo profilo, il Legislatore, rispetto alla stesura originaria dell’art. 73 D.L. 69/2013, nel 2014, ha operato un radicale dietrofront sulla questione più rilevante: l’attestato di positivo espletamento del tirocinio formativo presso un Ufficio giudiziario è, oggi, titolo valido per la partecipazione al concorso in magistratura.
Oltre a ciò, l’esito positivo dello stage:


» è valutato per il periodo di un anno ai fini del compimento del periodo di tirocinio professionale per l’accesso alla professione di avvocato o notaio;
» è valutato per il medesimo periodo di un anno ai fini della frequenza dei corsi della Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali (fermo il superamento delle verifiche intermedie e delle prove finali);
» costituisce titolo di preferenza nei concorsi pubblici;
» costituisce titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario e a vice procuratore onorario.
» Inoltre, per la durata dello stage, i tirocinanti:


»» in presenza delle condizioni previste, hanno diritto a percepire una borsa di studio pari a € 400 mensili (sebbene la concreta corresponsione abbia fatto registrare qualche ritardo);
»» possono usufruire delle apparecchiature informatiche dell’Ufficio giudiziario loro temporaneamente assegnate (per l’acquisto di dotazioni strumentali informatiche è autorizzata una spesa per ciascun tirocinante non superiore a € 400);
»» possono accedere gratuitamente alla banca dati Italgiure con una propria password personale, al fine di effettuare ricerche giurisprudenziali.


Se la determinazione del valore legale dell’attestato di tirocinio è compito esclusivo del Legislatore, su cui gli Uffici giudiziari non possono ovviamente intervenire, compete invece solo ed esclusivamente alla Magistratura e ai vari Uffici delineare un percorso formativo che si riveli realmente attrattivo nei confronti dei giovani laureati e che li induca a preferire questo rispetto ad altri percorsi postuniversitari.
Per conseguire tale risultato, tuttavia, è necessario impegnarsi realmente nella formazione dei tirocinanti, fornendo loro concrete opportunità di apprendimento teorico e pratico, sia nella quotidiana attività di tirocinio all’interno dell’UPP, sia dedicando loro alcuni specifici incontri di formazione e di approfondimento sui temi di maggior interesse.
Solo in questo modo, sarà possibile conseguire un flusso assiduo e stabile di risorse umane da destinare all’Ufficio del Processo, seppur con il continuo turnover determinato dalla durata di 18 mesi dello stage.


Il livello di inserimento dell’Ufficio per il Processo


Una delle questioni fondamentali che attiene all’UPP è rappresentata dalla necessità di individuare il livello di inserimento delle nuove strutture organizzative.
Sul punto, l’art. 2 del D.M. 1/10/2015, si limita a stabilire che il Presidente della Corte d’appello o del Tribunale articola le strutture organizzative denominate Ufficio per il Processo, tenuto conto del numero effettivo di giudici ausiliari o di giudici onorari, nonché del personale di cancelleria e dei tirocinanti a disposizione.
La medesima norma precisa che il capo dell’Ufficio assegna le strutture organizzative in questione a supporto di uno o più giudici professionali, tenuto conto in via prioritaria del numero delle sopravvenienze e delle pendenze.
Si pone, dunque, il problema di determinare a che livello strutturale-organizzativo sia opportuno (o più efficiente) inserire l’Ufficio per il Processo.
Cercando di sintetizzare quanto accaduto sinora nei vari Uffici giudiziari italiani, è possibile rilevare una situazione assai variegata.
In primo luogo - è doveroso riconoscerlo - vi sono molti Uffici che non hanno ancora provveduto alla concreta istituzione dell’UPP. Assai verosimilmente si tratta di una scelta dovuta alla convinzione che la struttura in questione sia o corra il rischio di essere una “etichetta vuota”: ai medesimi soggetti (cancellieri, magistrati onorari, tirocinanti) viene assegnato un nome differente, ma con le stesse funzioni (stesse dotazioni umane e materiali).
In disparte gli Uffici giudiziari in cui l’UPP non è stato istituito, nei Tribunali e nelle Corti d’appello in cui è stato creato, si assiste ad una situazione assai frastagliata proprio in relazione al livello organizzativo in cui è stata inserita questa nuova struttura.
In particolare, sembra possibile distinguere quattro diverse ipotesi:


1. l’UPP unico: viene creato un unico ufficio a livello di Tribunale o di Corte d’appello; è il modello che forse più di ogni altro si limita a fotografare e perpetuare la realtà esistente;
2. l’UPP individuale: la nuova struttura organizzativa viene assegnata al singolo magistrato togato, al quale vengono attribuiti cancellieri, magistrati onorari e tirocinanti, nei limiti delle disponibilità dell’Ufficio giudiziario;
3. l’UPP sezionale: l’Ufficio viene realizzato a livello di Sezione; in questo caso, cancellieri, magistrati onorari e tirocinanti non vengono assegnati al singolo magistrato professionale, ma ad una intera Sezione;
4. l’UPP settoriale: la nuova struttura organizzativa ingloba più Sezioni omogenee (ad esempio tutte le sezioni penali di un Tribunale), le quali hanno, in tal modo, la possibilità di centralizzare alcune funzioni specifiche proprio in capo all’UPP, conseguendo così un’economia di scala e di specializzazione.


Com’è agevole rilevare, i primi due modelli (quello dell’UPP unico e quello dell’UPP individuale) finiscono per coincidere e sovrapporsi: in sostanza, il fulcro della nuova struttura organizzativa finisce sempre per essere il singolo magistrato professionale, cui fanno capo cancellieri, magistrati onorari e tirocinanti. Si tratta di un modello che certamente consente di operare una traslazione di attività, prima svolte dal magistrato togato, che passano alla nuova struttura e soprattutto ai tirocinanti, ma non una specializzazione di funzioni e dunque un’economia di scala.
In entrambi i casi (modello dell’UPP unico e dell’UPP individuale), la nuova struttura rischia davvero di essere una “etichetta vuota”, senza una reale utilità, non discostandosi molto dalla situazione antecedente l’introduzione dell’UPP.
Quindi - a parere di chi scrive - occorre guardare al modello settoriale o a quello sezionale, per cercare di centralizzare attività, perseguire specializzazione e velocizzazione.
Si pensi, ad esempio, a quanto sarebbe utile istituire un UPP che inglobasse tutte le Sezioni penali (o almeno quelle dibattimentali) di un Tribunale, demandando a uno specifico sottogruppo interno all’UPP (evidentemente specializzato) la liquidazione dei compensi dovuti ai custodi o la liquidazione degli onorari agli avvocati nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (anche solo in bozza, restando poi il definitivo potere decisionale in capo al singolo magistrato competente, che potrà o meno condividere la bozza predisposta dall’Ufficio).
Se, dunque, la domanda è “qual è il livello ottimale cui istituire l’UPP all’interno del singolo Ufficio giudiziario?”, la risposta non può che essere: il livello che, tenendo conto delle problematiche e delle disponibilità del singolo Ufficio, consenta il massimo della traslazione di attività dal magistrato professionale allo staff che viene creato e, allo stesso tempo, il massimo della specializzazione, assegnando a sottogruppi specifici l’espletamento di attività prima affidate, in maniera frammentaria e promiscua, a più magistrati o a più Sezioni.
In conclusione, se il fine ultimo dell’UPP è quello di velocizzare il processo, il miglior modello possibile non può che essere quello che riesce a decongestionare l’imbuto nel suo punto di massima strozzatura, che, nel sistema giudiziario, è evidentemente rappresentato dal singolo magistrato professionale, alle prese con una corposissima serie di incombenze tra cui, soprattutto, la motivazione dei provvedimenti, che molto spesso determina, soprattutto nel settore civile, un sensibile rallentamento del iter processuale proprio nel momento in cui esso dovrebbe volgere al termine.


Le novità introdotte dalla riforma della Magistratura onoraria


La riforma della Magistratura onoraria (D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116) ha introdotto diverse importanti novità.
Con specifico riferimento al tema trattato, è significativo osservare come la stessa struttura organizzativa dell’UPP, già prevista per Tribunali e Corti d’appello, sia stata estesa alle Procure della Repubblica presso i Tribunali con la denominazione di “Ufficio di collaborazione del Procuratore della Repubblica” formato da:


1. personale di segreteria;
2. vice procuratori onorari;
3. tirocinanti ex art. 73 D.L. 69/2013 o ex art. 37 D.L. 98/2011.


La riforma prevede due categorie di magistrati onorari: i giudici onorari di pace (GOP) e i vice procuratori onorari (VPO), con la conseguente scomparsa degli attuali giudici onorari di Tribunale (GOT).
Per i primi è prevista espressamente la determinazione (con separato decreto) del numero destinato alla giurisdizione civile, alla giurisdizione penale e all’UPP presso il Tribunale, con possibile assegnazione a questi ultimi di procedimenti civili e penali, di competenza del Tribunale ordinario (per il periodo di due anni dal conferimento dell’incarico i giudici onorari di pace devono essere necessariamente assegnati all’UPP).
Si prevede, inoltre, che il giudice onorario di pace coadiuvi il giudice professionale a supporto del quale la struttura organizzativa è assegnata e, sotto la direzione e il coordinamento del giudice professionale, compia, anche per i procedimenti nei quali il Tribunale giudica in composizione collegiale, “tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice professionale, provvedendo, in particolare, allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale ed alla predisposizione delle minute dei provvedimenti”, potendo anche partecipare alla camera di consiglio.
Al giudice onorario inserito nell’UPP possono essere affidati anche: l’assunzione delle testimonianze, l’espletamento di tentativi di conciliazione, nonché i provvedimenti di liquidazione dei compensi degli ausiliari e i provvedimenti che risolvono questioni semplici e ripetitive.
Al GOP può, inoltre, essere demandata la pronuncia di provvedimenti definitori in alcune tipologie di procedimenti determinati per materia e per valore.
Il vice procuratore onorario, oltre alla trattazione dei procedimenti a lui delegati e all’adozione dei relativi provvedimenti, “coadiuva il magistrato professionale e, sotto la sua direzione e il suo coordinamento, compie tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giudiziaria da parte di quest’ultimo, provvedendo allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale ed alla predisposizione delle minute dei provvedimenti”.
Si palesa, pertanto, la volontà del Legislatore, non soltanto di confermare e rafforzare l’UPP, garantendo l’apporto continuativo dei magistrati onorari, ma anche l’intenzione di estendere tale struttura organizzativa dal settore giudicante a quello requirente.
Anche per Consiglio di Stato e TAR è stata prevista l’istituzione dell’“Ufficio per il processo amministrativo” con il D.L. 168/2016 (convertito in L. 197/2016), con una composizione che postula, anche in tal caso, il coinvolgimento di personale amministrativo e tirocinanti.
Almeno nei programmi del Legislatore, dunque, l’UPP sarà, nei prossimi anni, uno dei principali protagonisti dell’esercizio dell’attività giudiziaria.

Autore
Antonio Gatto
Giudice del Tribunale di Lecce

L’Ufficio per il Processo (UPP) nasce da una serie di esperienze sviluppatesi, sulla scia di soluzioni organizzative adottate in altri Paesi europei, all’interno di diversi Uffici giudiziari italiani a partire dai primi anni 2000. A livello normativo, il Legislatore istituisce formalmente l’Ufficio per il Processo con l’art. 50 del D.L. 90/2014 convertito in L. 114/2014. Antonio Gatto