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La sorte incerta del sistema elettorale del CSM

È diffuso un senso di insoddisfazione nei confronti del vigente sistema elettorale del CSM

di Angelo Piraino - 12 giugno 2014

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Nel panorama del dibattito associativo sull’autogoverno della magistratura è diffuso un senso di insoddisfazione nei confronti del vigente sistema elettorale del CSM, da più parti indicato come inadeguato e meritevole di ripensamento. L’attuale sistema è il frutto di una riforma legislativa introdotta dalla l. 28 marzo 2002, n. 44, sulla scorta di intenzioni palesemente tradite dalla sua successiva attuazione.
Le ottimistiche previsioni del Ministro della Giustizia dell’epoca¹ sono state smentite dall’esperienza pratica, e il sistema elettorale, pensato inizialmente per limitare l’influenza dei gruppi associativi agevolando le candidature individuali, ha consentito, al contrario, alle correnti di esercitare un’influenza anche maggiore sugli esiti elettorali, controllando in modo ancora più pregnante la designazione dei candidati. 
La considerevole riduzione del numero dei seggi della componente elettiva (dagli originari 20 agli attuali 16 componenti togati eletti), la loro suddivisione per fasce e la previsione di un unico collegio nazionale hanno elevato in modo sensibile il quorum necessario per l’elezione, così imponendo, di fatto, a ogni candidato il supporto di un contesto organizzativo su scala nazionale, e rendendo pressoché indispensabile l’appoggio dei gruppi associativi. Il risultato paradossale cui si è giunti tradisce, purtroppo, una conoscenza da parte del legislatore non sufficientemente approfondita delle dinamiche interne alla magistratura, e ha ulteriormente aggravato il cortocircuito, già presente, tra autogoverno e associazionismo, ormai reso evidente dalla frequente sovrapponibilità delle intese consiliari a quelle associative, che si è riscontrata nell’ultimo decennio.
Tale stato di cose viene vissuto con crescente insofferenza da parte dei magistrati italiani ed è causa di un atteggiamento di indifferenza nei confronti delle iniziative promosse dall’Associazione Nazionale Magistrati, associazione che da taluni viene vista soltanto come uno strumento per i singoli che intendono perseguire intenti individualistici piuttosto che come casa comune dei magistrati e luogo dove ragionare insieme per la tutela dell’indipendenza.
La constatazione della crescente disaffezione verso l’attività associativa ha indotto il Comitato Direttivo Centrale dell’ANM a organizzare quest’anno per la prima volta delle elezioni primarie, in vista delle consultazioni elettorali di luglio per il rinnovo della componente togata del CSM, nel tentativo di restituire alla base elettorale il potere di designazione dei candidati, finora esercitato esclusivamente dagli organi di vertice dei singoli gruppi associativi, e di dare agli elettori una sensazione di maggiore protagonismo nella determinazione degli esiti elettorali.
Un “esperimento” ben più innovativo e di rottura è quello condotto dall’aggregazione denominata “Altra Proposta” che ha deciso di svolgere un sorteggio per individuare dei candidati da sottoporre, poi, a consultazioni primarie telematiche per designare infine i candidati per la competizione elettorale di luglio.
Non è la prima volta che, nella storia del dibattito che verte sul CSM, si prospetta la possibilità di introdurre nel processo elettorale l’individuazione a sorte tra gli eleggibili², e da più parti si afferma che l’introduzione dell’elemento casuale nella designazione dei candidati sia l’unico rimedio veramente efficace per impedire condizionamenti da parte dei gruppi associativi nelle elezioni dell’organo di autogoverno.
Sussistono, tuttavia, concreti dubbi sulla possibilità di introdurre l’elemento della sorte attraverso una modifica legislativa nella disciplina ordinaria, alla luce dell’attuale quadro normativo costituzionale.
Come è noto la disciplina costituzionale dell’elezione dei componenti togati e laici del CSM è descritta dall’art. 104 Cost., che demanda al legislatore ordinario sia l’individuazione del numero dei componenti l’organo di autogoverno, che la disciplina elettorale con le eventuali cause di ineleggibilità o incompatibilità.
La norma costituzionale prevede che del Consiglio Superiore della Magistratura facciano parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione e che gli altri componenti siano eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio.
Con specifico riferimento ai limiti dell’elettorato passivo, tale norma va letta in combinato disposto con quanto stabilito in generale dall’art. 51 Cost., che statuisce che «tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge».
Anche l’art. 51 Cost. prevede che la legge ordinaria possa dettare dei limiti all’accesso alle cariche pubbliche elettive, che consistono nelle cause di ineleggibilità e di incompatibilità. Il confronto tra le disposizioni contenute nell’art. 104 Cost. e quelle dettate dall’art. 51 Cost. consente di evidenziare che nella prima norma sono già rinvenibili due limitazioni espresse dell’elettorato passivo, consistenti, rispettivamente, nell’obbligo che i componenti di nomina politica siano scelti tra soggetti con determinate qualifiche professionali (professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con esperienza quindicennale) e nel divieto per tutti i membri elettivi di essere immediatamente rieletti.
La ratio delle previsioni in questione appare rinvenibile, rispettivamente, nell’alto rilievo tecnico delle funzioni svolte e nell’esigenza di impedire che chi esercita le funzioni di componente eletto presso il CSM possa utilizzare le medesime funzioni per consolidare un consenso elettorale per la successiva tornata.
Tale preoccupazione non ricorre invece per le altre cariche pubbliche elettive di rilievo nazionale, laddove, invece, appare normale che l’amministratore eletto crei e consolidi il consenso all’interno del corpo elettorale che lo ha votato.
Questi primi dati consentono già di svolgere una riflessione ulteriore, ossia che il CSM è sì un organo di rilevanza costituzionale con finalità di garanzia e con funzioni miste di alta amministrazione (gli atti del Consiglio sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo) e giurisdizionali (limitatamente ai provvedimenti disciplinari, impugnabili dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione), ma non costituisce un organo politico, cioè la cui azione è libera nel fine.
Una distinzione non sempre chiara ad alcune componenti associative, che hanno affermato, anche nel recente passato, che dal rilievo costituzionale attribuito al CSM debba derivare addirittura l’insindacabilità dei suoi atti dinanzi all’autorità giudiziaria amministrativa.
La natura delle alte funzioni attribuite al Consiglio Superiore ha certamente indotto il legislatore costituente a salvaguardare prioritariamente la miglior funzionalità dell’organo di autogoverno, la sua imparzialità e la sua funzione di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario dagli altri poteri dello Stato, ma arrivare ad affermare che tale organo sia per ciò stesso libero nel fine è una conclusione che rischia di porre in dubbio le fondamenta stesse del principio di separazione dei poteri sul quale è fondato il nostro ordinamento.
Una valutazione sinottica delle ulteriori ipotesi di ineleggibilità previste dalla legge 24 maggio 1958, n.195 offre la conferma del fatto che l’attuale disciplina elettorale per il CSM privilegia, per un verso, la garanzia del livello massimo di funzionalità all’organo di autogoverno, anche attraverso il ricorso a presunzioni (ad esempio escludendo i magistrati che hanno meno di tre anni di funzioni o quelli che hanno delle condanne disciplinari, perché ritenuti non in grado di fornire una professionalità adeguata) e, per altro verso, mira a garantire l’imparzialità dell’organo, impedendo la candidatura di soggetti che, attraverso il loro ruolo, possano essere facilitati nella creazione del consenso elettorale (come nel caso dei consiglieri uscenti e dei magistrati addetti alla Segreteria e Ufficio Studi del CSM). Su tali limitazioni non sono mai stati sollevati dubbi di costituzionalità. Ben diversa sarebbe, invece, l’ipotesi di richiedere per la candidatura e, dunque, per l’esercizio del diritto di elettorato passivo, l’aver affrontato con esito positivo una procedura di estrazione a sorte.
Un primo, importante, profilo di dubbio riguarda la compatibilità logica del concetto di sorteggio con il concetto di elezione. L’elezione, alla luce anche del principio di libero accesso sancito dall’articolo 51 della Costituzione, dovrebbe consistere in un procedimento decisionale attraverso il quale un gruppo di soggetti sceglie delle persone per un incarico politico o amministrativo.
Tale procedimento decisionale si esprime attraverso un incontro tra le convergenti volontà dei candidati, i quali offrono la loro disponibilità a ricoprire l’incarico, e la volontà degli elettori, i quali li giudicano idonei con il loro consenso.
L’introduzione del fattore casuale in tale procedimento decisionale potrebbe essere ritenuto logicamente incompatibile con la natura stessa del procedimento, impedendo o condizionando la libera formazione della volontà dei partecipi.
Va, inoltre, attentamente valutato se, con la scelta del meccanismo elettivo per la designazione dei componenti del CSM, sia della componente togata che di quella politica, il legislatore costituente non abbia inteso altresì introdurre una funzione di rappresentatività dei medesimi componenti rispetto al corpo elettorale che li esprime.
Tale funzione di rappresentatività, ove sussistente, verrebbe drasticamente limitata, fino quasi all’annullamento, attraverso l’inserimento del fattore casuale nel procedimento di nomina.
A ben vedere le considerazioni precedentemente svolte in merito alla natura del Consiglio Superiore della Magistratura possono indurre a escludere che il quadro di riferimento costituzionale in cui si innesta la disciplina ordinaria, e in particolare l’articolo 104 della Costituzione, miri ad assicurare la rappresentatività dei vari gruppi associativi di magistrati all’interno del Consiglio.
Ciò nondimeno non può escludersi, con altrettanta certezza, che non vi debba essere un nesso di rappresentatività tra i singoli componenti e il corpo elettorale che li esprime, o, quantomeno, un particolare nesso fiduciario in merito alla loro idoneità a svolgere la delicata funzione di componente di detto organo di rilievo costituzionale.
Va, altresì, valutata la possibilità che il sorteggio dei candidabili, limitando in maniera drastica e casuale il numero degli stessi, non assicuri in modo efficace la possibilità di scegliere i più capaci e quindi rischi in prospettiva di minare la miglior funzionalità dell’organo.
Tale rischio, per un verso, appare tanto maggiore quanto più ristretto è il numero dei candidabili sorteggiati, mentre, per altro verso ben può essere fugato mediante un’elevazione dei requisiti di professionalità richiesti per l’elezione, anche alla luce del nuovo e più rigoroso sistema di valutazione della professionalità dei magistrati.
Quanto invece alla previsione generale contenuta nell’art. 51 Cost. di assicurare a tutti i cittadini (nella specie a tutti i magistrati) l’accesso alla carica eleggibile, va rilevato, innanzitutto, che il sorteggio garantisce a tutti in astratto di poter accedere all’incarico, non operando un’esclusione astratta, basata per categorie generali.
Ancor di più deve ritenersi che l’introduzione del sorteggio nella fase preliminare del meccanismo elettorale miri a realizzare in pieno l’eguaglianza sostanziale tra i candidati, assicurando loro pari chances di essere eletti, in attuazione del compito di rimuovere i limiti di fatto alla realizzazione dell’eguaglianza imposto al legislatore dall’articolo 3, comma secondo, della Costituzione.
Costituisce, infatti, un dato di esperienza comune il fatto che tutti i meccanismi elettorali finora introdotti con riferimento al Consiglio Superiore della Magistratura, pur eliminando il voto per liste, non hanno ridotto l’influenza che, sulle elezioni, hanno spiegato i gruppi associativi nei quali si articola una sostanziosa parte della magistratura.
Tale circostanza ha condotto a una situazione di enorme difficoltà, per un candidato non inserito o non appoggiato da alcun gruppo associativo, a raccogliere il consenso sufficiente a essere eletto, ponendo, di fatto, tutti i soggetti candidabili in una situazione di radicale disparità di posizione.
L’introduzione del sorteggio, precludendo meccanismi di designazione provenienti dai gruppi associativi, non elimina ogni possibilità di influenza dei medesimi sulle dinamiche elettorali, ma ne riduce sensibilmente la portata, consentendo a tutti i candidati di competere su di una base di sostanziale eguaglianza.
Tuttavia non può negarsi che l’introduzione del sorteggio dei candidabili si risolva, di fatto, in un’oggettiva limitazione del diritto di elettorato passivo, il cui esercizio non è più rimesso soltanto alla volontà del singolo, ma è subordinato a un fattore casuale per definizione esterno e non dominabile.
In merito alle possibili limitazioni all’elettorato passivo la Corte Costituzionale ha sempre manifestato massima prudenza, sostenendo che la limitazione al diritto costituzionale di essere eletto, che ha i caratteri dell’inviolabilità ai sensi dell’art. 2 Cost., ammette restrizioni solo nei limiti necessari alla tutela di altro interesse costituzionalmente protetto e secondo la regola della ragionevole proporzionalità, esprimendo tale orientamento con più pronunce ispirate all’esigenza della sussistenza di una «rigorosa prova della indispensabilità del limite»
In tale ottica l’introduzione del sorteggio potrebbe ritenersi mirata primariamente a garantire l’imparzialità del Consiglio Superiore della Magistratura, sia nell’espletamento delle sue funzioni giurisdizionali che nell’espletamento di quelle di alta amministrazione, e potrebbe, dunque, ritenersi rispondere ai fondamentali interessi riconosciuti come primari, rispettivamente, dagli articoli 97 e 111 della Costituzione.

Al riguardo va evidenziato che l’utilizzo del sorteggio come strumento per garantire l’imparzialità della composizione di un organo, sia esso giurisdizionale che amministrativo, trova importanti precedenti nella legislazione sia costituzionale che ordinaria. Con riferimento agli organi che svolgono funzioni giurisdizionali vanno rammentati:

a) l’articolo 135 della Costituzione, che prevede che la Corte Costituzionale, nei giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica, venga integrata da sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari;
b) la legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, che prevede l’estrazione a sorte dei componenti del collegio competente a giudicare sui reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dai Ministri;
c) la Legge 10 aprile 1951, n. 287, che prevede l’estrazione a sorte dei giudici popolari componenti la Corte d’Assise.

Analogamente il sorteggio risulta essere stato già impiegato come strumento per garantire l’imparzialità della composizione di un organo che svolge funzioni amministrative, a titolo di esempio, nei seguenti casi:

a) il decreto legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito con modificazioni dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca, che ha previsto che le commissioni giudicatrici per le procedure di valutazione comparativa per il reclutamento dei professori universitari di I e II fascia siano composte da membri sorteggiati in una lista di commissari eletti in numero triplo;
b) il decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483, contenente il regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale, che prevede il sorteggio dei componenti delle commissioni per i concorsi per le posizioni funzionali del ruolo sanitario;
c) il decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, recante il Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, che prevedeva il sorteggio dei componenti delle commissioni aggiudicatrici.

Questi esempi costituiscono testimonianze eloquenti di ipotesi in cui il legislatore, sia ordinario che costituzionale, ha utilizzato il sorteggio come strumento di garanzia di imparzialità di organi collegiali, talvolta unendolo a un sistema elettivo, come nei casi dell’articolo 135 della Costituzione e del decreto legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito con modificazioni dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1. Potrebbe, dunque, ritenersi che l’introduzione del sorteggio nel procedimento di selezione dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura possa rispondere a finalità di interesse pubblico aventi una valenza di rilievo costituzionale.
Non può affermarsi, viceversa, con altrettanta univocità che una simile limitazione dell’elettorato passivo sia assolutamente indispensabile allo scopo indicato in mancanza di valide alternative.
Se, per un verso, l’esperienza storica delle modifiche del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura è costantemente segnata dall’insuccesso dei tentativi di riforma nell’arginare l’influenza dei gruppi associativi, per altro verso non si può del tutto ritenere che l’introduzione del sorteggio costituisca l’unica strada percorribile per raggiungere tale scopo.
Nell’ambito del dibattito sul sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura sono in passato affiorate delle interessanti ipotesi di sistemi elettorali diversi rispetto a quelli sinora praticati, che potrebbero limitare sensibilmente l’influenza dei gruppi associativi. L’associazionismo costituisce certamente un forte collante, un fattore di aggregazione sociale che si traduce in uno strumento di organizzazione e di raccolta del voto in occasione delle competizioni elettorali. Per cercare di contrastare tale influenza vanno individuati e agevolati fattori di aggregazione alternativi.
In tale ottica l’aumento del numero dei componenti togati, cui conseguirebbe una significativa riduzione del quorum necessario per la loro elezione, congiunto con il ricorso al sistema maggioritario con collegi elettorali uninominali di piccola dimensione, ben potrebbe garantire la possibilità a candidati conosciuti in ambito locale e apprezzati per il modo con cui esercitano quotidianamente le funzioni giudiziarie di prevalere rispetto ad altri candidati magari meno stimati ma appoggiati dai gruppi associativi.
Altri sistemi elettorali sono stati, inoltre, indicati in passato come valide alternative a quello proporzionale puro o al maggioritario attuale, e in particolar modo il sistema proporzionale temperato dal c.d. voto disgiunto o panachage e il sistema del c.d. voto singolo trasferibile4; in quanto idonei a espandere al massimo livello la libertà dell’elettore, riducendo l’influenza dei gruppi associativi senza, tuttavia, giungere a comprimere in modo drastico il diritto di elettorato passivo.
La scelta di ricorrere al sorteggio per ridurre l’influenza dei gruppi associativi nell’elezione degli organi di autogoverno è certamente drastica, e come si è evidenziato in precedenza risponde a esigenze pur tuttavia condivisibili, che sarebbe miope omettere di considerare e valutare con la giusta attenzione. Ciò nondimeno si tratta di una via in parte oscura e inesplorata, che legittima dubbi non solo sulla tenuta costituzionale ma anche sul fatto se sia effettivamente indispensabile ricorrere a una soluzione così draconiana per porre rimedio alla situazione attuale.
La magistratura associata non può continuare a ignorare i segnali di malessere che il corpo elettorale trasmette sempre più nitidamente, prima che questo malessere raggiunga un’intensità tale da compromettere definitivamente la fiducia negli organi istituzionali dell’autogoverno. Si avverte dunque la necessità di intraprendere un dialogo costruttivo che prenda le mosse da una riflessione analitica sulle cause profonde delle disfunzioni del sistema dell’autogoverno e che individui delle alternative, più valide rispetto alle elezioni primarie finora praticate, che rischiano di apparire ai più come una mera foglia di fico.
Occorre correggere un sistema elettorale da tutti ormai percepito come inadeguato, e a tal fine è necessario che la magistratura si faccia parte attiva, formulando delle concrete e fattibili proposte di riforma della normativa vigente nell’ottica della ricerca di una soluzione condivisa con il potere legislativo dei problemi che sono sotto gli occhi di tutti.
Se non saremo capaci come categoria professionale e come ordine dello Stato di fare ciò, allora forse veramente ci meritiamo che la nostra scheda elettorale venga sostituita, un domani, con una schedina del Superenalotto.


NOTE:
1 Il 13/2/2012 il Ministro della Giustizia Roberto Castelli, nel presentare la riforma del sistema elettorale dinanzi all’aula del Senato, ottimisticamente dichiarava: «Il sistema correntizio che si è instaurato nel Csm non funziona. Con la riforma avremo un Consiglio che funzionerà meglio» http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2002/02/13/Politica/CSM-CASTELLI-SISTEMA-CORRENTIZIO-HA-FALLITO-ORA-RIFORMA_142800.php 
2 Si veda Carlo Vulpio in un articolo del 2009 su Micromega http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-sinedrio-del-csm-e-il-sorteggio-della-serenissima/?h=0, Bruno Tinti ne “il Fatto Quotidiano” del 15/7/2010 in http://togherotte.ilcannocchiale.it/?TAG=correnti 
3 Si vedano a titolo di esempio le sentenze della Corte Costituzionale n.141/1996, in tema di ineleggibilità di persone condannate per certi tipi di reato, con sentenze ancora non passate in giudicato e n.344/1993 in tema di ineleggibilità dei consiglieri regionali per le elezioni al Parlamento nazionale. 
4 Il sistema del voto disgiunto o panachage fu fortemente criticato in occasione della riforma del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura nel corso dei lavori parlamentari che portarono all’approvazione della l. 22 novembre 1985, n. 655 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/07/18/csm-polemiche-contrasti-per-la-riforma-elettorale.html. Per una chiara disamina delle differenze tra questo sistema elettorale e il sistema del c.d. voto singolo trasferibile si veda l’efficace scritto di Mario Cicala dal titolo «Assetto della magistratura e sistemi elettorali» in http://www.giustiziacarita.it/archmag/elett.htm

Autore
Angelo Piraino
Giudice del Tribunale di Termini Imerese

L’ANM ha organizzato le primarie nel tentativo di restituire alla base elettorale il potere di designazione dei candidati Angelo Piraino