di Marco Menduni
GENOVA - L’accusa più difficile da mandar giù è quella di essere 1 dei ricattatori. Di voler sovvertire le scelte degli elettori. Oltre a quella, mantra ormai trentennale, di agire per fini politici. Non piace a Giuseppe Santalucia, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, il clima arroventato intorno all'inchiesta che ha portato alle dimissioni di Giovanni Toti. «Si parla - dice Santalucia di magistratura che ricatta, che violenta la politica, la democrazia. Tutti questi giudizi mi sembrano insensati. Mi sorprende che ci sia questa levata di scudi con un linguaggio così brutale».
Qual è, come la definisce, la maggiore insensatezza delle polemiche?
«E come se non si considerasse che tra la presunzione di innocenza, che resta tale di qualunque soggetto indagato compreso il presidente della Regione, e il provvedimento di cautela ci sta in mezzo qualcosa. Sono stati raccolti a giudizio dei magistrati, ma è l'unico giudizio che vale, gravi indizi di colpevolezza, che sono la base per l'emissione di un provvedimento di cautela».
Era però da mettere in conto che un'inchiesta di tale portata e le sue conseguenze alimentassero quel clima di contrasto che da moltissimo tempo contrappone politica e magistrati.
«Occorre fare una riflessione. Perché non si può ragionare come se i magistrati si fossero alzati una mattina e avessero deciso di sovvertire una giunta regionale, una presidenza di Regione. C'è stato del materiale investigativo significativo. La gravità indiziaria, secondo giurisprudenza pacifica, significa alta probabilità di colpevolezza. Quindi stiamo parlando di qualcosa che ha una sua consistenza, che non conosce compressioni del principio di eguaglianza di fronte alla legge».
Qualcuno oppone proprio questo ragionamento: un presidente di Regione ha raccolto un mandato popolare...
«Il sistema è quello da tutti accettato: tutti i cittadini rispondono davanti alla legge. Anche un presidente di Regione, fino a quando non verrà introdotta un'eventuale immunità penale, risponde al pari di qualunque altro cittadino».
Lei dice: dovrebbe essere un principio incontestabile.
«Ma tutto questo sembra messo in ombra. È come se i magistrati avessero deciso un buon mattino di cambiare il governo di una Regione e non si comprende perché lo avrebbero fatto. Si dice: sono politicizzati. Ma lo dicono gli stessi soggetti i quali già preconizzano che tra un po' questo processo, come altri, verrà concluso da un'assoluzione».
Lo affermano sulla scorta di procedimenti passati che hanno avuto questo esito.
«Allora dico: delle due l'una, o la magistratura è politicizzata e non vedo perché debbano essere politicizzati solo i pubblici ministeri e i giudici della cautela che hanno confermato un provvedimento restrittivo, e non anche i giudici del dibattimento. Oppure più semplicemente non c'è nessuna politicizzazione, ma c'è un faticoso, complesso lavoro di accertamento che come è fisiologico qualche volta, non così spesso come si dice, può portare anche ad una assoluzione».
È una delle possibilità del processo, che in caso contrario non avrebbe nemmeno senso celebrare.
«Quello che sarà, sarà. Oggi abbiamo di fronte un corredo indiziario grave, significativo, che ha resistito agli ulteriori vagli del giudice. La difesa ha chiesto più volte la revoca o la sostituzione della misura e questi provvedimenti sono stati rigettati con varie eccezioni».
Ma questo non ha smorzato le polemiche, anzi.
«In tutto questo si sta creando un'enorme confusione. Parlando in maniera davvero sorprendente, in un sistema a democrazia compiuta, di una magistratura che ricatta un esponente politico. E tutto un gioco di parole molto pesanti che discreditano un'istituzione del Paese, la giustizia, e mette in ombra il fatto che i giudici si stanno comportando in questo caso come si comportano sempre, cioè quando ci sono gravi indizi di colpevolezza. Un pericolo di reiterazione del reato che viene apprezzato proprio in ragione del fatto che quel soggetto ha mantenuto la carica che ha dato la stura a quei provvedimenti. È un ragionamento che si fa sempre nelle aule di giustizia, quindi non c'è nessun trattamento particolare in questo caso».
Il ministro Nordio ha avuto espressioni molto severe su questa inchiesta e in particolare sul provvedimento del Riesame con le sue motivazioni. Quella frase in cui ha affermato di "non aver capito nulla".
«Il ministro ha avuto parole tanto severe quanto superficiali e noi, come giunta dell'Associazione dei magistrati, abbiamo replicato a quelle parole del ministro che contribuiscono, proprio perché provengono dal titolare della Giustizia, a questa dannosa confusione. Dire che non ha compreso un provvedimento di un tribunale è una forma di critica ingenerosa e ingiustificata. Perché non ha detto cosa non ha capito, ma ha finito ancora una volta per gettare un'ombra sull'operato di un tribunale della Repubblica. Ha aumentato quella confusione e quel clima avvelenato in cui poi le lingue si confondono e tutto pare il frutto di un fantomatico complotto odi una deviazione dai fini istituzionali. A me pare gravissimo esporre la critica su questo piano».
L'attacco alle toghe accusate di perseguire fini politici è un refrain che dura da almeno tre decenni. Come se ne esce?
«Accettando reciprocamente i ruoli e credo che la magistratura su questo non abbia da riflettere, perché non c'è nessuna invasione che se ne dica. Se la politica vorrà creare immunità particolari (sul calco di quella dei parlamentari, ndr) lo faccia e se ne assuma la responsabilità di fronte al corpo elettorale. Ma non si può pretendere che i magistrati, come pure qualcuno ha scritto, nel momento in cui fanno scelte di questo tipo, di misure cautelari, di apprezzamento degli indizi, valutino se quel soggetto è un politico, ha una carica elettiva o meno, perché il principio di uguaglianza questo tipo di valutazioni non lo consente. Spetta alla politica, se ritiene, fare scelte diverse. Ma ribadisco che in questo sistema di eversivo, di ricattatorio, non c'è proprio nulla».