L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

8 febbraio 2019

La relazione del vicepresidente del CSM David Ermini

Evento per i 110 anni dell'ANM


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La nostra storia, guardando al futuro
Centodieci anni al servizio della giustizia


Roma, 8 febbraio 2019
Signor Presidente della Repubblica,
Signor Ministro,
Magistrati,
Autorità e presenti


Ho seguito con grande interesse la relazione del presidente Minisci, che ringrazio cordialmente per l’invito. Devo dirvi che partecipo con sincero piacere all’anniversario di fondazione dell’Associazione nazionale magistrati. Centodieci anni è età più che veneranda, segna un passato denso di storia. Un passato impegnativo, lungo un percorso non sempre facile, eppure di straordinaria vitalità.


Giustamente, nel momento in cui si celebrano traguardi importanti come il vostro, lo sguardo si proietta già verso il futuro. Ma si badi, il futuro è l’inscindibile filiazione del passato: è il ‘tempo destinato ad essere’ in virtù proprio del suo legame con il passato. Dunque, non dimenticare la propria storia è la saggia scelta per aprirsi al futuro.


1. Oggi la magistratura è chiamata a misurarsi con una realtà complessa. La velocità delle trasformazioni culturali, tecnologiche e sociali ha infatti moltiplicato l’ambito d’intervento della giurisdizione affidandole nuovi compiti di tutela e riconoscimento di diritti. C’è una domanda forte di giustizia, che è domanda di effettività, di certezza, di prevedibilità, una domanda che esige una risposta giudiziaria consapevole, responsabile, celere ed efficace. Non si tratta d’inseguire il miraggio di una giustizia neutra, fredda e inanimata, ma di imporre un esercizio della giurisdizione equilibrato, entro cornici processuali di forte presa delle garanzie, della terzietà e imparzialità, della piena dignità di tutti i soggetti.


A fronte di un ‘diritto globalizzato’, spinto verso forme reticolari e frammentate dalla moltiplicazione delle fonti e dei livelli di produzione normativa, il magistrato deve mettere in campo competenze e sensibilità supplementari e farsi carico di un ‘pensiero problematico’ abbandonando tentazioni autoreferenziali. L’ordinamento attuale, in altri termini, richiede una figura di magistrato a un tempo votato alla specializzazione e dischiuso a saperi diversi, non fermo sulla propria cultura giuridica ma aperto al dialogo con le altre scienze.


2. In un simile contesto, in un contesto cioè dove i giudici sono investiti di responsabilità, aspettative e tensioni che talvolta ne mettono in crisi credibilità e legittimazione, ritengo che l’associazionismo giudiziario svolga e possa svolgere un ruolo prezioso animando il dibattito e il confronto culturale e tecnico sui temi della giustizia e sul senso della giurisdizione. Se alieno da arroccamenti corporativi, giochi di potere, traffici venali, l’associazionismo è invero una ricchezza nella e della magistratura. Ma vorrei dire, più in generale, che è ricchezza e garanzia di pluralismo per la collettività nel suo insieme, in quanto luogo di impegno civico e laboratorio di idee e valori.


Del resto, la storia stessa dell’Anm documenta come l’associazionismo giudiziario sia stato un potente fattore di cambiamento e democratizzazione della magistratura, favorendo una presa di coscienza collettiva in ordine ai valori costituzionali che la giurisdizione ha il compito di attuare e difendere.


3. Ma la stessa storia dell’Anm, alludo naturalmente al suo scioglimento in epoca fascista, dimostra che è ai regimi autoritari e illiberali che l’associazionismo giudiziario e i valori a cui dà voce risultano indigesti.


In primo luogo i valori di autonomia e indipendenza, beni preziosi e irrinunciabili che la Costituzione pone a garanzia del singolo magistrato, ma principalmente del potere giurisdizionale. E’ un bene che, unitamente alla fiducia dei cittadini, la magistratura – ribadisco quanto detto in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Corte di cassazione – deve guadagnarsi giorno per giorno, operando con competenza, imparzialità, buon senso, laboriosità e con il doveroso rispetto delle persone nella cui ‘carne viva’ affonda ogni sua decisione.


4. E’ grande la responsabilità sociale di chi esercita le funzioni giurisdizionali, e impone – come sottolineato dal presidente Mattarella – “il serio rispetto della deontologia professionale e sobrietà nei comportamenti individuali”.


Viviamo tempi ad alto tasso mediatico, tempi in cui sovente la comunicazione della giustizia sconfina fatalmente e pericolosamente nella spettacolarizzazione dei processi e in una narrazione superficiale, enfatica e deviante. Sobrietà vorrebbe che il magistrato si astenga da narcisistici eccessi di protagonismo e dall’alimentare il circo massmediale, garantendo piuttosto trasparenza e comprensibilità al suo agire giudiziario, come si legge in una delibera del Csm.


Un agire che non può e non deve subire né ingerenze né condizionamenti né pressioni improprie, giungano essi dai processi mediatici o dalle aspettative dell’opinione pubblica o ancora dalla strumentalizzazione di una supposta volontà popolare. La magistratura non risponde che alla legge. E se è vero che le sentenze sono pronunciate nel nome del popolo, è anche vero che l’ordine giudiziario opera come espressione del popolo in un’accezione interamente costruita entro l’ordine costituzionale. Sostenere il contrario collocherebbe la magistratura radicalmente al di fuori della struttura democratica della giustizia.


5. La credibilità e il prestigio dell’istituzione giudiziaria, che hanno il loro punto di forza nel decoro e nella rispettabilità di ogni singolo magistrato, si correlano del resto e rafforzano l’autonomia e l’indipendenza, e preservano da critiche denigratorie e delegittimanti.


Ciò ancor più sollecita, sul piano disciplinare, al massimo rigore nei confronti di chi violi la legge e le norme deontologiche. Sinceramente amareggiano i recenti e ben noti casi di magistrati accusati di corruzione, e tuttavia – lo dico con profonda convinzione – i magistrati sono molto severi verso i loro colleghi che sbagliano e va sfatata l’idea di una giustizia ‘domestica’ debole e auto-indulgente.


6. Consentitemi però, in conclusione, di ritornare solo per un istante al passato. Tra quattro giorni ricorrerà un ben triste anniversario, l’omicidio per mano terrorista di Vittorio Bachelet, mio indimenticato predecessore al Consiglio superiore della magistratura. In quegli anni, in quei terribili decenni di piombo e stragismo mafioso, la magistratura pagò un tributo altissimo di sangue e dolore. Le ‘27 rose spezzate’ come sono ricordate nella memoria collettiva dei magistrati. Io credo che bene faremmo, ogni qual volta il discorso pubblico rischi di scadere nella svalutazione morale della magistratura, a ripensare a quegli anni e a quei sacrifici. Se ancora siamo in uno stato di diritto, se ancora la nostra è una democrazia salda, lo dobbiamo anche a quegli uomini in toga che con coraggio hanno perso la vita a difesa delle istituzioni.


7. Quegli anni furono sì terribili, ma furono anche gli anni dove prevalse un senso e un sentimento forte di comunità. Il Paese seppe reagire credendo nello Stato e stringendosi attorno alle istituzioni. Con equilibrio e spirito unitario, superando odi e divisioni e rinsaldando i legami e la fiducia nella politica, nei partiti, nei poteri pubblici, nella magistratura.


E’ un passato di cui tutti noi possiamo essere fieri. Ed è una grande lezione anche per l’oggi. Perché è nella fiducia verso le istituzioni e nella loro reciproca legittimazione democratica che sta la vitalità di una comunità nazionale.



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