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4 dicembre 2017

Intercettazioni, con poche modifiche riforma più efficace

Editoriale di Eugenio Albamonte, presidente dell'ANM, pubblicato sul numero 2 di Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore


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La riforma delle intercettazioni telefoniche voluta dal ministro Orlando a breve vedrà la luce; il testo del decreto legislativo è, in questi giorni, all’esame del Parlamento dopo un iter ministeriale caratterizzato da una procedura ampiamente partecipata che ha visto il coinvolgimento dei principali protagonisti del dibattito sulla giustizia.


L’Associazione nazionale magistrati ha apprezzato sin dall’inizio i valori ispiratori della riforma, sostenendo convintamente che le indagini giudiziarie e in particolare le intercettazioni telefoniche non debbano e non possano costituire l’occasione per la diffusione pubblica indiscriminata di informazioni personali e sensibili relative agli indagati o ai terzi occasionalmente intercettati.


In particolare, devono rimanere riservate le informazioni non rilevanti ai fini delle indagini in corso, sebbene queste possano costituire oggetto di interesse da parte del pubblico o essere idonee a fondare giudizi politici, sociali o morali sui soggetti interessati. Le indagini, infatti, hanno come unico fine quello di individuare gli autori dei reati e dimostrarne la penale responsabilità e gli strumenti investigativi più intrusivi della sfera privata trovano legittimazione solo in quanto siano utilizzati esclusivamente ai fini predetti. Peraltro, la ricorrente diffusione delle intercettazioni non rilevanti per il processo ma suscettibili di determinare ondate di indignazione ha ingenerato, negli anni, una confusione concettuale che arriva a investire il ruolo stesso della magistratura, chiamata impropriamente a esercitare un controllo morale anziché penale sui soggetti attenzionati nelle indagini. Tale impropria definizione dei ruoli deve al più presto essere corretta se si vuole evitare un corto circuito istituzionale dalle conseguenze incalcolabili, e ricondurre le intercettazioni nell’alveo strettamente giudiziario che gli è proprio può certamente contribuire a questo risultato.


Non è, quindi, in discussione l’opportunità dell’iniziativa legislativa, quanto le concrete modalità nelle quali la relativa disciplina si articola.


Da questo punto di vista, i differenti testi normativi che si sono succeduti hanno consentito di rilevare progressivi miglioramenti nella disciplina delle fasi procedimentali relative all’acquisizione delle intercettazioni, prevista dall’articolo 3 del decreto delegato. In particolare, appare assolutamente condivisibile la scelta operata in favore di un contraddittorio cartolare tra accusa e difesa con la rimessione al giudice del potere di fissare un’udienza quando lo ritenga necessario. Tale soluzione sembra coniugare efficacemente le esigenze di speditezza con quelle del controllo giurisdizionale su questa delicata fase. Residuano tuttavia alcuni passaggi normativi, contenuti nello schema di decreto delegato oggi in esame, che appaiono suscettibili di opportune correzioni.


Le conversazioni irrilevanti


L’articolo 2 dello schema di decreto legislativo interviene sull’articolo 268 del Cpp prescrivendo che le conversazioni irrilevanti (riguardino o meno la privacy dei soggetti intercettati) non possono in nessun caso essere trascritte; nel verbale devono essere riportate con i soli estremi relativi a data, ora e dispositivo su cui la registrazione è intervenuta. Tale laconicità della verbalizzazione sarà di ostacolo alla successiva individuazione di conversazioni che in un primo momento siano ritenute irrilevanti ma in epoca successiva acquisiscano interesse. Sarà oltremodo difficile esercitare un qualsiasi controllo sull’operato della Pg delegata per gli ascolti e su eventuali errori od omissioni da questa commessi; sarà pressoché impossibile per i difensori orientarsi nel mare magnum delle conversazioni non trascritte, qualora volessero vagliarle alla ricerca di elementi a discarico.


L'attuale previsione andrebbe quindi modificata, consentendo quanto meno la verbalizzazione delle identità dei conversanti e dell’oggetto della conversazione, al fine di avere qualche elemento in più che faciliti una eventuale ricerca successiva.


Sempre in tale ambito è prevista la possibilità che la Pg, ritenendo rilevante per le indagini una conversazione pertinente alla privacy dei soggetti, la sottoponga in anticipo al Pm al fine di ottenere indicazioni. Il Pm, con decreto motivato, potrà disporne la trascrizione e l’inserimento nei verbali.


Questa procedura sembra essere macchinosa e non compiutamente disciplinata. Da un lato, bisogna porsi il problema di quelle indagini che, per la materia trattata, siano strettamente connesse a temi sensibili; ad esempio una indagine per pedopornografia, nella quale è presumibile che tutte le conversazioni intercettate utili per le indagini siano relative alle abitudini sessuali dei conversanti. In questi casi le interlocuzioni tra Pg e Pm sarebbero imponenti per volume e frequenza e rischierebbero di appesantire e ritardare le indagini. D’altro canto nulla è previsto in ordine alle interlocuzioni delle quali ci occupiamo. Queste dovranno inevitabilmente avvenire in forma scritta ma la norma nulla dice circa la conservazione di questa documentazione. In particolare può ben essere che il Pm riceva una nota nella quale si faccia riferimento a una conversazione sensibile con la richiesta di valutarne la rilevanza per le indagini. In caso di diniego il carteggio dove sarà conservato? È evidente che se fosse inserito nel fascicolo del Pm prima o poi diverrebbe ostensibile; d’altro canto, in assenza di espressa disposizione, non può certo essere distrutto né altrimenti custodito.


L’ultima disposizione di interesse riguarda la modifica dell’articolo 268 comma 4 del Cpp secondo la quale, i verbali e le registrazioni non rilevanti vengono trasmessi dalla Pg al Pm dopo la scadenza del termine indicato per le operazioni di intercettazione; il Pm a sua volta ne dispone la conservazione nell’archivio riservato istituito dal nuovo articolo 269, comma 1, del Cpp. La norma in esame presenta un inciso suscettibile di creare equivoci e disservizi dove precisa che la trasmissione va fatta al Pm alla scadenza del termine se pure oggetto di proroga. Si deve intendere che la trasmissione va fatta al momento della chiusura definitiva delle intercettazioni ovvero alla scadenza di ogni periodo intermedio e di volta in volta prorogato? Se si accedesse alla seconda interpretazione la procedura sarebbe davvero troppo farraginosa e defatigante, imponendo a ogni proroga (di regola ogni 15 giorni) una serie di operazioni tecniche e materiali molto articolate che sino a ora erano effettuate una sola volta nella fase della conclusione delle indagini.


L'utilizzo dei trojan nelle intercettazioni ambientali


Il decreto dà esecuzione alla delega che prevede l’introduzione di una specifica disciplina per l'utilizzo del trojan (o captatore informatico) quale strumento di intercettazione delle conversazioni tra presenti. Si tratta di un argomento assolutamente differente rispetto alla tutela della privacy e la relativa disciplina introduce forti limitazioni che non trovano giustificazione nel diritto alla riservatezza. Anzi, sembrano ancor più irragionevoli proprio in quanto inseriti in un testo normativo che, ponendo argini stringenti alla conoscibilità del materiale intercettato non rilevante ai fini di indagine, di fatto già tutela contro il rischio che le informazioni personali e sensibili siano indebitamente esposte alla conoscenza pubblica.


Su questo tema, già la legge delega aveva operato una sostanziale limitazione dello strumento ai soli reati di mafia e terrorismo e non anche alle altre ipotesi di associazione a delinquere disciplinate dall’articolo 416 del Cp, diversamente da quanto in precedenza stabilito dalle sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 28 aprile 2016, Scurato.


Nello schema di decreto delegato si rinviene una ulteriore limitazione che, peraltro, non sembra trovare riscontro nella legge delega. Infatti, nel modificare gli articoli 267 comma 1 e 271 del Cpp, il decreto prevede che il provvedimento di autorizzazione all'utilizzo dello strumento indichi, a pena di inutilizzabilità, i luoghi e il tempo in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono. Si tratta, evidentemente, di una disciplina ben diversa da quella previgente che imponeva di escludere l’utilizzabilità nei luoghi di privata dimora se non in presenza di elementi indiziami più stringenti. Oggi è imposto non più di escludere alcuni luoghi autorizzando implicitamente tutti gli altri ma di predeterminare i luoghi ove si potrà intercettare la conversazione tra presenti. Ciò, evidentemente, sarà quasi sempre impossibile, essendo tra l’altro preclusa la possibilità che il Pm adotti un provvedimento d’urgenza; conseguentemente lo strumento sarà di fatto inutilizzabile per i reati diversi da quelli più gravi di mafia e terrorismo, con una perdita consistente di capacità investigative, atteso che al giorno d’oggi ciascuno si può dotare, con pochi euro, di strumenti utili alla individuazione e neutralizzazione delle microspie con le quali si svolgono tradizionalmente le intercettazioni ambientali.


Si tratta di modifiche che richiederebbero interventi minimi e compatibili con la fase di esame della legge e con il clima di collaborazione che ne ha caratterizzato l’iter. L’auspicio dell’Anm è che possano essere adottati.


Leggi anche l'intervista di Albamonte sul Corriere della Sera



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