di Annachiara Valle
«È un fatto sicuramente positivo, se non fosse che è stato accompagnato da dichiarazioni di alcuni esponenti della maggioranza secondo le quali incontrare l’Anm sarebbe inutile, se non addirittura dannoso», Rocco Maruotti, neo segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) spera che l’apertura della premier Meloni anche in vista dell’annunciato sciopero proclamato per il prossimo 27 febbraio porti davvero a concretizzare un incontro che «possa quantomeno servire al governo a comprendere meglio che noi magistrati non siamo i “nemici della Nazione”, come a volta veniamo ingiustamente additati, ma l’espressione di un ordine che esercita l’alta funzione di garantire i diritti e le libertà di tutti i cittadini».
Le posizioni sembrano inconciliabili. Allora perché avete chiesto di essere ascoltati?
«Lo abbiamo chiesto anche nella speranza che possa servire a ristabilire un clima di maggiore disponibilità reciproca a un dialogo costruttivo, che poi è ciò che serve al Paese e alle istituzioni che lo rappresentano. Sul fatto che questo incontro possa sortire anche effetti positivi sull’iter parlamentare della riforma costituzionale personalmente ho forti perplessità, visto che ci è stato già anticipato che non vi è alcuna intenzione da parte del Governo di fermare l’iter di approvazione di una riforma che noi consideriamo dannosa e sulla quale era necessaria una maggiore disponibilità al confronto. Disponibilità che fino a ora ci è stata sostanzialmente negata, tanto è vero che il ddl costituzionale sulla separazione delle carriere è stato già approvato in prima lettura alla Camera con un testo blindato».
Avete confermato lo sciopero del 27 febbraio contro la riforma che separa le carriere. Come spiegate ai cittadini che non si tratta di una difesa corporativa?
«Ai cittadini diciamo che con questa riforma non sono in discussione interessi sindacali dei magistrati. La riforma non incide sui giorni di ferie o sullo stipendio dei magistrati. Incide, invece, sulla Costituzione, modificando gli equilibri di quella separazione dei poteri che è uno degli architravi su cui si regge tutto l’impianto costituzionale. E lo fa con un approccio che tradisce lo spirito di “pacificazione” che aveva animato i padri costituenti, a cui si contrappone oggi uno spirito “vendicativo” nei confronti dei magistrati, responsabili di aver applicato fino in fondo il principio costituzionale secondo il quale tutti i cittadini, compresi i politici, sono uguali davanti alla legge. E se l’obiettivo finale è, come pare evidente, quello di indebolire, solo nei confronti di alcuni, il controllo di legalità che la Costituzione assegna alla magistratura, non capiamo come di questo possano beneficiarsi tutti i cittadini».
Per l’Anm questa non è una riforma della giustizia ma della magistratura. Perché?
«Che non sia una riforma della giustizia, come viene erroneamente propagandata, bensì una riforma della magistratura risulta evidente dal fatto che interviene su quella parte della Costituzione dedicata alla Magistratura e al suo assetto ordinamentale, incidendo in particolare sulla composizione e sulle funzioni del Consiglio superiore della magistratura, nonché sulle modalità di selezione dei suoi componenti, che non verrebbero più scelti mediante elezione, come prevede adesso la Costituzione, bensì mediante una “estrazione a sorte”, al solo scopo di privare l’organo di autogoverno della magistratura di rappresentatività e della necessaria autorevolezza. Inoltre, è una riforma destinata a consegnare ai cittadini una magistratura con un minore grado di autonomia e di indipendenza, e questo perché in tutti i sistemi in cui il pubblico ministero è separato dal giudice esiste una forma di controllo politico sul suo operato. Ed è evidente che la minore indipendenza del pubblico ministero significherà anche una indiretta minore indipendenza del giudice, che interviene su quel che il pubblico ministero gli sottopone».
Quali sono i nodi veri da affrontare per rendere più celere ed efficace la giustizia per il cittadino comune?
«Se si vuole davvero fare una riforma della giustizia che serva a restituire al cittadino un servizio più efficiente si devono mettere a disposizione dei magistrati maggiori risorse umane e strumentali. Bisogna assumere più magistrati e più personale amministrativo, bisogna lavorare sugli applicativi informatici che attualmente sono del tutto inadeguati e bisogna pensare a modifiche delle regole processuali che rendano la domanda di giustizia più sostenibile e soprattutto il sistema più efficiente. Ancora oggi molte notifiche di atti giudiziari si fanno a mano e questo ovviamente rallenta notevolmente i tempi di definizione dei processi. Ciò che però è certo è che questa riforma non servirà ad accorciare di un solo giorno la attuale durata dei processi».
A livello globale e non solo italiano si parla di «inverno dei diritti fondamentali». Secondo lei è così?
«Mi preoccupa molto la delegittimazione di quegli organismi, come la Corte penale internazionale, che sono chiamati a sanzionare le violazioni dei diritti fondamentali. Inoltre, vedo, a livello internazionale e non da oggi, una messa in discussione dei diritti fondamentali, dovuta a diversi fattori: crisi economica, squilibrio nella distribuzione delle risorse, ma anche una certa sfiducia nel progresso che porta ad atteggiamenti di chiusura nei confronti del prossimo, visto come un pericolo piuttosto che come una risorsa. Mi auguro però che questo non rappresenti l’inizio di un “inverno dei diritti fondamentali”, ma che sia una linea di tendenza che si possa invertire con l’impegno di ciascuno, a partire da coloro che hanno ruoli di responsabilità».
Con la nomina, al vertice, di un esponente di magistratura indipendente, la corrente considerata più a destra, si è parlato di cambio di passo dell’Anm. È così?
«Questa nuova dirigenza al momento si sta muovendo nel solco già tracciato ottimamente dalla presidenza di Giuseppe Santalucia, perché, al di là del fatto che il nuovo presidente Cesare Parodi è espressione di una diversa corrente, la linea politica, che è quella che viene data dal Comitato direttivo centrale, non è cambiata. Diverso forse è lo stile comunicativo del nuovo presidente, ma quanto ai contenuti non direi che vi sia stato, fino ad ora, un cambio di passo. Anche per questo mi sorprende che il governo abbia atteso l’elezione del nuovo Presidente per arrivare a manifestare questa apertura al dialogo, visto che l’Anm è stata sempre disponibile al confronto, anche prima che si insediasse questa nuova dirigenza».