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14 marzo 2021

La relazione del presidente Giuseppe Santalucia al CDC del 13-14 marzo


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Prendo la parola per alcuni chiarimenti.

Leggo la chat di whatsapp dei componenti del Cdc e leggo anche la mailing list dell’Anm.

Leggo anche le critiche e le domande che mi vengono rivolte, a cui non ho mai voluto opporre un silenzio irriguardoso.

Ritengo però che i luoghi in cui come presidente dell’Anm debbo dare conto e risposta siano le sedi istituzionali, i luoghi statutari del dibattito e del confronto.

Nutro poca fiducia nelle capacità dei mezzi informatici quando occorre dibattere di temi politici e, per quel che ci riguarda, di politica associativa:



  • penso che la mediazione del mezzo informatico, il diaframma tecnologico che si interpone nella conversazione non agevoli la comprensione delle reciproche ragioni;

  • temo che l’annullamento delle distanze fisiche non equivalga ad un abbattimento delle correlate difficoltà di una discussione autenticamente aperta al dialogo.


Perché la discussione non implica per necessità il dialogo, ed è il dialogo che dobbiamo con ostinazione ricercare.

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1. La prima questione attiene all’ordine del giorno della precedente seduta di comitato direttivo centrale. Come ricorderete, quell’ordine del giorno è stato composto anche in considerazione dei contenuti di una richiesta, fatta da sei componenti del comitato direttivo, di convocazione con l’indicazione di alcuni punti per la discussione e tra questi il seguente: “La raccomandazione nel sistema dell’autogoverno e le conseguenze sulla giurisdizione”.

Nella breve relazione che ho svolto nel corso della scorsa seduta ho spiegato che la richiesta dei sei componenti era pervenuta quando già avevo maturato l’idea, condivisa con la Giunta, di porre in discussione, tra l’altro, il tema delle “linee di azione della Procura Generale nella c.d. “Vicenda Palamara”.

E ho precisato, nel dare conto delle ragioni di quell’ordine del giorno, che ritenevo, come ancora ritengo, interamente assorbito il punto sulla raccomandazione in quello sulle linee di azione della procura generale nella cd. vicenda palamara.

Su quel punto, infatti, si è svolto in quella seduta un ampio dibattito. Si è affrontato il tema del disvalore della pratica della raccomandazione, quello delle ricadute di quella pratica sul sistema giudiziario, anche attraverso l’attenzione che molti degli interventi hanno riservato al libro edito da Rizzoli con autori Sallusti e Palamara.

Prima di formare l’ordine del giorno della seduta odierna ho consultato il presidente della seduta del 6-7 febbraio per avere riscontro dei punti dell’ordine del giorno che allora non si era riusciti a trattare e anche sulla base di quella comunicazione mi sono determinato nei termini della convocazione.

Il Cdc è però sovrano e potrà decidere se del tema se ne vorrà occupare alla prossima riunione.

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2. Uno degli episodi di maggior rilievo che hanno interessato l’Anm nei giorni scorsi è stato l’incontro con il Presidente della Repubblica

L’invito del Presidente della Repubblica è stato rivolto a me, come Presidente dell’Anm, e al Segretario generale, per ovvie ragioni di cautela in tempi di emergenza sanitaria, e non credo di errare se aggiungo per la istituzionale rappresentanza dell’Associazione che a norma, ampiamente nota, di Statuto spetta appunto al Presidente.

Hanno giocato un ruolo le restrizioni di tipo sanitario perché Il presidente della Repubblica ha manifestato l’intendimento di poter incontrare, quando si potrà, la giunta nella sua interezza, proprio facendo riferimento alle regole di prevenzione che oggi governano gli incontri in presenza fisica.

Non sono un esperto di protocollo, ma so che occorre prudenza e cautela quando si ha l’onore di ricevere l’attenzione della più alta magistratura del Paese e ho preferito non anticipare la diffusione di una notizia, quella appunto dell’incontro con il Presidente, prima e in luogo delle determinazioni degli Uffici del Quirinale che curano l’agenda e la comunicazione delle attività del Presidente.

Solo dopo l’incontro ne abbiamo dato comunicazione pubblica, in linea con l’assoluta sobrietà dei comunicati del Quirinale, anche di quello dedicato a quello specifico evento.

Non ho inteso, in tal modo, mancare di rispetto al Cdc, ma ho cercato di usare il massimo rispetto nei confronti del Presidente della Repubblica, la più scrupolosa attenzione ai profili della comunicazione per non incorrere, senza volerlo, in possibili spiacevoli gaffes istituzionali.

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3. Durante il colloquio con il Capo dello Stato, e anche sul punto rispondo ad una precisa sollecitazione, non sono stati affrontati i contenuti di questioni legate alle prossime riforme.

Mi sono mosso nell’ambito del programma di Giunta e in quell’ambito ho espresso qualche mia convinzione.

Anzitutto, che l’unità associativa, nei limiti in cui è oggi possibile, rivela la diffusa consapevolezza che, al di là delle responsabilità individuali per quanto è accaduto, v’è un piano diverso e generale su cui l’intera magistratura è interpellata per una ripresa del senso autentico dell’associazionismo.

Le degenerazioni pesano sull’intero Corpo, perché è la Magistratura nel suo insieme, come Istituzione di garanzia, che si relaziona con la comunità, sia nella sua dimensione di apparato che nella sua consistenza di società civile.

Il compito dell’associazionismo in magistratura è stato storicamente quello di offrire un luogo di crescita collettiva, per l’affinamento delle sensibilità culturali sul modo di esser magistrato e di esercitare una funzione così essenziale per la vita democratica della società intera.

Nessuna nega che il patrimonio degli anni più lontani sia stato dimenticato e messo da parte; che nel passato meno distante abbia prevalso l’interesse per la dimensione di potere e non di servizio della figura del magistrato, che si sia cercato di introdurre e stabilizzare legami indebiti con il Consiglio superiore per dare spazio a istanze individuali, di ambizione dei singoli.

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4. Di certo, non si è parlato del sorteggio per la composizione del Csm o della pretesa impossibilità di funzionamento del Csm nei termini illustrati dalla lettera aperta di alcuni colleghi al Capo dello Stato, con l’espressa sollecitazione allo scioglimento del Csm.

Non l’ho fatto anzitutto per il rispetto che porto al Cdc che attraverso le sue commissioni sta lavorando sui temi delle riforme e non ha ancora assunto una posizione di cui come presidente io possa essere latore nelle sedi istituzionali.

I meccanismi di formazione democratica della volontà di una Associazione, composita al suo interno per la diversità di visioni sui temi della giustizia, impongono cautela.

Ma è un errore confondere la cautela:



  • con l’assenza di idee,



  • con lo smarrimento di chi non sa come proporre una ripresa dalla profonda crisi che la magistratura sta attraversando,



  • con la difesa pavida di un assetto degenerato del pluralismo associativo.


Il sorteggio viene posto con forza sul tavolo della discussione interna ed esterna, e allora dico non ciò che pensa l’Associazione ma quel che penso io.

Non ritengo accettabile che l’unica riforma possibile debba consistere nella compressione del diritto di elettorato (attivo e passivo) dei magistrati, anche di tutti quelli, e sono la gran parte, che non hanno colpe da emendare.

Non penso che si possa restituire libertà al Csm privando i magistrati di diritti di cui dalla Costituzione repubblicana in poi hanno goduto.

Considero un progetto di retroguardia culturale quello che muove dalla implicita premessa della inadeguatezza etica dei magistrati, sin dal loro ingresso in carriera, della loro debolezza di fronte alle lusinghe del potere e alle pressioni dei gruppi di potere.

Credo che sia un diritto, e per chi fa associazione un dovere, il contrasto della narrazione secondo cui l’unica possibilità di combattere le degenerazioni correntizie passi per questa via.

Un magistrato a cui si dice, e che supino accetta, che non può praticare la libertà di associazione nel modo più trasparente, democratico e apartitico possibile, che non può scegliere coloro a cui la Costituzione affida il compito di preservare le precondizioni di una giurisdizione all’altezza del ruolo sarà più forte o più debole di fronte al potere?

E il Csm, strappato all’orizzonte di senso di una ancora possibile corrispondenza programmatica, di un ancora possibile legame ideale con la platea dei magistrati “amministrati” sarà più autorevole o ne verrà fuori fiaccato e indebolito nel confronto tra gli attori della sfera pubblica?

Sono domande necessarie, che non eludono e non celano la drammatica realtà di una vistosa crisi dell’associazionismo e del cd. autogoverno della magistratura.

Da quella consapevolezza occorre muovere, ma non si può e non si deve smarrire la strada di una ricostruzione fedele ad un disegno costituzionale di cui siamo tra i custodi e non i proprietari, liberi come tali, di concorrere al suo sfascio in nome dei più nobili ideali di moralità e indifferenza ai vantaggi personali.

Penso poi che non si possa trascurare che il sorteggio, così come viene oggi proposto e propagandato, non potrebbe perseguire uno dei fini che storicamente lo hanno contrassegnato nella esperienza istituzionale del lontano passato, ossia di annullare la distinzione “governanti-governati”, perché si innesterebbe in un Csm costruito come unico organo centrale per un Corpo professionale di oltre diecimila amministrati, e quindi organo troppo accentrato, e con mandato alla composizione dell’organo di ben quattro anni, troppo lungo.

Entrambi questi fattori impedirebbero al sorteggio di accorciare le differenze “governanti-governati”, che anzi, senza un legame di rappresentatività fondato sulla scelta, sarebbero fortemente ampliate.

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5. Un’altra via esiste ed è quella che a mio personale giudizio occorre imboccare. Quella anzitutto delle riforme normative sul Csm, che devono essere per il Governo e la sua maggioranza politica una priorità.

Non lettere al Presidente della Repubblica per invocare l’esercizio di un potere di sorveglianza per così dire politica, che il suo ruolo di altissima garanzia dell’ordine democratico non conosce; ma istanze alla Politica perché mantengano un ordine di priorità nelle riforme necessarie, anche se non direttamente collegati ai piani di impiego del recovery fund.

Il sistema elettorale va cambiato, nel senso di restituire al magistrato elettore la più ampia libertà di scelta, di fare arretrare – e fortemente – i gruppi associativi nel momento della espressione del voto, di consentire al Csm d’essere rappresentativo delle varie sensibilità. E le possibilità tecniche ci sono, penso ad esempio, tra i possibili, al sistema del voto singolo trasferibile, o a quello uninominale per plurimi collegi con candidature individuali con collegamento extracollegio.

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6. La duplice crisi che stiamo attraversando, della Magistratura e del Paese, servirà – questo è il mio auspicio – per liberare la voce dell’Associazione da riflessi di chiusura corporativa, perché anche grazie alla crisi si è rafforzata la consapevolezza che tutti si debba contribuire, ciascuno per la parte di competenza, a migliorare il servizio nell’interesse esclusivo e prioritario della comunità nazionale ed europea.

Dovremo essere capaci di contribuire, con le nostre esperienze professionali, al progetto riformatore.

Le ragioni del malessere della magistratura, che il carrierismo rende palesi, potranno essere utilmente affrontate soltanto ponendo mano a quelle riforme che, elevando la qualità della risposta di giustizia con investimento serio di risorse, per ciò stesso restituiranno agli operatori del settore, e quindi ai magistrati, la centralità del loro ruolo, capace di assicurare le più alte gratificazioni senza che si senta il bisogno di ricercarle nella occupazione di posti direttivi o di più o meno delineati cursus honorum.



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