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1 febbraio 2011

Confessione di un magistrato

"Sono un magistrato italiano edoggi rappresento molti altri magistrati, come me. A nome mio ed anome loro, oggi, finalmente, confessiamo. Confessiamo di essereeffettivamente degli eversori, come qualcuno ritiene. Applichiamo,infatti, le regole della nostra Costituzione e delle nostre leggicon la stessa imparzialità ed impegno agli immigrati clandestini edai potenti, agli emarginati ed a coloro che gestiscono le levedella finanza, della politica, dell'informazione. E' vero, siamodegli eversori perché, insieme a Calamandrei, riteniamo laCostituzione e la Corte Costituzionale una 'garanzia con cui ilsingolo è messo in grado di difendere il suo diritto contro gliattentati dello stesso legislatore o del governo'. Questo, oggi,vuol dire essere eversori". E' uno stralcio dell'intervento delpresidente della sezione Anm di Trento, Pasquale Profiti, nelcorso della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario.


Inaugurazione anno giudiziario
2011

Discorso pronunciato dal Presidente dell'Anm di Trento, Pasquale
Profiti.



Confessione



Sono un magistrato italiano ed oggi
rappresento molti altri magistrati, come me.



A nome mio ed a nome loro, oggi,
finalmente, confessiamo.



Confessiamo di
essere effettivamente degli eversori, come qualcuno ritiene.
Applichiamo, infatti, le regole della nostra Costituzione e delle
nostre leggi con la stessa imparzialità ed impegno agli immigrati
clandestini ed ai potenti, agli emarginati ed a coloro che
gestiscono le leve della finanza, della politica,
dell'informazione. E' vero, siamo degli eversori perché, insieme a
Calamandrei, riteniamo la Costituzione e la Corte Costituzionale
una "garanzia con cui il singolo è messo in grado di difendere il
suo diritto contro gli attentati dello stesso legislatore o del
governo". Questo, oggi, vuol dire essere eversori.



Confessiamo di
essere veramente, come è stato sostenuto, disturbati mentali,
perché solo chi è tale continua a credere nel servizio giustizia,
quando non sai se il giorno dopo ci sarà qualcuno che presterà
assistenza al tuo computer, quando vedi che gli indispensabili
collaboratori che vanno in pensione non sono  sostituiti,
quando per poter lavorare condividi stanze anguste con colleghi o
assistenti, quando in ferie scrivi sentenze o prepari
provvedimenti, quando, nonostante ciò, sei accusato di protagonismo
e di perder tempo in conferenze o convegni.



Confessiamo di non
poter sempre soddisfare l'opinione pubblica se la Costituzione e le
leggi ce lo vietano,  perché assolviamo chi riteniamo
innocente anche se ciò non porta consensi,  condanniamo chi
riteniamo colpevole sulla base della rigorosa valutazione delle
prove anche quando i sondaggi, veri o falsi che siano, non ci
confortano, e valutiamo la responsabilità dei singoli anche quando
chi governa  vorrebbe una risposta dura, anche a scapito del
singolo, a fenomeni di violenza collettiva.



Confessiamo, è
vero, di sovvertire il voto degli italiani perché avendo giurato
sulla Costituzione Repubblicana,  riteniamo, con Einaudi, che
quella Costituzione imponga  ai magistrati di utilizzare i
freni che "hanno per iscopo di limitare la libertà di legiferare e
di operare dei ceti politici governanti, scelti dalla maggioranza
degli elettori. Quei freni che "tutelano la maggioranza contro la
tirannia di chi altrimenti  agirebbe in suo nome", quei freni
che impongono la disapplicazione delle leggi in contrasto con le
norme europee o l'incostituzionalità  quando violano norme di
diritto internazionale.



Confessiamo di
essere politicizzati e non vogliamo essere apolitici come
dichiaravano di esserlo  la maggioranza dei magistrati
fascisti o i magistrati iscritti alla P2 o i magistrati che per
avere qualche posto direttivo o semidirettivo si appoggiano a
potenti o faccendieri di turno, frequentano salotti buoni, fanno la
telefonata agli amici o utilizzano il loro ruolo per avere sconti,
gadget, ingressi o servizi gratuiti. Siamo politicizzati e vogliamo
esserlo perché applichiamo la legge con il giusto rigore anche a
chi governa, a chi potrebbe favorirci, consapevoli che saremmo
apolitici solo se non disturbassimo le classi dirigenti, le élite
al potere che vogliono essere al di sopra delle regole.



Confessiamo anche
di fare proselitismo della nostra eversione, raccontando in Italia
ed all'estero le ragioni della nostra autonomia e della nostra
indipendenza, i motivi per cui riteniamo che nel nostro paese, oggi
più di ieri, quell'assetto costituzionale della magistratura sia
essenziale per evitare che gli interessi di parte prevalgano sempre
e comunque sugli interessi della collettività, perché l'Italia non
possa permettersi un diverso assetto della magistratura quando tra
i suoi rappresentanti in Parlamento o negli enti locali siedono
condannati per reati gravissimi e la giustizia sia terreno di
aggressioni inimmaginabili per gli altri paesi democratici.

 

Confessiamo, una volta per tutte, di essere toghe
rosse; siamo rossi, rubando ancora una volta le parole a Piero
Calamandrei, "perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono
il giudice giusto, vi è anche quella di sentirsi accusare, quando
non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della
fazione contraria"; siamo rossi anche se non sappiamo cosa ciò
esattamente significhi, perché per noi il rosso è principalmente il
sangue dei colleghi uccisi per il loro lavoro

 

Confessiamo anche di avere dei correi, il
personale amministrativo senza il quale non potremmo commettere da
soli le nostro colpe; molti di loro condividono la nostra eversione
ed i nostri disturbi mentali se è vero che accettano di svolgere
lavori superiori alle loro mansioni ed al loro stipendio,
condividono le nostre stesse stanze anguste, le nostre incertezze
sul futuro dei progetti organizzativi ministeriali.

Ci spiace confessare che anche numerosi appartenenti alle forze
dell'ordine, incredibilmente, ritengono, come noi, che nessuno sia
sopra la legge e vedendoci lavorare quotidianamente si rendono
conto che l'eversione di molti di noi è uguale alla loro: rendere
alla collettività il servizio per il quale siamo pagati, senza
concedere che qualcuno possa stare al di sopra delle regole.

 

Confessiamo, infine, che per noi il 29 gennaio è
la data in cui ricordiamo Emilio Alessandrini, Pubblico Ministero a
Milano che oggi, 32 anni fa, veniva ucciso dagli eversori, quelli
veri, quelli che al posto della nostra arma, la Costituzione,
utilizzavano le pistole. Mi piacerebbe, sig. Presidente, che al
termine del mio intervento non vi fossero applausi, rituali o
spontanei, formali o calorosi che siano, ma il silenzio, magari in
piedi, dedicato al collega ucciso dai terroristi, affinché la sua
memoria ci illumini oggi e, ancor di più, da domani.



Trento, 29 gennaio 2011




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