La giunta dell'Anm è stata
ascoltata oggi dalla commissione Giustizia del Senato, presieduta
da Filippo Berselli, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla
disciplina delle intercettazioni telefoniche. L'Associazione
magistrati ha confermato le previsioni già espresse durante l'esame
alla Camera, sulle gravissime conseguenze che la riforma - nel
testo approvato dalla Camera - determinerebbe sul piano della
sicurezza dei cittadini e del contrasto alle più gravi forme di
criminalità, anche di stampo mafioso e terroristico, con la
sostanziale vanificazione di un fondamentale strumento
d'indagine.
Il presidente dell'Anm Luca
Palamara ha ricordato che il requisito degli «evidenti indizi di
colpevolezza» per poter ottenere le intercettazioni, il termine
invalicabile di due mesi della loro durata, la possibilità di
disporre intercettazioni "tra presenti" soltanto nei luoghi dove
sia in atto un'attività criminosa, impedirebbero di fatto, e per
quasi tutti i reati, l'utilizzo dello strumento investigativo, che
ne risulterebbe completamente snaturato: da mezzo di ricerca della
prova e di individuazione dei colpevoli, a strumento per acquisire
elementi di conferma di una responsabilità già accertata in modo
palese (evidente).
Il segretario generale Giuseppe
Cascini, e gli altri componenti della giunta che hanno partecipato
all'audizione (Antonio Balsamo, Piergiorgio Morosini, Gaetano
Sgroia) hanno illustrato le specifiche "criticità" del disegno di
legge, caratterizzato oltretutto da una vera e propria
contraddizione in termini, rispetto ai presupposti delle
intercettazioni: in presenza di (già) evidenti indizi di
colpevolezza, esse non potrebbero mai essere ritenute
indispensabili per la prosecuzione delle indagini, come lo stesso
disegno di legge richiede. Nei procedimenti contro ignoti, nei
quali fino ad oggi lo strumento delle investigazioni tecniche si è
spesso rivelato decisivo, le intercettazioni sarebbero possibili
solo su richiesta della persona offesa. È appena il caso di
sottolineare la pesante esposizione delle vittime, che dovrebbero
prestare formalmente agli organi investigativi il proprio consenso
(successivamente portato a conoscenza degli imputati) con il
rischio di subire ritorsioni.
La durata massima, non superiore a
sessanta giorni, renderebbe inevitabile il blocco delle indagini
anche quando fosse ancora in corso la realizzazione di reati
gravissimi, come il sequestro di persona, la violenza in danno di
minori, il traffico di stupefacenti o di armi.
L'impossibilità di effettuare
intercettazioni ambientali in luoghi dove non siano in atto
attività criminose impedirebbe tra l'altro di captare le
conversazioni effettuate dagli stessi indagati in uffici di
polizia, istituti penitenziari e altri contesti che pure non
presentano maggiori esigenze di tutela della riservatezza, rispetto
alle comuni ipotesi di intercettazioni telefoniche.
Del tutto irrazionale sarebbe anche
la completa equiparazione, sul piano dei requisiti, tra
intercettazioni telefoniche e acquisizione di tabulati delle
comunicazioni o effettuazione di riprese visive in luoghi pubblici:
strumenti, questi ultimi, la cui invasività nella sfera privata
delle persone è decisamente inferiore. Sarebbe oltretutto
paradossale che un privato possa effettuare, in ogni caso e senza
limiti, riprese visive in locali pubblici (si pensi a banche,
uffici postali, esercizi commerciali) mentre forze dell'ordine e
magistratura potrebbero farlo solo quando l'autore di un fatto
criminoso sia già stato individuato, e per non più di due mesi. Non
sarebbero più possibili riprese visive per identificare gli autori
di rapine in banca, spaccio di stupefacenti nelle piazze, violenza
negli stadi.
Tali disposizioni, oltre a rendere
del tutto inefficaci le indagini sulla delinquenza comune (quella
che insidia quotidianamente la sicurezza dei cittadini),
arrecherebbero gravissimi danni alle indagini su fenomeni criminali
come il terrorismo internazionale e le organizzazioni mafiose, in
cui la ricostruzione del contesto associativo scaturisce spesso
dall'accertamento di reati apparentemente "ordinari" come quelli
contro la pubblica amministrazione o contro il patrimonio.
Queste previsioni, unitamente a
diverse altre manifestamente irrazionali, allontanerebbero il Paese
dagli standard europei, favorendo lo sviluppo delle più gravi forme
di illegalità. Ne deriverebbe un sostanziale abbassamento della
tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, accompagnato da una
pesante limitazione della libertà di informazione, in contrasto con
la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha
ripetutamente sottolineato il ruolo essenziale della stampa per il
funzionamento della democrazia, e il diritto a divulgare fatti di
rilevante interesse pubblico, perfino quando un'informazione sia
stata acquisita attraverso uno strumento illegale o utilizzato in
modo non legittimo.
Nel corso della discussione, con la
partecipazione e gli interventi di numerosi senatori della
commissione Giustizia, la giunta dell'Associazione nazionale
magistrati ha rinnovato la propria disponibilità a collaborare per
raggiungere un punto di equilibrio tra esigenze investigative,
tutela della riservatezza delle persone e diritto all'informazione,
anche attraverso specifiche proposte che - raccogliendo l'invito
del presidente Berselli - saranno trasmesse alla commissione alla
ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa estiva.