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22 maggio 2021

Santalucia, presidente Anm: «Caso Csm, i salotti tv non sono i luoghi adatti»

Articolo de "Il Dubbio"

La relazione del presidente dell'Anm, Giuseppe Santalucia, al Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati


Non è passato molto tempo dalla precedente riunione di questo Comitato direttivo e un’altra vicenda assai poco chiara e con profili di rilievo penale ha coinvolto alcuni magistrati, anche con posizioni di responsabilità assai elevate.


Proprio il giorno dell’ultima riunione giungeva notizia dell’arresto di un giudice di Bari per fatti di particolare gravità, corruzione in favore di esponenti della criminalità mafiosa, capitolo assai triste che, cronaca dei giorni successivi, non finisce di sorprendere per gli ulteriori sviluppi investigativi; e a poco tempo di distanza è esploso il caso della cd. loggia Ungheria e della gestione che è stata fatta presso la Procura della Repubblica di Milano delle dichiarazioni rilasciate dall’avv.to Amara, già presente in altri inquietanti segmenti della recente storia giudiziaria.


Insomma, siamo funestati da scandali che si susseguono e che si aggiungono a quanto già consegnato all’attenzione collettiva dall’affare Palamara – lo indico così – e che fa dire a molti commentatori che la Magistratura è un corpo malato, l’intera Istituzione è inadeguata, necessita di riforme, radicali, che ne sovvertano l’attuale impianto.


E qui, il florilegio di proposte è ampio e noto: dallo scioglimento e messa al bando dell’Associazione nazionale magistrati, a cui si addebita una capacità inquinante della vita e dell’attività del Csm; alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla magistratura, meglio: sui magistrati; al mutamento della composizione del Csm e specificamente del rapporto di proporzione tra laici e togati in modo che siano in prevalenza numerica i primi; all’Alta Corte per la materia disciplinare, sottratta così al Csm; alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri; alla revisione della legge sulla responsabilità civile; e ancora altro e tanto altro.


In questo contesto, che vede la Magistratura e la magistratura associata chiamate in causa con un pregiudiziale fardello di responsabilità, molte soltanto presunte, si verifica che l’atteggiamento dell’ ANM venga percepito come quello di un soggetto stordito, colpito talmente forte da non saper imbastire una reazione, timido e incerto quando pure fa sentire la sua voce.


Mi riferisco, per un esempio tra i più, all’episodio del comunicato della Giunta esecutiva sul caso giudiziario – e consiliare – della cd. loggia Ungheria, con il quale sono state evidenziate la gravità della vicenda e la necessità di un rapido e completo accertamento dei fatti e delle responsabilità individuali, per un bisogno di chiarezza che non è solo della pubblica opinione e che in misura almeno pari è dell’intera magistratura.


Il rischio di apparire silenti, incomprensibilmente silenti, c’è, ma solo al cospetto di un pubblico distratto o poco consapevole o addirittura non in buona fede.


E spiego il perché. Alcune testate giornalistiche e alcune trasmissioni televisive privilegiano la lettura scandalistica, preferiscono scovare la trama dell’intrigo torbido e dell’intreccio occulto di interessi e di affari, il rapporto obliquo con settori del mondo politico, i tratti allarmanti del potere deviato.


Credo sia un bene, anzitutto d’immagine, che in quei momenti l’ ANM non ci sia. Lo spazio dell’argomentazione ragionata sui fatti e non sulle ricostruzioni romanzate non c’è e non sarebbe concesso.


In altre occasioni, in particolare televisive, ove invece si inscena il confronto tra i protagonisti delle vicende dell’ultimo periodo, l’ Anm è parimenti assente. Anche di questa assenza non credo che ci si debba dolere.


Non avrebbe senso accomodarsi nei salotti televisivi in cui si dibatte dei comportamenti dell’uno e dell’altro, tacciando ora questo ora quello di non aver osservato le regole, di aver violato il codice di condotta, per la semplice ragione che, assai più opportunamente, l’ ANM deve attendere che gli accertamenti siano fatti nelle sedi a ciò preposte. E non deve lasciarsi trascinare in luoghi in cui si è giocoforza richiesti di dare giudizi ma senza conoscere i fatti se non per quello che la lettura dei giornali consente.


Insomma, la reazione forte dell’ ANM, della cui mancanza alcuni lamentano, non può essere affidata a questi percorsi; se ci unissimo al coro, per aggiungere la nostra voce alla babele di tesi e letture ricostruttive, saremmo più visibili, ma certo non più incisivi e con ogni probabilità ancora meno autorevoli.


Questa presa di distanza dalla discussione pubblica che si svolge con innegabili esigenze di audience non va interpretata come espressiva della volontà di mettere a tacere l’ennesima vicenda che riguarda i magistrati e il Csm, quasi a voler nascondere, per biechi interessi, la polvere sotto il tappeto del silenzio.


Risponde piuttosto al senso istituzionale che impone il rispetto di alcune elementari regole, che tutti peraltro genericamente invocano. E le regole impongono di non fare dei salotti televisivi il luogo anomalo di sviluppo di un contraddittorio tra chi accusa e chi si difende, con il risultato finale di offrire alla pubblica opinione non chiarezza su quanto è avvenuto ma solo, e tristemente, maggiore confusione, legittimando forse più di prima alcuni interrogativi sullo stato di salute dell’intera categoria.


Siamo tutti, e nella stessa misura, turbati e preoccupati, ma abbiamo il dovere, dopo aver richiesto un incisivo e rapido intervento dell’Autorità giudiziaria, di attendere le conclusioni degli accertamenti, per poi trarre tutte le conseguenze che a noi competono.


Questo atteggiamento di prudenza non è, voglio ribadirlo, indice di indifferenza.Sappiamo tutti che quelle vicende suscitano clamore, stimolano dubbi e sospetti, in buona parte alimentati ed estesi in danno dell’intera magistratura, che però – e questo è troppo spesso dimenticato – non si esaurisce e non si identifica interamente ed esclusivamente in quei singoli magistrati, pur rappresentativi, che ne sono coinvolti. È fin troppo chiaro che v’è chi dalla confusione pensa di poter trarre vantaggio, facendo apparire anche la più strampalata proposta di riforma la panacea dei mali della giustizia e della magistratura.


Non stiamo però con le mani in mano, in attesa passiva che si capisca bene cosa è accaduto. Il nostro compito, per intanto, è lavorare affinché, in questo momento di grande difficoltà per la magistratura, le imminenti riforme siano elaborate e realizzate senza cedimenti all’emotività del momento; affinché il principio di razionalità non sia accantonato e ogni riforma sia una autentica ed adeguata risposta ai problemi effettivi ed esistenti; affinché la crisi che stiamo attraversando non divenga il pretesto per regolare con la magistratura il finale di una partita che si aprì negli anni di Tangentopoli.


È questo l’impegno a cui tutti siamo chiamati, e come prima condizione dovremmo ritrovare nel quotidiano confronto tra noi le ragioni di una unitaria condivisione di questo prioritario obiettivo. D’altronde è proprio il nostro Statuto a ricordarci che l’Anm deve adoperarsi affinché “il carattere, le funzioni e le prerogative del potere giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato, siano definiti e garantiti secondo le norme costituzionali”.


Quindi, nessuna inerzia e nessuna distrazione. Proprio perché non siamo disorientati abbiamo ben chiara la direzione in cui incamminarci, senza atteggiamenti arroganti nei confronti di chi fa proposte che non ci convincono, ma senza la subalternità psicologica tipica di chi ha colpe da farsi perdonare.


Perché la responsabilità dei singoli, per quanto in gruppo non sparuto, non possono e non debbono gravare sull’Istituzione giudiziaria, a meno che si provi, e ciò non è, che i guasti prodotti non siano imputabili tanto o solo alla responsabilità di chi ha agito scorrettamente, ma al modo in cui la vita e l’attività della Istituzione giudiziaria è pensata e regolata.


Il nostro sforzo attuale è di studio dei problemi, di confronto sui progetti di riforma, di sostegno alle buone riforme, senza che ci facciano velo interessi anche solo vagamente inquadrabili come corporativi, e di contrasto forte, netto, trasparente e argomentato delle cattive riforme, delle pessime riforme.


Per questo dobbiamo evitare di essere sopraffatti da un senso di indignazione che, se non assistito da una altrettanto forte lucidità di analisi, rischia di annullare i pur benefici effetti che l’indignazione sa produrre.Dobbiamo indignarci, ed anzi esser consapevoli che questo diffuso sentimento è la miglior prova di quanto il Corpo giudiziario sia estraneo, a dispetto di quanti altri vuol far credere, a irreversibili compromissioni col potere e per il potere.


Al contempo dobbiamo conservare capacità di tenere la rotta, di governare le frustrazioni per il tanto che ci turba, di non cedere alla tentazione di svilire la nostra capacità di lettura della realtà in una resa a sensazioni di impotenza. Perché questo finirebbe col realizzare proprio ciò che molti temono già sia: l’indebolimento dello statuto costituzionale di autonomia e di indipendenza.


Io e il Segretario generale siamo stati convocati qualche settimana fa dalla Commissione ministeriale presieduta dal prof. Luciani, incaricata di elaborare proposte di modifica della legge di ordinamento giudiziario e del Csm, in particolare del sistema di elezione dei componenti togati.


La Commissione ci ha interpellato su vari punti e su altri abbiamo noi posto l’attenzione: semplificazione delle procedure di valutazione della professionalità; recupero calibrato del criterio dell’anzianità nelle procedure per il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi; cd. diritto di tribuna degli avvocati nei Consigli giudiziari; disciplina del rientro in ruolo dopo esperienze fuori ruolo; accesso dei magistrati a cariche politiche; codice etico e rapporto con le previsioni disciplinari ed eventuale attrazione in capo al Csm della vigilanza sulla osservanza del codice etico.


Poco si è detto, invece, sulla riforma del sistema elettorale, perché a quel momento i lavori della Commissione non erano ad uno stato sufficientemente avanzato per consentire una illustrazione, anche solo per sommi capi, dell’architettura della riforma. Sul punto ho ricordato che in senso all’ ANM opera una Commissione di studio che ha approfondito l’argomento, che l’ ANM avverte molto l’importanza di una riforma, che questa, per necessità, dovrà saper realizzare una maggiore libertà dell’elettore rispetto ai possibili condizionamenti dei gruppi associativi; e non ho trascurato di ricordare che c’è tra noi chi ritiene che soluzione assolutamente preferibile sia l’introduzione del meccanismo del sorteggio.


Ciò ho fatto non per accreditare la proposta né per demonizzarla; è posizione, allo stato, di una minoranza e non è proposta dell’ ANM; e l’ ANM non ha ancora definito la sua posizione. Il fatto però che il sorteggio abbia conquistato spazio anche nella discussione interna all’Associazione, a fronte del testo costituzionale che parla di componenti eletti, è segno indubbio, ed in questo senso ne ho fatto cenno, di quanto sia avvertita l’importanza e la centralità di una riforma dell’assetto attuale e di come il prossimo Csm avrebbe molte difficoltà di azione se alla fine una riforma non dovesse veder la luce.


Da pochi giorni la Commissione ministeriale presieduta dal prof. Luiso e incaricata di elaborare proposte per la riforma del processo civile, dalla quale la Gec era stata audita in fase istruttoria, ha concluso i lavori e sono stati articolati, per quanto è dato sapere, alcuni sostanziosi emendamenti al testo del disegno di legge già incardinato alla Camera. Le proposte, salvo un esame più dettagliato che faremo nei giorni a venire, sembrano orientarsi sulla giusta via.


Un’azione coordinata che agisce su più livelli: il potenziamento delle forme di alternativa risoluzione delle controversie, con un investimento serio sulla mediazione; il rafforzamento delle soluzioni organizzative, con la strutturazione non più sommaria dell’ufficio per il processo, che si candida a divenire un perno di moltiplicazione di efficienza della risposta giudiziaria senza alcun cedimento sulla qualità delle decisioni, ed anzi con buone prospettive di miglioramento; interventi mirati di semplificazione del rito con una maggiore concentrazione delle attività nell’ambito della udienza di comparizione e di trattazione, un accresciuto onere delle parti nella formulazione degli atti di impugnazione, secondo i canoni di sinteticità e chiarezza, e una accelerazione e semplificazione della fase decisoria in appello. Solo per accennare a taluni dei profili che mi paiono meritevoli di considerazione.


È imminente la conclusione dei lavori della Commissione ministeriale presieduta dal dott. G. Lattanzi, incaricata di elaborare proposte per le riforme del processo penale, dalla quale pure la Gec è stata audita. Qui il giudizio è necessariamente più cauto, perché ancora non si conoscono, se non sommariamente, le linee direttrici del progetto. Su quella architettura essenziale, e salva ogni altra più approfondita valutazione, si può, credo, esprimere un prudente apprezzamento.


Si intendono potenziare i meccanismi di deflazione della domanda di processo, dall’irrobustimento dei criteri per l’archiviazione e il non luogo a procedere in udienza preliminare, all’ampliamento degli spazi di messa alla prova, all’archiviazione previa imposizione di prescrizioni e adempimento delle stesse, alla definizione di una procedura per la fissazione dei criteri di priorità, al maggior ricorso al patteggiamento, alla possibile revisione della struttura dell’appello, ad una ulteriore riduzione, ma ben calibrata, della ricorribilità per Cassazione.


Sappiamo, ancora, che ha iniziato i suoi lavori altra commissione ministeriale, presieduta dal dott. Castelli, per la riforma della magistratura onoraria, ed è notizia di questi giorni l’istituzione di una Commissione interministeriale, il cui decreto istitutivo ha fatto tanto discutere, per elaborazione di proposte e soluzioni in vista di un miglioramento delle condizioni della giustizia al Sud.


Un ambiguo passaggio, contenuto nel preambolo del decreto istitutivo di quest’ultima Commissione, ha fatto pensare che si intenda realizzare un assai discutibile progetto di esportazione di buone prassi dagli uffici del Nord Italia e quelli del Sud, come se questi ultimi scontassero, per condizione territoriale, una arretratezza di cultura organizzativa, e dovessero quindi essere guidati e orientati da una élite territoriale più avveduta.


Ho avuto modo di confrontarmi sul punto con il Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia, e di lamentarmi di ciò che è apparso come disattenzione per una magistratura che invece opera in condizioni di maggior disagio, in perenne carenza di risorse, e che pure fronteggia i suoi numerosi compiti con dignità ed onore.


Ho così appreso che il decreto istitutivo è stato reso pubblico prima della sua diramazione ufficiale e quindi prima di un’ultima lettura che avrebbe potuto suggerire un autonomo intervento emendativo di un infelice passaggio che, invero, non rispecchia l’intendimento sotteso alla istituzione della Commissione.


Mi è stato fatto osservare che i magistrati chiamati a comporre la commissione provengono tutti da uffici giudiziari del Meridione, e che se l’idea fosse stata quella di esportare le buone prassi del Nord Italia negli svantaggiati uffici del meridione, la scelta sarebbe stata radicalmente diversa.


Ritengo che questo incidente, quanto meno di comunicazione, possa e debba suggerire che un maggiore e anticipato coinvolgimento informativo della magistratura associata nelle molte iniziative che il Ministero sta mettendo in campo, alcune – come ho detto – promettenti, sarebbe utile, perché consentirebbe di rilevare, prima e meglio, alcuni profili meritevoli di correzione, accrescendo la possibilità di una maggiore condivisione, tra i naturali destinatari delle innovazioni, delle ragioni che sono sottese a quelle iniziative.


Non sempre, però, si può convenire con le scelte ministeriali. Alcune non persuadono e non già, e soltanto, perché non previamente partecipate, ma perché si pongono, inspiegabilmente, in controtendenza con prospettive di assai più ampio respiro.


Sono tante le aspettative che generalmente si nutrono verso l’informatizzazione massiccia, verso la digitalizzazione di molti servizi; ed è diffusa la consapevolezza della necessità di innescare più rapidi processi di innovazione nel sistema giustizia. Ciò nonostante, si apprende che, probabilmente per motivi di contenimento di spesa, il prossimo futuro vedrà la remotizzazione dei servizi di assistenza informatica negli uffici giudiziari.


Si potrà pure affermare, con valutazioni in astratto, che la soluzione non avrà contraccolpi negativi e che anzi i servizi di assistenza saranno potenziati. Per chi opera negli uffici, però, questa determinazione appare assai poco comprensibile, perché inevitabilmente produrrà un rallentamento dei processi di acquisizione di una maggiore confidenza con lo strumento informatico, farà correre il rischio di ingenerare disaffezione in un momento in cui, invece, occorrerebbe imboccare con decisione una direzione nettamente contraria.


V’è allora bisogno che siano intensificati i canali di comunicazione con il Ministero, nella convinzione che le riforme, anche se buone sulla carta, potranno avere successo soltanto a condizione che i magistrati e tutti gli operatori della giustizia, ossia quanti quelle riforme dovranno far vivere e inverare, siano considerati e trattati come attori del cambiamento e non come passivi destinatari di soluzioni infine calate sulle loro teste.


C’è dunque tanto da fare, come anche il solo accenno ai principali capitoli dell’impegno riformatore per una forte ripresa dalla crisi globale di questi anni ci dimostra; e tanto su questo terreno l’ ANM può e deve offrire in termini di qualificata esperienza e di elevata conoscenza dei problemi, in vista delle migliori soluzioni possibili. Queste, però, non possono prescindere dalla riaffermazione di alcuni principi costituzionali in tema di autonomia e di indipendenza dell’ordine giudiziario, pre-condizione di una riforma che voglia realmente risolvere i nodi. Su questo fronte abbiamo, come ANM, il dovere di una difesa convinta e tenace dell’assetto costituzionale, che non vuol dire arroccarsi su posizioni di conservazione ma predisporsi alle riforme della giustizia nell’unico modo in cui esse potranno giovare al bene comune.


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