L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

26 maggio 2021

"Sì alla riforma del processo civile, ma servono più giudizi e cancellieri"

Il segretario generale dell’ANM Salvatore Casciaro intervistato dall’Huffington Post


casciaro_anm_028.jpeg

Il segretario del sindacato delle toghe invece promuove la riforma della prescrizione: "Bene le 2 proposte di Cartabia"



Promosse le proposte di riforma del processo civile, ma “le modifiche al rito possono essere d'aiuto, ma non risolutive”. Salvatore Casciaro, consigliere alla corte d'Appello di Roma e segretario generale dell'Associazione nazionale magistrati, commenta con HuffPost il maxiemendamento del governo alla riforma del processo civile. La proposta prevede, tra l'altro degli incentivi alla mediazione - che consentirebbero di bypassare le aule del tribunale, e quindi sfollarle, almeno in parte - l'implementazione del processo civile telematico, l'unificazione del rito per le questioni che riguardano le persone e la famiglia, nonché delle modifiche al ricorso in appello e in Cassazione. La ministra punta a ridurre in 5 anni i tempi dei processi del 40%. Per Casciaro è “un obiettivo ambizioso” che non può prescindere da investimenti, non solo a tempo determinato, sull'organico. Il Covid, che ha rischiato tra l'altro di paralizzare la giustizia, ha fatto scoprire l'utilità del processo telematico. Per il segretario dell'Anm la prova è stata superata e quegli strumenti devono rimanere una possibilità anche nel futuro. Se per il processo civile il governo ha già presentato gli emendamenti, per il penale la strada è un po' più lunga. Ieri la commissione ministeriale, presieduta dall'ex presidente della Consulta Giorgio Lattanzi, ha presentato la relazione conclusiva. Settantasei pagine in cui si prevede tra l'altro, l'inappellabilità delle sentenza da parte del pm e di superare la legge Bonafede sulla prescrizione. Sul primo punto Casciaro ricorda che è necessario mantenere l'equilibrio tra le parti. Sul secondo, invece, ci dice: “Intervenire è opportuno”, per salvaguardare la ragionevole durata del processo.


Segretario, il maxiemendamento del governo alla riforma del processo civile introduce novità importanti, che potrebbero effettivamente cambiarne molti aspetti. Qual è la posizione dell'Anm?
Abbiamo espresso un giudizio nel complesso favorevole nella consapevolezza, tuttavia, che le modifiche sul rito, riproposte quasi a ogni cambio di legislatura, possono aiutare, certo, ma non sono risolutive. Serve anzitutto un forte impegno per il reclutamento di magistrati e del personale amministrativo: le piante organiche segnano percentuali di scopertura elevate: del 13% circa, ma in crescita, per i magistrati, e del 26% per il personale amministrativo. Sarebbe utile poi un'iniziativa di revisione delle piante organiche dei magistrati, le cui dotazioni registrano differenze cospicue ed evidenti sperequazioni a parità di flussi di contenzioso. Questo perché la domanda di giustizia è soggetta a numerose variabili e andrebbe costantemente monitorata per meglio dislocare le risorse umane. In questo la macchina amministrativa sconta imperdonabili lentezze. Altro fronte delicato è quello dell'edilizia giudiziaria: sembra assurdo ma accade che all'incremento dell'attività giudiziaria, e della connessa produttività, sia di ostacolo l'assenza di spazi idonei dove celebrare le udienze. Inoltre servirebbe un maggiore impegno non solo sulla digitalizzazione ma anche sull'assistenza informatica negli uffici giudiziari. È notizia di questi giorni che il ministero ha inteso limitarla alla sola modalità da remoto. Vede, sono decisioni, evidentemente motivate da esigenze di contenimento della spesa, che però possono rallentare sensibilmente il lavoro dei giudici con un negativo impatto sull'esercizio della giurisdizione.


La ministra si propone di ridurre in 5 anni del 40% i tempi del processo civile, un obiettivo ambizioso. Anche alla luce dell'arretrato accumulato a causa del Covid, è un traguardo raggiungibile?
L'obiettivo, certo ambizioso, investe gli operatori di un carico di enorme responsabilità. Per questo è importante un coinvolgimento di tutti nell'individuazione delle riforme più appropriate. Le sovvenzioni del Recovery fund sono fortemente concentrate sull'ufficio del processo. Non sono a conoscenza dei dati di cui dispone il ministero che vorrebbe ora rivitalizzare tale modulo organizzativo mediante l'assunzione di 16.500 laureati che andranno a comporre lo staff del giudice in modo da supportarlo nell'attività di ricerca, studio, gestione del ruolo, preparazione delle bozze dei provvedimenti. Si tratta di giovani assunti a tempo determinato, ma dobbiamo porci nella prospettiva della stabilizzazione del modulo organizzativo perché questi neo-laureati andranno necessariamente formati, sicché la misura produrrà i suoi effetti benefici solo a distanza di molti mesi. Non sottovalutiamo poi che, a fronte di tale immissione di risorse umane, vi sarà prevedibilmente una cospicua riduzione del numero dei tirocinanti previsti dall'art. 73 decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69: il ddl di riforma ordinamentale intende infatti ripristinare l'accesso diretto dei laureati al concorso in magistratura: migliaia di laureati, che ora presentano domanda come tirocinanti del “decreto del fare”, andando a comporre l'ufficio del processo, in futuro potrebbero non farlo più.


Una delle novità più importanti del maxiemendamento è l'introduzione di un rito unificato denominato “Procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”. Quali potrebbero essere i vantaggi di una modifica in questo senso?
Con l'unificazione del rito, che riprende quello lavoristico con concentrazione delle attività, si potrà determinare una maggiore omogeneità di trattamento per situazioni soggettive analoghe: ai figli nati nel matrimonio si applica ora la disciplina della separazione e divorzio, a quelli nati fuori del matrimonio il rito camerale. Ulteriore vantaggio legato all'unificazione del rito potrebbe venire dall'auspicata formazione di orientamenti giurisprudenziali uniformi con riflessi positivi sui tempi di durata dei processi.


La proposta che sarà vagliata dalla commissione giustizia del Senato prevede anche il potenziamento della mediazione nel settore civile, un sistema che certamente aiuta a non ingolfare le aule dei tribunali. Ma che confini deve avere?
Occorre evitare che si riversino negli uffici giudiziari un numero patologico, e non gestibile, di ricorsi. In questo senso, il potenziamento della giustizia alternativa costituisce una scelta strategica nel quadro complessivo delle riforme del processo civile. Bene quindi estenderne gli ambiti di applicazione ai diversi rapporti contrattuali di durata ed anche al contenzioso con le amministrazioni pubbliche. Positiva anche la previsione di incentivi fiscali per le parti e la valorizzazione delle attività istruttorie stragiudiziali compiute nella fase preventiva di mediazione mediante un potenziale riutilizzo nella fase processuale. Sono misure che potrebbero giocare un ruolo essenziale per la riduzione dei tempi dei processi.


Cosa pensa delle modifiche in tema d'appello e di ricorso in Cassazione, nel processo civile?
Sono fasi del giudizio in cui si accumula un significativo arretrato e su cui occorre intervenire. Valuto favorevolmente il potenziamento dei filtri per le ipotesi di manifesta infondatezza del gravame nonché la misure di semplificazione degli adempimenti istruttori che saranno demandati in appello alla figura del consigliere istruttore. Per il giudizio in cassazione, è positiva l'unificazione dei riti camerali e la previsione del “rinvio pregiudiziale” che, essendo di portata applicativa limitata, non dovrebbe ingolfare la Cassazione chiamata a fornire un'indicazione nomofilattica solo su questioni “nuove” e foriere di difficoltà interpretative riducendo possibili conflitti giurisprudenziali in cause seriali. Mi spiace invece che l'affermazione dell'importante principio di chiarezza e sinteticità degli atti, nella materia delle impugnazioni, non sia stata corredata da specifiche disposizioni volte a renderlo effettivo.


Il maxiemendamento prevede un'implementazione del processo civile telematico. Nel periodo del Covid la digitalizzazione è stata una necessità per non fermare la giustizia. Per il processo civile la prova è stata superata? È giusto lasciare la possibilità di utilizzare la tecnologia (es: collegamenti a distanza) anche oltre il periodo di emergenza?
Senza dubbio. La stabilizzazione dell'udienza c.d. a trattazione scritta e dell'udienza da remoto, modalità già sperimentate assai proficuamente nel periodo dell'emergenza sanitaria, è molto positiva: trattasi di duttili strumenti processuali che consentono al giudice di evitare la celebrazione di udienze non necessarie. Le parti, secondo l'attuale previsione normativa, riconfermata dall'emendamento, ove ne ravvisino l'esigenza, potranno sempre domandare che l'udienza si svolga al cospetto del giudice.


Norme che vanno a implementare il processo telematico sono proposte anche dalla commissione sul ddl penale, che ha presentato ieri la relazione finale. In attesa che la ministra presenti i suoi emendamenti, non possiamo non ricordare la levata di scudi degli avvocati contro alcuni atti del procedimento penale a distanza. Qual è la sua posizione a riguardo?
Sull'impegno per la digitalizzazione del processo e per l'approntamento delle necessarie infrastrutture tecnologiche si gioca una partita decisiva. Nella fase di emergenza sanitaria la possibilità di celebrazione da remoto delle attività investigative e processuali era misura in qualche modo inevitabile perché coerente con la finalità di assicurare il funzionamento della giustizia in condizioni di sicurezza per tutti gli operatori e gli utenti. L'affievolirsi della emergenza sanitaria non potrà che fisiologicamente riespandere l'attività processuale in presenza.


La commissione voluta dalla ministra Cartabia, come anticipato, nella sua relazione propone l'inappellabilità delle sentenze di condanna e proscioglimento da parte del pubblico ministero e la modifica di alcune norme dell'appello per l'imputato. Misure che già nelle scorse settimane hanno fatto discutere, secondo lei è giusto precludere al pm l'appello?
La commissione ha inteso affrontare il nodo dei tempi del giudizio d'appello che si connota per una durata media ben al di sopra delle statistiche europee: secondo l'ultimo Rapporto CEPEJ la durata stimata è pari ad 851 giorni, a fronte della media europea di 155 giorni. Nel nostro ordinamento c'è un esteso potere di impugnazione e si intende così addivenire a una equilibrata razionalizzazione in senso limitativo. A riguardo la commissione richiama la diversa quotazione costituzionale del potere di impugnazione delle due parti necessarie del processo penale e, su tale presupposto, diversifica i rimedi tra pubblico ministero e imputato per assicurare principi di economia processuale. Così a prima lettura ritengo, ma è solo il mio personale avviso, che il piano più delicato sia quello della simmetria degli strumenti impugnatori tra accusa e difesa e qui un possibile punto di frizione potrebbe essere ravvisato con il principio di “parità delle armi” delineato dall'art. 111 della Carta. Inoltre sarà da valutare se l'efficacia dei controlli di legittimità, legalità sostanziale e razionalità sia convenientemente assicurata, per il pubblico ministero, dalla rimodulazione del ricorso alla Corte di cassazione, che potrebbe oltretutto determinare un prevedibile aggravio per i carichi di quell'ufficio.


Un altro tema scottante è quello della prescrizione. La commissione propone due diverse soluzioni, entrambe che vanno nel senso di superare la legge attualmente in vigore. La disciplina vigente secondo lei va effettivamente rivista? Se sì, quali problemi presenta?
La disciplina attuale si propone di scongiurare il rischio di abuso dei tempi del processo da parte dell'imputato, ma al contempo non prevede interventi che ne favoriscano la ragionevole durata. C'è quindi l'eventualità che la persona accusata di un reato resti indefinitamente esposta alla pretesa punitiva dello Stato con naturale e conseguente compromissione di primari valori costituzionali. Opportuno quindi intervenire, e in questo senso le proposte della commissione Lattanzi, in parte già anticipate in queste settimane dagli organi di stampa, vanno nella giusta direzione di individuare, con un ventaglio di ipotesi alternative, un punto di equilibrio tra le due esigenze prospettate.


In un'intervista al Dubbio ieri lei ha ribadito la posizione espressa durante l'ultima riunione del comitato direttivo centrale dell'Anm. Quella, cioè, di contrarietà al diritto di tribuna per gli avvocati nei consigli giudiziari, nell'ambito delle valutazioni professionali dei magistrati. Ci spiega la sua posizione?
Direi che è un intervento non vantaggioso e in grado di interferire con l'indipendenza del magistrato. Non utile perché gli avvocati possono, a normativa vigente, formulare segnalazioni sul singolo magistrato in valutazione così da incidere sulle deliberazioni in tema di valutazione di professionalità. Controproducente perché le proposte di modifica non prevedono forme di incompatibilità tra la carica di membro laico del consiglio giudiziario e l'iscrizione all'albo professionale del distretto territoriale. Ecco che ad esempio l'avvocato civilista, se componente del consiglio giudiziario (organo che decide dell'avanzamento in carriera del magistrato), parteciperebbe alla dialettica processuale in posizione di disequilibrio rispetto al suo collega, il quale potrebbe –magari anche inconsapevolmente- avvertire dinanzi a sé un giudice meno sereno donde i possibili riflessi sul requisito della terzietà.



Scarica l'allegato
casciaro--huffpost--26052021 | pdf, 968 kb

stampa
Stampa

ANM risponde

Le domande e le curiosità sul funzionamento e gli scopi dell'ANM

Poni la tua domanda


Iscriviti alla newsletter

Resta aggiornato su notizie ed eventi dell'Associazione Nazionale Magistrati