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23 dicembre 2024

«L'obiettivo di chi ci attacca è controllare le Procure»

Il presidente Santalucia al Corriere


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di Giovanni Bianconi

«Quattro anni di impegno intensissimo e faticoso, seppure molto gratificante, sono sufficienti, e credo che nella difesa dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura occorra evitare ogni personalizzazione. Perciò è giusto che altri prendano le redini della rappresentanza». Giuseppe Santalucia, presidente dell'Associazione nazionale magistrati annuncia che non si presenterà alle imminenti elezioni per il vertice del «sindacato delle toghe», lasciandone dunque la guida. E lo fa nei giorni caldissimi di nuove polemiche con il potere politico dopo l'assoluzione di Matteo Salvini a Palermo e il proscioglimento di Matteo Renzi a Firenze.

Che cosa dicono quelle sentenze, presidente?
«Che i giudici valutano prove e fatti ed emettono un giudizio in linea con quanto emerso dai processi. Ma un'assoluzione non significa che il processo non andava fatto; solo nei regimi illiberali, in cui i pubblici ministeri sono orientati dal potere e i giudici non si permettono di dissentire, i processi si concludono sempre con le condanne».

Eppure anche gli avvocati delle Camere Penali hanno parlato di «uso politico dello strumento giudiziario che ha avuto tratti eversivi».
«Sono rimasto basito, e inviterei i rappresentanti degli avvocati, da tecnici del diritto, a rileggere ciò che scrivono prima di divulgare un fuor d'opera incommentabile, che si qualifica da sé. I processi si fanno per provare una responsabilità, se non ci si riesce arriva l'assoluzione, che non può essere una patologia. Gli avvocati dovrebbero essere i primi a saperlo e a dirlo».

Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio il processo a Salvini era fondato sul nulla.
«Cade nello stesso errore. Tanto più per fatti di rilievo come i comportamenti di un ministro, per i quali c'è stata pure un'autorizzazione a procedere del Parlamento che ha escluso l'esimente dell'interesse pubblico. Un'assoluzione non può trasformarsi nell'accusa di ideologizzazione o politicizzazione contro la magistratura. Solo il processo può stabilire la verità giudiziaria, non il ministro».

Il vicepremier Salvini ha sollecitato una riforma per far pagare i danni ai pm che falliscono, e il senatore Renzi sembra d'accordo.
«Sono tutte forme surrettizie per arrivare all'esito sotteso alla separazione delle carriere di pm e giudici: controllare e condizionare il pm, che, rischiando una richiesta di danni a fronte a un'eventuale assoluzione, finirà per chiedersi chi glielo fa fare».

Ma gli imputati assolti dopo anni di processo non hanno diritto a pretendere che chi li ha messi in quella situazione paghi qualcosa?
«Per i magistrati la responsabilità professionale esiste, ed è nelle mani del ministro titolare dell'azione disciplinare. Il quale, in un caso a Milano, ha esercitato un'azione disciplinare clamorosamente sbagliata. Se usassimo il suo metro di valutazione sui processi conclusi con assoluzioni, che dovremmo dire di lui? Inoltre, esistono già sia la responsabilità civile che, ovviamente, quella penale».

Contro la separazione delle carriere avete annunciato lo sciopero, e con la sua presidenza l'Anm ha già scioperato per alcuni aspetti della riforma Cartabia. Possibile che non vi va bene niente?
«Non ci vanno bene le riforme sbagliate, e pensiamo di poterlo dire finché si è in tempo. Sulla riforma Cartabia protestavamo per alcune modifiche che tentavano di gerarchizzare l'assetto della magistratura, quando era ancora possibile provare a correggere la rotta. Oggi quella rotta sembra solcata in maniera più decisa e valuteremo il da farsi: l'eventuale sciopero non sarà un segno di chiusura al cambiamento, ma servirà a comunicare, in modo più efficace, le ragioni del dissenso».

Quali sono?
«Quel progetto serve a introdurre forme di condizionamento della magistratura. Lo dimostrano le reazioni alle sentenze di questi giorni, da dove si evince che la terzietà del giudice c'è già, e funziona. Le polemiche giovano a perseguire il vero fine della riforma, che è il controllo soprattutto dei pm, per incidere sulla scelta di quali processi si debbano fare e quali no».

Ma se i cittadini hanno scarsa fiducia nella magistratura, non avrete qualche colpa pure voi?
«Certamente, a cominciare dall'eccesso di attenzione alla carriera emerso dallo scandalo Palamara. Ma di fronte alle continue delegittimazioni alimentate dalla politica è difficile reggere l'onda d'urto contro l'istituzione».

Perché siete contro la giornata per le vittime degli errori giudiziari?
«Ho cercato di spiegare che discuterne nelle scuole di ogni ordine e grado, dove la discussione non potrebbe svolgersi alla luce di necessarie cognizioni tecniche complesse, servirebbe solo ad aumentare la sfiducia dei cittadini nei confronti dei palazzi di giustizia».

Quello riferito a Tortora, però, sembra un «caso di scuola».
«Sì, ma risale a quarant'anni fa, e tanti passi avanti sono stati fatti nella gestione dei pentiti, dei maxi-processi, fermo restando che allora furono commessi gravi e tragici errori. Ma ci sono questioni di cui si deve parlare con cognizione di causa e nelle sedi opportune. Non siamo per nulla contrari a parlarne e a rafforzare i momenti di formazione per prevenire l'errore quanto più possibile».

Da presidente dell'Anm, qual è la cosa che l'ha resa più orgoglioso e quale l'errore che più si rimprovera?
«L'orgoglio è di aver provato a rappresentare nel miglior modo possibile la magistratura come categoria di professionisti senza alcuna visione partitico-faziosa e con grande senso delle istituzioni, dimostrato anche dai pm e dai giudici protagonisti dei procedimenti di Firenze e Palermo. Di errori ne avrò fatti tanti, ma è bene che ne parlino gli altri».



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