Il 23 maggio è una data indelebile nella memoria del Paese, e nella memoria di ognuno di noi. Di chi, in quel giorno, era Magistrato, di chi lo stava per diventare, e di chi ha trovato nell’inumano sacrificio di quel giorno una spinta ancora più forte per diventarlo.
La strage di Capaci – che è costata la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, servitori dello Stato - è una delle pagine più dolorose della storia tormentata della nostra Repubblica, ed è una ferita ancora sanguinante.
Il 23 giugno del 1992, ad un mese dalla morte dell’amico e collega, e poco tempo prima di essere anche lui assassinato, Paolo Borsellino pronunciò queste toccanti parole: “Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte.?Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone, l’estremo pericolo che egli correva perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato, che tanto non gli piaceva. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli siamo stati accanto in questa meravigliosa avventura, amore verso Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene”.
Oggi onoriamo con profonda emozione la memoria di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta: per la prima volta non lo possiamo fare nei luoghi che ne sono memoria viva e toccante, quei luoghi che ogni 23 maggio vedono cittadine e cittadini riunirsi, per rinnovare il loro tributo di gratitudine e profonda riconoscenza.
La memoria è un esercizio doloroso e difficile: ma è il solo modo che abbiamo per far in qualche modo vivere, almeno idealmente, chi non è più tra noi. L’eredità di Giovanni Falcone è monumentale, e straordinariamente impegnativa; va custodita con cura, e sottratta alla retorica della ritualità, che è l’insidia più pericolosa in ogni celebrazione.
Paolo Borsellino, nel discorso che ho poc’anzi citato, ricordò che Falcone trovava di grande importanza, nella stagione davvero inedita inaugurata dal suo lavoro, il sostegno della gente: “la gente è con noi”, disse. Non si trattava naturalmente della ricerca del consenso, ma di quella ben diversa della fiducia, elemento imprescindibile nel rapporto tra la magistratura e la società.
Questo è un punto che io avverto oggi come cruciale, come Magistrato e come Presidente dell’A.N.M.: la fiducia si alimenta di credibilità, nell’esercizio del potere giurisdizionale e in ogni momento della sua articolazione, nell’autogoverno, nella vita associativa. Raccogliere l’eredità di Giovanni Falcone, e onorarne la memoria, impone una quotidiana verifica non tanto delle nostre capacità – perché il confronto sarebbe davvero impossibile – quanto della tensione morale, dell’impegno incessante e disinteressato, della intransigente difesa della legalità e del suo primato.
Giovanni Falcone affrontò il suo chiaro, e annunciato destino, senza mai recedere dal suo impegno, che considerava un dovere. In ciò l’ eroismo che non pretendeva dagli altri – “bisogna rendersi conto che la mafia è un fenomeno terribilmente serio e grave, e che va combattuto non pretendendo l'eroismo di inermi cittadini, ma coinvolgendo nella lotta le forze migliori delle istituzioni” – ma sapeva bene sarebbe stato nel suo destino: una statura morale davvero incommensurabile, ancora di più se si ricorda che il suo percorso umano e professionale fu spesso ostacolato, ben oltre le fisiologiche diversità di idee che da sempre caratterizza il nostro mondo.
Allora, con le magnifiche parole di altri, vorrei ora ricordare Giovanni Falcone così: “Penso a un eroe come a qualcuno che comprende la responsabilità che deriva dal proprio essere libero”.
Milano, 23 maggio 2020
Luca Poniz