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Carichi esigibili, standard di rendimento e autorganizzazione del magistrato per una giustizia moderna

di Antonio Lepre - 24 luglio 2015

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Premessa: riferimenti normativi e schema dell’articolo


Per esigenza di chiarezza è bene dire subito quali sono i riferimenti normativi di quanto in questa sede esaminato e tracciare lo schema del presente articolo.
I carichi esigibili sono previsti dall’art. 37, d.l. n. 98/2011: ai fini della norma i carichi esigibili sono funzionali all’individuazione dei programmi di gestione a cui sono tenuti i dirigenti degli uffici. Essi, quindi, nella concezione normativa, non incidono sulla valutazione di professionalità del singolo magistrato.
Gli standard di rendimento: sono previsti dall’art. 11, comma 2, lett. b, e comma 3, lett. e), del d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160. Gli standard di produttività sono uno degli elementi per effettuare la valutazione di professionalità del magistrato.


Il presente lavoro, quindi:



  • dapprima esaminerà la nozione di carico esigibile in senso ampio e cioè come esigenza di fissare soglie di produttività ai singoli magistrati e agli uffici;

  • poi passerà ad esaminare i pregiudizi di natura culturale che ad oggi hanno impedito l’approvazione di carichi di lavoro chiari e predeterminati;

  • infine, si proverà a concretizzare tali concetti, mercé un esempio pratico, avente come obiettivo quello di dimostrare come i carichi esigibili ex art. 37 e gli standard di rendimento ex art. 11 siano inevitabilmente due facce della stessa medaglia.


1. Significato e premesse culturali dei carichi esigibili: la fiducia nel singolo e la sburocratizzazione delle tabelle organizzative
La problematica dei carichi di lavoro della magistratura e del singolo magistrato è oramai di tale gravità e di tale interesse che non si può più
continuare a ignorare.
Essa, infatti, è il punto di snodo per realizzare una buona giustizia nell’interesse soprattutto dei cittadini. 
È, cioè, evidente che solo stabilendo chiare soglie di produttività del singolo magistrato e investendo fiducia in quest’ultimo si possono ottenere i seguenti risultati:



  • un’organizzazione tabellare moderna e non meramente burocratica. La prima qualità di un dirigente dell’ufficio dovrebbe essere soprattutto quella di programmare l’attività dell’ufficio e di individuare così gli obiettivi concretamente raggiungibili durante la sua gestione: è di palmare evidenza che gli obiettivi di rendimento di un ufficio possono essere programmati solo se è chiaro quanto si possa richiedere ai componenti di quell’ufficio;

  • una concezione moderna della dirigenza, che deve avere la capacità di ottenere i suoi risultati, valorizzando e stimolando i magistrati dell’ufficio e non già prediligendo, come oggi per lo più accade, impostazioni vagamente autoritarie e limitative della libertà dei singoli: si pensi alle incredibili energie spese da molti dirigenti in materia di ferie e di fissazione di numero di udienze, al solo fine di dare l’apparenza di una gestione severa e rigorosa, con indifferenza assoluta, però, per l’efficienza dell’ufficio;

  • una corretta responsabilizzazione del singolo magistrato, che ovviamente deve fare il suo dovere, ma con la certezza di sapere in anticipo quali sono i criteri con cui sarà valutata la sua produttività e che tale valutazione non dipenderà da fattori arbitrari e, per così dire, “extraprofessionali” (con tutte le conseguenze in materia di progressione in carriera, responsabilità civile e disciplinare): il magistrato ha diritto, al pari di tutti i soggetti dell’ordinamento, alla conoscibilità delle regole a cui è sottoposto;

  • una straordinaria semplificazione nella gestione e fissazione delle udienze, secondo calendari razionali e predeterminati, evitando la fissazione di udienze inutili con i conseguenti dispendi di energia di cancelleria1, così come accade negli altri settori della giustizia tributaria, contabile e amministrativa e nella stessa giurisdizione ordinaria: infatti, per quanto poco, l’organizzazione tabellare ipotizzata in Cassazione prevede, in buona sostanza, anche se in modo articolato, dei carichi di lavoro esigibili2; l’esistenza di vere e proprie scriminanti” e/o “attenuanti” ai fini dell’affermazione in concreto della responsabilità civile e disciplinare;

  • una chiara linea di confine tra la responsabilità del singolo magistrato, del dirigente (e del CSM, che ne approva le decisioni) e della politica;

  • consentire la definizione di quelli che possiamo definire come LEAG: cioè un livello minimo di assistenza giurisdizionale uguale per tutte le zone del Paese.


Il significato da attribuire alla locuzione “carico esigibile” è, quindi, di un’evidenza e banalità disarmante, ancorché nel corso degli anni si siano alzate cortine fumogene sempre più spesse proprio per nascondere tale evidenza: nell’ambito dei rispettivi settori, il carico esigibile deve rappresentare la soglia di produttività in concreto esigibile dal magistrato e sulla cui base il dirigente dell’ufficio deve programmare realisticamente i risultati raggiungibili.


2. I pregiudizi ostativi all’approvazione dei carichi esigibili: autoritarismo e diffidenza verso il singolo.
La critica (disarmante) del c.d. “numeretto” A fronte dell’evidenza innanzi esposta, ci si deve chiedere perché, ad oggi, il CSM ancora non abbia provveduto a prevedere dei chiari carichi esigibili e soglie di produttività, avendo, invece, preferito adottare complicatissime e arzigogolate circolari in materia (ci si riferisce in particolare alle circolari in materia di standard di rendimento ex art. 11, comma 2, lett. b, e comma 3, lett. e), del d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160, come riformulato dall’art. 2 l. n. 111/2007, e alla circolare in materia di carichi esigibili ex art. 37, d.l. n. 98/20011). La sensazione è che i reali motivi, oltre che contingenti e dettati da ragioni di tattica associativa, affondino in convinzioni non accettabili in ordine al ruolo del magistrato e alla sua autonomia anche organizzativa rispetto ai dirigenti e al CSM. È, infatti, chiaro che l’approvazione di soglie di produttività inciderebbe moltissimo sul ruolo organizzativo del giudice, in specie del giudice civile. È, cioè, evidente che, una volta fissati dei chiari obiettivi di produttività (sia per l’ufficio che per il singolo magistrato), fatalmente verrebbe meno la concezione burocratica e surrettiziamente gerarchica affermatasi negli ultimi anni.

In particolare, è palese che:



  • ciò che conterebbe, ai fini della valutazione di professionalità sub specie della produttività, sarebbe solo ed esclusivamente il raggiungimento di tali obiettivi di produttività: sarebbe, cioè, il singolo magistrato a decidere se fissare un’udienza a settimana, due udienze a settimana e così via. In definitiva, la giustizia quanto meno civile si avvicinerebbe molto all’organizzazione della giurisdizione tributaria, amministrativa e in specie a quella contabile, dove è espressamente attribuita piena autonomia al giudice unico contabile dall’art. 42 l. n. 69/20093;

  • ai fini della responsabilità disciplinare, di certo dovrebbe subire un brusco ripensamento l’orientamento della giurisprudenza disciplinare
    che considera responsabile per tardività dei depositi i colleghi che – pur avendo rispettato le soglie di produttività anche con riferimento ai
    tempi di deposito – si spingano a produrre di più anche se tardivamente4;

  • ai fini degli incarichi extragiudiziari di natura squisitamente culturale quali l’insegnamento, non avrebbe alcun senso negare le relative autorizzazioni;

  • la stessa materia delle ferie perderebbe gran parte della sua rilevanza. 


In definitiva, è evidente che l’approvazione di chiare soglie di produttività ridimensionerebbe incisivamente il potere dei dirigenti degli uffici e dello stesso CSM; ridimensionamento a cui per evidenti ragioni, tenacemente si oppongono le forze più conservatrici della magistratura e più legate a modelli organizzativi burocraticoformalisti volutamente destinati a far prevalere l’apparato sul singolo.
In questo contesto si spiega la critica spesso formulata ai carichi esigibili e che potremmo definire la critica del “numeretto magico”. Non di rado, infatti, si afferma che sarebbe del tutto irragionevole fissare un numero, raggiunto il quale il magistrato potrebbe incrociare le braccia e smettere di lavorare.
Tale osservazione critica – peraltro dal forte sapore moralistico – è chiaramente frutto di alcuni presupposti non detti e, in particolare:



  • si fonda sulla radicale disistima dei singoli magistrati, visti, ictu oculi, come persone che avrebbero come solo obiettivo quello di lavorare il meno possibile; ma la realtà dimostra inequivocabilmente come tale visione del magistrato, oltre che essere vagamente offensiva, sia del tutto caricaturale: nonostante già ci siano i riferimenti alla media sezionale di produttività, ciò non di meno è pacifico che la produttività è andata sempre più aumentando e che i singoli magistrati producano spesso e volentieri più di quanto necessario;

  • ignora del tutto che gli obiettivi di produttività sono una realtà diffusa, sia nella P.A. che nel privato e muove manifestamente da una visione autoritaria dell’organizzazione e del controllo, al punto da spingersi ad approvare – nella circolare che ha approvato gli standard di  rendimento – i c.d. standard al buio (cioè, standard di rendimento che il magistrato dovrà rispettare, ma che, tuttavia, non può sapere in anticipo quali saranno); si fonda sulla convinzione che solo attraverso l’esercizio della “minaccia” della valutazione negativa di professionalità si possa spingere il magistrato a produrre di più (con buona pace, peraltro, della qualità): ma è evidente che ben altri  devono essere gli strumenti per valorizzare il singolo, in specie quando trattasi di lavoro di natura squisitamente intellettuale come quello del magistrato.


3. Un esempio concreto 
Presidente di sezione civile ordinario con 5 giudici e un ruolo complessivo di 5.000 cause. Standard di rendimento annuo previsto dal CSM per quel settore secondo un range che va da un minimo a un massimo:
100 sent. (soglia minima da raggiungere obbligatoriamente e rappresentativa anche del LEAG e cioè del livello minimo di risposta giurisdizionale da assicurare a livello nazionale);
115 (soglia media);
130 (soglia massima di produttività).
(N.B.: si escludono le altre definizioni solo per comodità di esempio)

I singoli giudici dovranno essere valutati positivamente ex art. 11 sub specie del rispetto dello standard di rendimento ex art. 11, comma 3, lett. e) se ciascuno di loro depositerà 100 sentenze (si intende escluse le cause seriali). 
Chi ne depositerà di più, rispettando anche il necessario profilo qualitativo, ovviamente, dovrà essere valutato ulteriormente in modo positivo sotto il profilo della laboriosità ex art. 11 comma 2, lett b). Il dirigente − in base alle condizioni dell’ufficio, all’esperienza dei giudici etc. – potrà fare un programma di gestione prevedendo che la sezione produrrà ad esempio 500 sentenze all’anno (il dirigente ipotizza quindi che ciascun giudice depositerà 100 sentenze), 575 sentenze (ipotizzando che ciascun giudice depositerà 115 sentenze oppure che alcuni depositeranno 100 mentre altri normalmente più produttivi depositeranno 120 sentenze), 650 sentenze (ipotizzando che tutti i magistrati producano il massimo di sentenze). 
Il buon dirigente, quindi, sarà quello che riuscirà a convincere e a motivare i giudici a produrre di più del LEAG senza pregiudicare la qualità delle decisioni e senza basarsi su meccanismi autoritari, latamente gerarchici, ma appunto facendo leva su altre motivazioni.
Oltre il numero di 650 sentenze, la responsabilità per l’arretrato non può e non deve essere imputata alla magistratura, né giuridicamente né moralmente: i 4.350 fascicoli di arretrato, cioè, vanno imputati solo ed esclusivamente alla responsabilità della politica.


 


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1 Sull’irrazionalità oggi del numero di udienze svolte, ci si permette di rinviare a Lepre, Analisi della giustizia civile. Un’idea di riforma, Rubbettino, 2013, p.16 e ss.  
2 Si vedano, in particolare, il par. 11.4 ed il par. 31 del progetto tabellare del 06.05.2013; par. 11.4: “Salvi eventuali esoneri, da disporsi con decreto motivato, ciascun consigliere partecipa di regola a quattro udienze al mese, e resta a disposizione, quale riserva, per una o, per motivate esigenze, per più udienze mensili, possibilmente nei giorni precedenti a quelli delle udienze effettivamente tenute. Ciascun consigliere non può tenere più di due udienze a settimana, distanziate, in caso di accorpamento in un’unica sequenza, di almeno una settimana da quelle successive. Nel numero mensile di udienze sono comprese quelle tenute presso la Sesta sezione civile e la Settima sezione penale, nonché il Tribunale superiore delle acque pubbliche. La partecipazione del consigliere a un numero di udienze superiore a quattro, oltre a quella di riserva, può essere disposta con decreto motivato dal presidente titolare della sezione, sentito l’interessato, salvo che occorra far fronte ad esigenze indifferibili”; cfr par. 31.5, dove, dopo aver individuato i criteri per “pesare” i vari procedimenti, si stabilisce quanto segue: “a ciascun componente del collegio vengono assegnati ricorsi per un valore ponderale complessivo indicativamente non superiore ad 8 per ogni udienza, comunque superabile nel caso di ricorsi inammissibili o seriali, tali da richiedere una motivazione standard, ovvero per ragioni eccezionali”.  
3 Il giudice unico esercita le funzioni monocratiche previste dall’articolo 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205, fissa ogni semestre il proprio calendario di udienze e, con proprio decreto, fissa la trattazione dei relativi giudizi”. 

4 In via generale, relativamente al rigore con cui viene valutato il ritardo nel deposito dei provvedimenti, cfr. Cass. sez. un. n. 1768 del 25/01/2013.  

Autore
Antonio Lepre
Giudice della Corte d’Appello di Napoli

L’approvazione di chiare soglie di produttività ridimensionerebbe il potere dei dirigenti degli uffici e del CSM Antonio Lepre