Proposta di legge C. 2486 per la conversione in legge del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari
1. Premessa.
Il decreto legge n. 90 del 2014 contiene una disciplina complessa, come si desume dall’intestazione dei suoi titoli, e dedicata, in sintesi, a: sostegno all’occupazione, ricambio generazionale ed efficienza della pubblica amministrazione; norme riguardanti le Autorità indipendenti e gli enti territoriali; interventi di semplificazione; incentivazione della trasparenza e correttezza delle procedure nei lavori pubblici; interventi nel settore della giustizia amministrativa; misure in materia di processo civile telematico e ufficio del processo. Nel presente parere ci si soffermerà unicamente sui profili che sono di diretto interesse per la magistratura ordinaria.
2. Art. 1: Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni.
Tale norma ha abrogato le disposizioni che consentivano il trattenimento volontario in servizio del personale delle pubbliche amministrazioni oltre il limite d’età previsto per il collocamento a riposo. Quanto ai trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del decreto, essi sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. A tale regola generale sono state previste alcune eccezioni. In particolare, per quanto riguarda i magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari nonché gli avvocati dello Stato, i trattenimenti in servizio sono fatti salvi sino al 31 dicembre 2015 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore, e ciò al fine dichiarato di salvaguardare la funzionalità degli uffici giudiziari.
Occorre ricordare che l’età ordinaria di collocamento a riposo dei magistrati è stabilita ai settanta anni. L’art. 16 del D. Lgs. n. 503 del 1992 introdusse il diritto al prolungamento del servizio per due anni; tale limite fu ulteriormente prorogato fino ai settantacinque anni con l’art. 34 comma 12 della legge finanziaria 2003 (legge n. 289/2002), che introdusse nell’art. 16 del D. Lgs 503/1992 il comma 1 bis. Tale prolungato trattenimento in servizio, che costituisce un unicum nel panorama della pubblica amministrazione ed è limitato alle sole categorie di personale di cui all'articolo 1 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, non fu, all’epoca, accolto con favore dalla magistratura associata. Oggi, coerentemente, la magistratura non è contraria al ritorno al regime anteriore alla riforma del 1992 ma dissente dalle modalità e dai tempi dell’intervento.
Infatti, la situazione di particolare affanno in cui, notoriamente, versa l’amministrazione della giustizia impone una speciale cautela nella gestione della fase transitoria, onde evitare i gravi effetti che, sulla funzionalità degli uffici giudiziari, potranno derivare dal pensionamento contemporaneo di centinaia di magistrati. A tal fine, particolare attenzione va rivolta ai dati relativi all’impatto di tale riforma. In particolare, l’ANM intende richiamare l’attenzione sui seguenti aspetti:
- I magistrati ordinari di età compresa fra i 70 e i 75 anni sono in numero di poco inferiore ai 400. Di questi, 250 circa ricoprono incarichi direttivi o semidirettivi, mentre 80 magistrati circa – fra direttivi, semidirettivi e non direttivi – sono complessivamente addetti agli uffici di legittimità. Ne segue che l’impatto maggiore si produrrebbe su incarichi di natura apicale, sulla Corte di cassazione e sulla relativa Procura Generale. Ne segue che, nel tempo di circa 17 mesi, il CSM dovrà esaurire un numero assai elevato di procedimenti per il conferimento degli incarichi rimasti vacanti. Benché tale periodo possa sembrare adeguatamente lungo, in realtà, la complessità della procedura (nonostante la prevista riduzione dei termini di cui all’art. 2 del decreto legge, di cui si dirà), alla quale deve tuttora darsi avvio a causa del carattere imprevisto della novella legislativa, rischia di provocare non poche difficoltà all’organo di governo autonomo, peraltro non ancora insediatosi. Tale circostanza giustifica la previsione di un periodo transitorio adeguatamente più lungo di quello previsto dal decreto.
- La necessità di un maggior periodo transitorio si fonda anche su un altro rilievo. L’intervento normativo provocherà un cospicuo vuoto nell’organico della magistratura, che andrà ad aggiungersi all’attuale. Dovrà quindi procedersi, con urgenza, alla pubblicazione di nuovi bandi di concorso, auspicabilmente due all’anno, il cui completamento richiederà un tempo assai più lungo dei 17 mesi attualmente previsti dall’art. 1 comma 3 del decreto legge.
- L’età media attuale di ingresso nei ruoli della magistratura, a differenza del passato, in cui si attestava intorno ai 27 – 28 anni, è di circa 32 – 33 anni, per effetto sia della maggior durata del corso di studi in giurisprudenza, sia della previsione di titoli di accesso al concorso ulteriori rispetto al diploma di laurea. Ciò produce evidenti sperequazioni ai fini della maturazione degli anni di contributi per l’accesso alla pensione anticipata. Oltre a ciò, anche la necessità di ampliare la platea di possibili candidati al concorso in magistratura in vista della cresciute necessità imminenti, impone che sia previsto, come già in passato, come titolo di accesso al concorso, il semplice diploma di laurea, con abolizione, in conseguenza, della frequenza obbligatoria del corso biennale presso le scuole di specializzazione.
In aggiunta, per le stesse ragioni, sarebbe anche opportuno prevedere forme agevolate per il riscatto, ai fini pensionistici, degli anni del corso di laurea.
- Dubbi potrebbero sollevarsi in ordine alla corretta individuazione dei trattenimenti in servizio ai quali si applica il regime transitorio della proroga fino alla data del 31.12.2015. Infatti, mentre il terzo comma dell’art. 1 del decreto legge fa riferimento, per i magistrati, ai “trattenimenti in servizio” senza indicazioni ulteriori, il secondo comma, dedicato al personale delle pubbliche amministrazioni, richiama “i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto”. In realtà, la diversa dizione non può che essere interpretata nel senso che, quanto ai magistrati, si ha riguardo ai trattenimenti in servizio già deliberati dal CSM (mentre è irrilevante la circostanza che sia già intervenuto o meno il decreto ministeriale, che ha carattere meramente attuativo), ancorché il magistrato non abbia ancora compiuto i 70 anni d’età e il trattenimento, quindi, non abbia ancora concretamente prodotto i suoi effetti. Tuttavia, sarebbe opportuno un chiarimento espresso, che prevenga possibili dubbi interpretativi al riguardo.
3. Art. 2 commi 1 e 2: Disposizioni relative al procedimento per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi.
Il decreto introduce – con effetto a partire dalle procedure concorsuali relative a vacanze successive al decreto medesimo – termini assai stringenti per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi: in particolare, per le vacanze programmate (cioè quelle conseguenti al collocamento a riposo del titolare o al decorso del termine massimo ottennale di permanenza), la funzione deve essere conferita entro la data della vacanza stessa; negli altri casi, il conferimento deve avvenire entro tre mesi dalla pubblicazione. In caso di inosservanza ingiustificata del termine, il Comitato di Presidenza provvede alla sostituzione del relatore col presidente della commissione competente, il quale è tenuto a formulare una proposta entro trenta giorni.
Il Comitato direttivo centrale dell’ANM ha da tempo ripetutamente richiamato la necessità, soprattutto nella nomina dei direttivi e dei semidirettivi, di rispettare i criteri, oltre che della trasparenza e della coerenza, anche della certezza e celerità dei tempi di decisione. Peraltro, ogni intervento sul funzionamento del Consiglio presuppone un attento esame della disciplina vigente. In particolare, la previsione di cui al nuovo comma 1 bis lett. a) (introdotto nell’art. 13 del D. Lgs. n. 160/2006) comporterà la necessità, per il CSM, di procedere alla pubblicazione della vacanza con adeguato anticipo rispetto alla data della vacanza medesima; già adesso, del resto, la normazione interna del CSM prevede, per la pubblicazione, un anticipo di sei mesi rispetto alla data della vacanza. La previsione, di cui alla lett. b), di un termine di appena tre mesi dalla pubblicazione, appare invece del tutto incompatibile con la complessità del procedimento, che si svolge attraverso diverse fasi: presentazione delle domande, parere dei consigli giudiziari, eventuali audizioni, formulazione della proposta e della relativa motivazione, ecc.. Benché tali termini rivestano carattere meramente ordinatorio e siano da intendere come mera sollecitazione al CSM, essi dovranno essere adeguatamente aumentati, se non si vuole che la disposizione resti una mera norma-manifesto.
4. Art. 2 commi 3: Temporanea riduzione a due anni del tempo minimo di permanenza nell’incarico direttivo o semidirettivo.
Il decreto stabilisce che, in via temporanea e in deroga a quanto previsto dagli articoli 34-bis e 35 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, per il conferimento delle funzioni direttive e semidirettive relative alle vacanze pubblicate sino al 30 giugno 2015, i magistrati concorrenti devono assicurare almeno due (anziché quattro) anni di servizio prima della data di collocamento a riposo.
Tale disposizione, con ogni evidenza, mira a compensare, almeno parzialmente, le aspettative di quanti hanno visto amputare le proprie prospettive di carriera per effetto della riduzione dell’età massima di servizio a settanta anni. Al di là di tale profilo, concernente mere aspettative non riconducibili a diritti soggettivi né a interessi legittimi e dunque non meritevoli di specifica tutela, la norma mira a prevenire l’effetto potenzialmente disincentivante della riduzione dell’età. Pur non esprimendo parere contrario, deve però rimarcarsi che la previsione ordinaria di un periodo minimo di permanenza di quattro anni risponde, in linea generale, a criteri di buona amministrazione e ordinato funzionamento degli uffici giudiziari. Peraltro, sarà rimesso al CSM il compito di valutare caso per caso, secondo il proprio prudente apprezzamento, in relazione alle condizioni concrete e alla natura dell’ufficio da ricoprire, se la permanenza minima assicurata da ciascun candidato risponda a quei criteri.
Infine, si osserva che va esclusa l’applicabilità di tale disposizione alle procedure concorsuali già in atto al momento di entrata in vigore del decreto, e ciò in base ai principi generali già oggi applicabili in materia.
5. Art. 2 commi 4: Modifiche in materia di tutela giurisdizionale contro i provvedimenti concernenti il conferimento o la conferma degli incarichi direttivi e semi direttivi.
Con tale disposizione, il decreto legge introduce due modifiche alla tutela giurisdizionale in materia di conferimento e di conferma degli incarichi direttivi e semidirettivi. In particolare, viene stabilito che il controllo del giudice amministrativo ha per oggetto i soli vizi di violazione di legge e di eccesso di potere manifesto. Inoltre, si interviene sulla disciplina del giudizio di ottemperanza, stabilendo che il giudice amministrativo, qualora sia accolto il ricorso, ordina l’ottemperanza ed assegna al Consiglio superiore un termine per provvedere, mentre viene esclusa l’applicazione delle lettere a) e c) del comma 4 dell’articolo 114 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo n. 104 del 2010.
La questione della tutela giurisdizionale verso i provvedimenti del CSM è antica e complessa, investendo da un lato il profilo del ruolo del Consiglio (organo di rilevanza costituzionale) e delle sue prerogative, che la Costituzione stabilisce a garanzia dell’indipendenza e autonomia della magistratura, dall’altro la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi: va quindi individuato un punto di equilibrio fra l’art. 24 e gli artt. 104 - 105 della Costituzione, fra garanzia dei singoli magistrati e tutela della funzione giudiziaria. La Corte costituzionale ha ripetutamente affrontato il tema della natura del Consiglio e dei suoi atti, e ciò fin dalla sentenza n. 44 del 1968, con la quale si è ritenuto che i provvedimenti del CSM, pur non essendo questo parte della pubblica amministrazione (in quanto estraneo al complesso organizzativo che fa capo, direttamente o indirettamente, al Governo dello Stato o a quello degli enti locali), siano però soggetti alla giurisdizione amministrativa.
Dello speciale ruolo rivestito dal CSM si è mostrato più volte consapevole il Consiglio di Stato, il quale ha elaborato, in diverse sentenze, la teoria del “sindacato debole”. In particolare, in una decisione dello scorso mese (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 12.6.2014, n. 2989), il giudice amministrativo così si è espresso: “Costituisce ius receptum che i provvedimenti di nomina dei magistrati a incarichi direttivi e semidirettivi adottati dal CSM sono espressione di un'ampia valutazione discrezionale, come tali sindacabili in sede di legittimità nella misura in cui risultino inficiati da palese irragionevolezza, travisamento dei fatti, arbitrarietà (Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2011, n. 3664; idem, 12 maggio 2011, n. 2859; 14 aprile 2010, n. 2098; 31 marzo 2010, n. 1841). Al riguardo è stato pure affermato che il limite "esterno" della giurisdizione amministrativa si concretizza nella assoluta inammissibilità di una sostituzione dell'organo giurisdizionale nelle scelte di merito riservate al suddetto organo, ferma restando la ineludibile necessità di ancorare il riscontro di legittimità degli atti impugnati al vaglio di quei difetti suscettibili di concretizzare il vizio dell'eccesso di potere sotto i profili sopra indicati (Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 797; idem, 7 luglio 2008, n. 3369 e 5 dicembre 2006, n. 7112).”
Se, dunque, da un lato la scelta operata col decreto legge sembra trovare un qualche appiglio nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, dall’altro la scelta di limitare il sindacato del giudice amministrativo ai soli vizi della violazione di legge e dell’eccesso di potere manifesto, esprime la volontà evidente di circoscrivere l’ambito della tutela, in ragione dell’ampia discrezionalità riconosciuta al CSM. Tuttavia, il richiamo al carattere “manifesto” dell’eccesso di potere rischia di suscitare problemi interpretativi di non poco momento: se con l’espressione “eccesso di potere manifesto” si sia inteso limitare il sindacato del giudice amministrativo ad alcune soltanto delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere ovvero si sia voluto fare riferimento piuttosto all’evidenza o all’intensità del vizio. Dunque, sembra preferibile affidare al giudice amministrativo, secondo quell’indirizzo di prudente apprezzamento che non trascura il rango costituzionale del Consiglio, il compito di individuare linee interpretative che siano rispettose delle prerogative consiliari, senza comprimere ex lege la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi.
Del resto, sul piano di un governo autonomo della magistratura maturo e consapevole, la strada da percorrere deve essere piuttosto quella della trasparenza e della completezza e affidabilità della motivazione degli atti, specie – per la loro particolare delicatezza – di quelli relativi al conferimento e alla conferma degli incarichi direttivi e semidirettivi, piuttosto che quella della compressione della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi.
Altro è a dirsi quanto alla soluzione individuata per il giudizio di ottemperanza: in questo caso appare ragionevole la scelta di rimettere allo stesso Consiglio l’adozione dei provvedimenti conseguenti alla sentenza di annullamento, piuttosto che prevedere soluzioni sostitutive (la diretta emissione di un provvedimento ad opera del giudice amministrativo), irrispettose delle prerogative consiliari come definite dall’art. 105 Cost..
6. Art. 8: Incarichi negli uffici di diretta collaborazione.
L’unico effetto prodotto sui magistrati ordinari da tale disposizione consiste, in concreto, nell’impedire che il conferimento degli incarichi di diretta collaborazione possa essere realizzato ricorrendo all’istituto dell’aspettativa. Quegli incarichi, dunque, potranno essere attribuiti solo in posizione di fuori ruolo, la quale è ammessa per un tempo massimo complessivo di dieci anni. Sulla disposizione si esprime quindi parere favorevole, essendo la stessa tesa a impedire che, con il ricorso all’aspettativa, possa essere aggirato il divieto di ultradecennalità nel fuori ruolo.
7. Artt. 44, 45, 46, 47, 48, 51, 52: Disposizioni per garantire l’effettività del processo telematico.
Si tratta di disposizioni che disciplinano i tempi di attuazione del processo civile telematico (PCT) e ne regolano la concreta attuazione. Su tali previsioni si esprime in linea generale parere favorevole, tanto più che esse sono dirette a realizzare una ragionevole progressione nel tempo del nuovo strumento e a risolvere alcune criticità che erano state evidenziate.
Peraltro, pur dovendosi riconoscere al PCT un valore strategico, sulla via dell’innovazione nel settore della giustizia, tuttavia va ribadito che tale strumento da un lato non può supplire alla ormai insostenibile carenza di risorse né tantomeno deve tendere al risultato di ribaltare sui magistrati compiti di pertinenza del personale delle cancellerie, dall’altro richiede significativi investimenti.
Ai fini di un efficace impiego deI PCT occorre dunque:
- intervenire sulla dotazione del personale di cancelleria, ormai da lungo tempo gravemente inadeguato rispetto alle necessità;
- disporre di macchine e dotazioni software adeguate alle potenzialità dello strumento;
- assicurare una rete e un’assistenza tecnica affidabili;
- curare la formazione dei magistrati e del personale amministrativo;
- realizzare soluzioni tecniche che agevolino la lettura dei documenti in video e consentano di procedere contestualmente alla redazione del provvedimento e alla consultazione del fascicolo;
- predisporre postazioni adeguate ed ergonomiche per il piano di lavoro, per l’illuminazione, per il sedile di lavoro, così come già previsto dal Dlgs 81/2008 per i lavoratori addetti ai videoterminali;
- adeguare la forma e la lunghezza degli atti degli avvocati e realizzare protocolli che promuovano l’elaborazione di modelli pensati per il PCT, ai fini della redazione degli atti digitali nativi.
8. Art. 50: Ufficio del processo.
L’istituzione di un ufficio del processo è da tempo sollecitata dalla magistratura associata come strumento essenziale di miglioramento della qualità e della quantità del lavoro giudiziario, come dimostrato, del resto, dai risultati promettenti ottenuti in quei Paesi in cui l’ufficio è già operativo. Vanno anche richiamati i buoni risultati ottenuti presso gli uffici giudiziari grazie all’impiego di coloro che svolgono già da tempo la formazione professionale ex art. 37 comma 5 DL 98/2011. Tale personale, del resto, è inquadrato dalla disposizione in questione nel neoistituito ufficio, unitamente al personale di cancelleria, a quanti svolgono i tirocini formativi ex art. 73 DL n. 69/2013, ai giudici ausiliari ex artt. 62 ss. DL n. 69/2013 e ai giudici onorari di tribunale.
Peraltro, l’ufficio del processo è tradizionalmente immaginato come una struttura destinata essenzialmente a sostenere l’attività giurisdizionale, attraverso funzioni di ricerca dottrinale e giurisprudenziale, nonché compiti di assistenza al magistrato nell’organizzazione dell’attività processuale e nell’espletamento di ogni incombente strumentale all’esercizio della giurisdizione. Inoltre, tale strumento dovrebbe essere dotato di personale in numero sufficiente e dotato di adeguata qualificazione e preparazione.
L’istituto realizzato dal decreto legge rivela, invece, diversi aspetti critici. Anzitutto, la finalità è individuata nell’obiettivo “di garantire la ragionevole durata del processo, attraverso l’innovazione dei modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Si tratta, dunque, di scopi ben diversi da quelli di assistenza alla funzione giudiziaria, ai quali l’ufficio del processo dovrebbe essere destinato, in vista di un effettivo miglioramento del lavoro e conformemente a quanto da tempo richiesto dalla magistratura associata. Dunque, andrebbe quanto meno integrata la funzione di tale struttura, nel senso sopra delineato.
Inoltre, il decreto legge non prevede alcuna dotazione integrativa di personale ma si limita a destinare all’ufficio del processo personale attualmente già presente presso gli uffici giudiziari ed anzi (quanto al personale di cancelleria) già oggi del tutto insufficiente ad assicurare le prestazioni minime indispensabili.
Infine, l’ufficio viene costituito unicamente presso i tribunali e le corti d’appello e non anche presso le procure della Repubblica, pur essendo con queste del tutto compatibile.
In conclusione, a fronte delle attese, tale strumento, così come delineato nel decreto, risulta carente e inadeguato rispetto alle necessità effettive.
Infine, si esprime invece favorevole alla previsione contenuta nell’art. 50 comma 2, che estende alle procure della Repubblica gli stage formativi previsti dall’art. 73 DL n. 69/2013 e riconosce tali stage come titolo per l’accesso al concorso per magistrato ordinario, così ripristinando una disposizione già contenuta nel testo originario dell’art. 73 e poi caduta in sede di conversione del decreto.