La Legge n. 103/2017 ha introdotto un nuovo articolo all’interno del codice penale, il 162 ter, destinato a disciplinare una nuova causa di estinzione del reato.
L’istituto pare connotato da una ratio ristorativa e deflattiva e sembra porsi, pur con le dovute differenze, nello stesso solco dell’art. 131 bis c.p. Entrambi gli istituti invero si aggiungono ai consueti casi di cui agli artt. 530 e 531 c.p.p. consentendo in un caso l’assoluzione e nell’altro l’estinzione del reato, per ragioni prima non previste nel nostro ordinamento.
La differenza tra i due istituti si coglie nei presupposti applicativi che per il 162 ter c.p. si sostanziano nella sola riparazione del danno, mentre per il 131 bis c.p. si concretano in condizioni più pregnanti. Ed invero, ai fini dell’applicazione di tale istituto è necessario che la pena rientri nei limiti di legge, l’offesa sia di particolare tenuità ed il comportamento risulti non abituale.
Il nuovo 162 ter c.p., invece, non prende in considerazione i limiti di pena, l’entità del fatto, né l’abitualità del reato, ma pone limitazioni quanto al regime di procedibilità dei reati.
La norma infatti, per i soli reati procedibili a querela, introduce una nuova causa di estinzione del reato applicabile nei casi in cui l’imputato abbia riparato integralmente il danno prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Le condotte riparatorie potranno estrinsecarsi alternativamente in restituzioni o risarcimento e dovranno cumularsi, “ove possibile”, con l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Detto inciso evidenzia come siano oggetto di valutazione solo le conseguenze eliminabili dal colpevole. In caso contrario, la persona offesa dovrà accontentarsi delle sole condotte risarcitorie.
A fronte di tali condotte, la dichiarazione di estinzione del reato conseguirà quasi automaticamente all’accertamento da parte del giudice della riparazione integrale del danno dal momento che la previsione dell’ascolto delle parti non sembra attribuire al giudice un margine di discrezionalità nel disporre l’effetto estintivo. Quest’ultima previsione infatti sembra funzionale a garantire solo il contraddittorio nell’accertamento dei presupposti applicativi della causa estintiva.
Ciò ovviamente varrà solo per le ipotesi in cui la persona offesa accetti la proposta della difesa poiché, in caso contrario, subentrerà la valutazione del giudice circa la congruità dell’offerta, in funzione suppletiva rispetto al consenso del soggetto leso. Le condotte riparatorie devono essere realizzate prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, termine superato il quale si vanificherebbe, almeno parzialmente, la finalità deflattiva che ha ispirato la riforma.
Tuttavia, la norma consente di valicare il suddetto limite nei casi in cui esistano cause ostative tali da aver impedito all’imputato il precedente adempimento dell’obbligo risarcitorio. Anche in questo caso vengono stabiliti termini certi per beneficiare degli effetti estintivi dell’istituto.
La scelta del legislatore si rivela innovativa considerata la funzione di attenuante (art. 62, co.1, n. 6 c.p.), con mere ricadute in termini di pena, che è stata sempre attribuita alle condotte riparatorie all’interno del procedimento innanzi al Tribunale (fatta eccezione per alcuni reati per i quali detta tipologia di condotte era già considerata causa estintiva del reato, come ad esempio all’interno dell’art. 341 bis c.p.).
A ben vedere la norma ricalca, in parte, la formulazione dell’art. 35 del D.lgs. 274/00 applicabile nei procedimenti innanzi al giudice di pace.
Ed invero, a fronte di una ratio comune e dell’analoga previsione della necessità di condotte riparatrici, i due istituti si differenziano quanto a poteri del giudice, casi di applicabilità ed altre piccole, ma significative, differenze.
L’art. 35 infatti non ricalca la limitazione applicativa derivante dal regime di procedibilità dei reati presente, invece, nel nuovo 162 ter c.p. L’assenza di tale limite si evince anche nella parte in cui l’art. 35 prevede l’ascolto dell’“eventuale” persona offesa consentendo dunque l’applicazione dell’istituto a tutti i reati di competenza del giudice di pace.
Un’altra differenza si coglie con riferimento ai poteri del giudice che, mentre nell’art. 162 ter c.p. sono limitati alla verifica dell’avvenuta riparazione del danno ed all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nell’art. 35 si estendono sino a prevedere un vero e proprio accertamento discrezionale da parte del giudice circa il soddisfacimento, mediante le
condotte riparatorie e risarcitorie, delle esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione. L’istituto dunque si pone in un’ottica di rieducazione e prevenzione, a contrario della causa estintiva operante nei procedimenti di competenza del Tribunale che non consente al giudice alcuna discrezionalità successiva all’accertamento, oggettivo, della riparazione del danno e dell’effettiva possibilità di eliminare le conseguenze del reato.
Il penetrante potere attribuito dal legislatore al giudice di pace fa emergere la particolare configurazione dell’istituto che, lungi dall’operare in maniera automatica per il mero adempimento delle condotte riparatorie, lascia al giudice il potere di valutare l’opportunità di non considerare estinto il reato, malgrado l’avvenuta riparazione del danno, con possibile “duplicazione” della risposta punitiva. L’art. 35 inoltre prevede un penetrante controllo in corso d’opera da parte del giudice, a mezzo di suoi ausiliari, finalizzato a verificare l’effettivo svolgimento delle attività risarcitorie e riparatorie, al contrario di quanto previsto con riferimento ai poteri del Tribunale.
Ulteriore differenza tra i due istituti si riscontra nelle modalità di adempimento. Ed invero, mentre nell’art. 162 ter c.p. è prevista anche la possibilità di presentare un’offerta reale, che determina l’estinzione del reato anche nel caso in cui la stessa non sia accettata dalla persona offesa (a condizione che il giudice ne riconosca la congruità), tale possibilità non è contemplata dall’art. 35. Ulteriore possibilità di adempimento contemplata dall’art. 162 ter c.p. è quella rateale, con evidente ampliamento delle possibilità di fruizione della causa estintiva, non prevista all’interno della disciplina di cui al D.lgs. 274/00.
Vi sono differenze anche con riferimento al termine di cui può disporre l’imputato che dimostri di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di apertura del dibattimento. Ed infatti, secondo l’art. 162 ter c.p. l’imputato può chiedere al giudice un termine non superiore a sei mesi per provvedere, mentre a norma dell’art. 35 il termine non può essere superiore a tre mesi. Anche questa differenza non è di poco conto considerato il tipo di condotte di che trattasi e gli effetti del mancato adempimento nei termini.
Orbene, la sussistenza di presupposti maggiormente restrittivi all’interno dell’art. 35 del D.lgs. 274/00 rispetto a quanto previsto nell’art. 162 ter c.p. potrebbe porre problemi applicativi ed interpretativi con riferimento a probabili istanze della difesa funzionali a richiedere l’estensione della nuova disciplina penalistica, in quanto più favorevole, nei giudizi innanzi al giudice di pace.
Ed invero, uno dei motivi che potrebbe indurre la difesa a richiedere siffatta estensione nei casi di reati procedibili a querela si rinviene nella differente ampiezza della valutazione demandata al giudice di pace ai fini dell’estinzione del reato, rispetto a quella prevista dall’art. 162 ter c.p.
Ed invero, il controllo del giudice di pace circa l’effettivo soddisfacimento delle esigenze di riprovazione e prevenzione appare irragionevole per i reati perseguibili a querela in cui dovrebbe essere solo la sussistenza effettiva di condotte riparatorie e l’ascolto delle parti, in funzione di verifica dell’effettivo ristoro, a dover contare ai fini dell’estinzione del reato.
In questo caso, infatti, il giudice, se dovesse reputare le condotte ristoratrici non idonee a soddisfare le esigenze di prevenzione e riprovazione del reato, potrebbe escludere l’operatività della causa di estinzione del reato con evidente danno per l’imputato. tale possibilità invece è preclusa al Tribunale il cui accertamento si arresterà a fronte dell’integrale riparazione del danno.
Anche la differente ampiezza delle modalità di ristoro potrebbe portare ad ipotizzare un’estensione dell’ambito applicativo dell’art. 162 ter c.p. ai procedimenti innanzi al giudice di pace. Ed invero, la mancata previsione nell’art. 35 dell’offerta reale e del pagamento rateale, rivela un’irragionevole disparità di trattamento che potrebbe condurre la difesa a chiedere l’applicazione del nuovo istituto.
Le differenze testé evidenziate, risolvendosi in un pregiudizio per l’imputato, potrebbero dunque concretamente far sorgere la questione circa la possibilità di estendere l’art. 162 ter c.p. ai procedimenti di competenza del giudice di pace.
Sul punto si potrebbe tentare di risolvere la questione in via interpretativa, mutuando la soluzione adottata dalle Sezioni Unite con riferimento all’estensione dell’art. 131 bis c.p. ai procedimenti innanzi al giudice di pace.
Il paragone è consentito dalla sussistenza per entrambe le norme di un omologo istituto all’interno dei procedimenti innanzi al giudice di pace. Ed invero, l’art. 131 bis c.p. riprende, seppur in parte, l’art. 34 del D.lgs. 274/00, così come l’art. 162 ter c.p. ricalca, in parte, la formulazione dell’art. 35 del D.lgs. 274/00.
Pur se al momento non si conoscono le ragioni della scelta negativa adottata dalle Sezioni Unite, si può tentare di ricostruirne la motivazione basandosi sul contenuto dell’ordinanza di remissione e su quello della memoria del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.
Orbene, con ordinanza n.20245/17 la III sezione della Corte di Cassazione aveva sottoposto alle Sezioni Unite la questione sopra accennata rilevando la sussistenza di un contrasto tra le sezioni semplici. In particolare, secondo l’orientamento maggioritario, l’art. 131 bis c.p. non è applicabile ai reati di competenza del giudice di pace per i quali è applicabile il solo art. 34 del d.lgs. 274/00. A sostegno vengono evidenziate le differenze tra i due istituti. In particolare, l’ambito applicativo delle due norme ed i relativi i presupposti. Detto orientamento, inoltre, esclude che l’art. 34 del d.lgs. 274/00 sia stato tacitamente abrogato dalla novella del 2015, non sussistendo una reale incompatibilità tra le due discipline.
Secondo l’orientamento minoritario, invece, l’art. 131 bis c.p. si distingue strutturalmente dall’art. 34 e le reciproche differenze inducono a ritenerlo applicabile anche ai reati di competenza del giudice di pace. Ed invero, le norme non presuppongono la medesima situazione di fatto, ma situazioni solo parzialmente convergenti e vi potrebbero essere casi in cui l’impossibilità di applicazione di una norma, non escluda l’operatività dell’altra. Non vi sarebbero inoltre indicazioni normative di segno contrario e, di conseguenza, in base al principio del favor rei, l’art. 131 bis c.p. dovrebbe ritenersi estensibile ai reati di competenza del giudice di pace.
Il Procuratore Generale ha prestato adesione all’orientamento maggioritario evidenziando che l’analisi dei due istituti non può essere affrontata mediante una “meccanica comparazione” poiché ci si deve domandare se le diversità di disciplina siano il naturale riflesso delle differenti finalità dei due procedimenti. Come rammentato dal Procuratore Generale, la stessa Corte Costituzionale, in altre occasioni, aveva evidenziato che il procedimento disciplinato dal D.lgs. 274/00 “presenta caratteri assolutamente peculiari, che lo rendono non comparabile con il procedimento davanti al tribunale, e comunque tali da giustificare sensibili deviazioni” (cfr. ordinanze Corte Costituzionale nn. 349 e 201 del 2004; nn. 290 e 231 del 2003).
Le Sezioni Unite, in base a quanto risulta dall’informazione provvisoria, hanno risolto la questione in senso negativo, probabilmente, valorizzando le differenze di disciplina tra i due procedimenti e privilegiando un’impostazione formalistica e tradizionalista, potrebbero aver opinato nel senso che l’osmosi tra i due sistemi può essere realizzata solo dal legislatore con una precisa scelta di campo, tenuto conto anche del disposto di cui all’art. 2 del D.lgs. 274/00 che rinvia alle sole norme del codice di rito in funzione di integrazione della disciplina applicabile nei giudizi innanzi al giudice di pace.
A ben vedere però, come sottolineato dall’indirizzo minoritario, vi erano altrettante buone ragioni per risolvere la questione in senso positivo.
Ed invero, la non sovrapponibilità dei due istituti avrebbe potuto portare all’estensione dell’art. 131 bis c.p. ai giudizi di competenza del giudice di pace per consentire all’imputato, anche in assenza dei presupposti di cui all’art. 34, di fruire di una causa assolutoria e ciò in linea con il favor rei che, data la minima offensività dei reati di competenza del giudice di pace, dovrebbe portare alla massima espansione di tutti gli strumenti di definizione alternativa del processo, indipendentemente dalla fonte normativa. Ciò, invero, sarebbe in linea anche con la dizione dell’art. 2 del D.lgs. 274/00 che, nel limitare l’estensione delle norme del codice di rito alla condizione di compatibilità, non pare impedire l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. poiché la verifica di compatibilità non è richiesta per le norme di diritto sostanziale che sono pur sempre parte del corpus normativo applicato dal giudice di pace.
Ciò posto, per ragioni similari, analoghe problematiche potrebbero sorgere con riferimento all’applicazione dell’art. 162 ter c.p. nei giudizi innanzi al giudice di pace poiché, in ragione delle diversità sopra evidenziate, detto istituto non può realmente essere considerato identico a quello di cui all’art. 35 del D.lgs. 274/00 e ciò, per ragioni di favor rei, potrebbe portare i giudici di pace a ritenere applicabile il nuovo istituto nei processi di loro competenza, ampliando le possibilità per l’imputato di veder estinto il reato in forza delle condotte riparatorie.
La possibilità di applicazione dell’istituto di cui all’art. 162 ter c.p., inoltre, non pare potersi escludere tout court nei processi di competenza del giudice di pace, nemmeno tenendo conto della sussistenza di un precedente delle Sezioni Unite poiché dettato per un caso simile.
In conclusione, bisognerà vedere come sarà applicato il nuovo art. 162 ter c.p. e se i giudici di pace riterranno di poterlo applicare anche nei giudizi di loro competenza. Se così fosse, solo se vi sarà una nuova ordinanza di remissione alla Sezioni Unite, si potrà mettere un punto fermo alla questione.