L'Associazione nazionale
magistrati ribadisce la più netta contrarietà al testo di riforma
in materia di intercettazioni in discussione in Senato, che rischia
di vanificare, soprattutto per i reati di mafia e di criminalità
organizzata, la possibilità di utilizzare un fondamentale e
insostituibile strumento d'indagine. Gli emendamenti da
ultimo proposti, pur accogliendo in parte alcune osservazioni
formulate dall'Anm, non modificano gli insuperabili aspetti di
criticità dell'impianto complessivo della riforma.
Gravi indizi di
reato
L'introduzione del requisito dei "gravi indizi di reato"
rappresenta un apprezzabile miglioramento rispetto all'originaria
previsione degli "evidenti indizi di colpevolezza". Tuttavia,
appare del tutto contraddittorio con tale innovazione il richiamo
alla disciplina dell'art.192 c.p.p., trattandosi di norma che
regola la valutazione della prova ai fini della colpevolezza e,
dunque, difficilmente riferibile alla sussistenza di indizi di
reato.
E' poi assolutamente irragionevole il divieto di disporre nuovi
ascolti sulla base dei contenuti di intercettazioni lecitamente
acquisite. Ad esempio, se nel corso di una conversazione
intercettata in un'indagine per traffico di stupefacenti
l'interlocutore riferisce dell'imminente programmazione di un
omicidio, sarebbe impossibile disporre nuove intercettazioni per
impedire l'omicidio e individuarne i responsabili.
Intercettazione utenze
soggetti estranei
Analogamente è apprezzabile il tentativo di riempire di contenuto
il requisito della indispensabilità a fini investigativi
nell'ipotesi di intercettazione di utenze di soggetti estranei al
reato. La formulazione della norma, però, è poco precisa sul piano
tecnico e rischia di generare equivoci in merito ai presupposti
necessari. Sarebbe, pertanto, preferibile utilizzare una
formulazione più chiara come, ad esempio, l'indicazione della
necessità che sussista fondato motivo di ritenere che le relative
comunicazioni o conversazioni siano direttamente attinenti ai fatti
oggetto di indagine.
Riprese visive
Condivisibile, infine, è la scelta di differenziare la
disciplina delle intercettazioni di comunicazioni da quella delle
riprese visive in luogo pubblico, attività quest'ultima di grande
utilità investigativa che non incide sulla sfera della riservatezza
delle persone coinvolte.
Acquisizione tabulati
Inspiegabile, invece, perché si voglia mantenere la
stessa disciplina delle intercettazioni anche per l'acquisizione
dei c.d. tabulati, che per pacifica giurisprudenza costituzionale
rappresenta un'interfenza nella libertà di comunicazione di gran
lunga inferiore rispetto a quella delle intercettazioni. Peraltro
per le indagini di criminalità organizzata e terrorismo si
prevedono, paradossalmente, requisiti più rigorosi per
l'acquisizione di un tabulato di quelli richiesti per
un'intercettazione.
Sul testo complessivo
permangono ancora numerosi nodi irrisolti.
Limiti di tempo
In particolare, la previsione di un termine di durata
massima delle intercettazioni è assolutamente irragionevole e
rischia di rendere del tutto inutilizzabile lo strumento.
L'attività criminosa non rispetta
certo gli stretti margini temporali fissati dalla legge per lo
svolgimento delle intercettazioni. Basti pensare a un sequestro di
persona, a un'operazione di importazione di stupefacenti o di armi,
alla tratta di persone, a un'attività di corruzione nella pubblica
amministrazione per capire quanto sia del tutto inadeguato e
irrisorio il termine di soli due mesi di ascolti. La possibilità di
proroga di soli ulteriori 15 giorni che si vorrebbe introdurre non
modifica in alcun modo l'irrazionalità della limitazione temporale
prevista.
Intercettazioni
ambientali
La limitazione delle intercettazioni ambientali ai luoghi
nei quali "vi è fondato motivo di ritenere" che "si stia svolgendo
l'attività criminosa", per tutti i reati e persino per i delitti di
criminalità organizzata e terrorismo, rischia di arrecare un danno
irreparabile all'attività di contrasto alle organizzazioni
criminali da parte delle forze dell'ordine e della
magistratura.
Divieto di
pubblicazione
Il divieto di pubblicazione, anche parziale o per
riassunto o nel contenuto, di tutti gli atti di indagine, anche se
non più coperti da segreto, fino alla chiusura delle indagini
rappresenta un'inaccettabile limitazione al diritto/dovere di
informazione e di cronaca garantito dall'articolo 21 della
Costituzione.
Registrazioni senza
consenso
Del tutto incomprensibile è poi l'introduzione di un reato
per la registrazione di comunicazioni da parte di uno degli
interlocutori senza il consenso degli altri; una previsione in
netto contrasto con la pacifica giurisprudenza della Corte
Costituzionale e della Corte di Cassazione. Tale disposizione
rischia, infatti, da un lato di esporre le vittime di reato a
incriminazione (non essendo sempre possibile stabilire a priori che
dal contenuto di una conversazione emerga una notizia di reato) e
dall'altro di pregiudicare irrimediabilmente ogni forma di
giornalismo d'inchiesta.
Competenza
Infine, attribuire al tribunale con sede nel capoluogo
del distretto e in composizione collegiale, non soltanto la
competenza per autorizzare le attività d'intercettazione, ma anche
quella per la convalida dei provvedimenti di urgenza, le proroghe,
l'autorizzazione ad acquisire i tabulati, rischia di creare
insuperabili problemi organizzativi, in assenza di qualsiasi
intervento sulla geografia giudiziaria, pure sollecitato più volte
dalla Anm.