13 gennaio 2024
Casciaro “I test attitudinali per entrare in magistratura? Inutili”
Intervista del segretario generale dell'Associazione nazionale magistrati ad Avvenire
di Danilo Paolini
Cancellare il reato di abuso d’ufficio toglierebbe ai cittadini un strumento di «tutela», ma allo stesso tempo aumenterebbe il rischio per i sindaci e gli amministratori pubblici di essere indagati per fattispecie penali più gravi. Mentre i test attitudinali per i magistrati sarebbero «inutili». Salvatore Casciaro, giudice della Corte di Cassazione e segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati, accetta di parlare sulle riforme della giustizia in cantiere. E conferma il giudizio complessivamente negativo del “sindacato” delle toghe.
Per l'Anm l'abrogazione dell’abuso d’ufficio è “inaccettabile”. Perché?
Perché ci sono obblighi internazionali già adesso cogenti come la convenzione di Merida, approvata in sede Onu e ratificata dall’Italia nel 2009, che prevede espressamente l’abuso d’ufficio, e altri che potrebbero a breve scaturire dall’approvazione della proposta di direttiva europea del 3 maggio scorso, la quale impone l’incriminazione dell’abuso di funzioni, reato peraltro presente in quasi tutti i Paesi dell’Unione. Ma anche perché garantismo vuol dire non lasciare solo il cittadino di fronte alle interferenze e agli eccessi dei pubblici poteri. Il rilevante numero di denunce contro gli abusi di amministratori locali, politici, magistrati, appartenenti alle forze di polizia, dimostra che il reato intercetta tuttora un’esigenza di tutela reale da parte della cittadinanza.
Ma in presenza di indizi gravi, non si può indagare a partire da altre ipotesi di reato?
La sua domanda spinge a riflettere anche sull’efficacia dell’intervento rispetto all’obiettivo che si propone: eliminare la cosiddetta “paura della firma” degli amministratori pubblici. In caso di soppressione tout court del reato, il pubblico ministero al quale perverrà una denuncia del cittadino che si professa vittima dell’abuso commesso da un pubblico ufficiale che farà? Cestinerà l’esposto oppure ne vaglierà il contenuto sotto il profilo della riconducibilità del fatto ad altre diverse, e forse anche più gravi, ipotesi di reato? E non sarà peggio per quell’amministratore pubblico?
Che cosa pensa dell’idea di test attitudinali per entrare in magistratura?
Il concorso in magistratura è già selettivo e dà adeguate garanzie sulle attitudini non solo tecnico-giuridiche, anche in considerazione dell’affiancamento del neo-magistrato negli uffici giudiziari per ben diciotto mesi prima dell’assunzione delle funzioni giurisdizionali. La previsione di test psico-attitudinali innesterebbe aspetti di marcata soggettivizzazione nella fase di accesso alla professione, implicando un raffronto rispetto a un modello astratto e precostituito di magistrato, di per sé opinabile. Aggiungo che si tratta di un’innovazione che ritarderebbe le già lunghe procedure di concorso per la copertura delle gravi carenze di organico dei magistrati, inserendo un ulteriore step preliminare, a mio avviso del tutto inutile.
Anche sugli interventi in tema di intercettazioni l’Anm è molto critica. Quali rischi vede?
Uscirei qui dalla sterile disputa garantisti/giustizialisti e valuterei gli interventi per quello che sono: mirano a tutelare la privacy delle persone non indagate ma coinvolte nelle intercettazioni; nel far ciò operano un bilanciamento che comprime la libertà di stampa e il diritto-dovere di informazione su fatti di possibile interesse pubblico, eppure non più coperti da segreto investigativo.
E veniamo alla cosiddetta “norma bavaglio” sulla carcerazione preventiva. C’è chi dice che non si potrà più dare notizia degli arresti e delle loro motivazioni. In realtà il divieto riguarda la pubblicazione per intero o per estratto dell’ordinanza di custodia cautelare fino all’esito dell’udienza preliminare. Dove sta il problema?
Per un giornalista l’ordinanza del giudice è il “fatto” da raccontare, la norma imporrà dei filtri nella comunicazione, delle lenti spesse che ridurranno la qualità dell’informazione e la capacità del cittadino di mettere a fuoco il “fatto” raccontato. Si vorrebbe garantire il principio della presunzione di innocenza dell’indagato ma mi pare che lo strumento non sia idoneo allo scopo perché risulterà sì vietata la pubblicazione, anche per stralci, dell’ordinanza di custodia cautelare ma non anche illustrarne i contenuti, con una prevedibile “babele di lingue” che non potrà che confondere la pubblica opinione.
Ma non pensa che ci sia almeno qualcosa da rivedere nei rapporti che negli ultimi trenta anni alcune procure hanno intrattenuto con alcuni organi di informazione?
Non mi sottraggo alla domanda. Ci saranno stati certo in passato comportamenti discutibili, ma la soluzione qual è? Stravolgere le regole o cambiare i comportamenti?