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FAQ
23 ottobre 2013

Trattenute operate su indennità giudiziaria in caso di assenza per malattia dovuta a "grave patologia"

Parere sulla possibilità di intraprendere eventuali azioni legali

Roma, 6 maggio 2013

Spett.le
A.N.M.
Associazione Nazionale Magistrati
Giunta Esecutiva Centrale

Oggetto: sulla possibilità di intraprendere eventuali azioni legali in merito alle trattenute operate sull’indennità giudiziaria in caso di assenza per malattia dovuta a “grave patologia”.

E’ stato chiesto di approfondire la questione della trattenuta dell’indennità giudiziaria in caso di assenza dal servizio del magistrato affetto da “grave patologia”.

Ciò anche al fine di verificare la possibilità di intraprendere eventuali azioni legali.

1. L’approfondimento richiesto deve prendere le mosse dalla considerazione che la Costituzione tutela la salute sia come fondamentale diritto dell’individuo (art. 32 Cost.), sia stabilendo il diritto dei lavoratori ad avere mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di malattia (art. 38 Cost.).

I precetti costituzionali vincolano il legislatore a garantire, in caso di malattia del lavoratore, sia la conservazione del posto di lavoro per un determinato periodo, sia la percezione di un trattamento economico adeguato alle proprie esigenze di vita.

Come meglio si vedrà, una volta rispettati tali limiti, rientra però nella discrezionalità del legislatore stabilire, in concreto, il trattamento spettante al lavoratore in caso di malattia.

2. Ciò premesso, si rileva che la disciplina del trattamento economico di malattia del magistrato è chiara nell’escludere, da tale trattamento, l’indennità giudiziaria di cui all’art. 3 della legge n. 27 del 1981.

Ed infatti, il citato art. 3 stabilisce che l’indennità giudiziaria è dovuta “in relazione agli oneri” che i magistrati “incontrano nello svolgimento della loro attività” (art. 3 della legge n. 27 del 1981).

In virtù di tale correlazione dell’indennità con la prestazione del servizio, la legge prevede espressamente che l’indennità giudiziaria non è dovuta, tra l’altro, nei periodi di “congedo straordinario” e di “aspettativa per qualsiasi causa”.

Onde, posto che l’assenza per malattia del magistrato configura un’ipotesi di congedo straordinario o di aspettativa (cfr. artt. 37, 66 e 68 del D.P.R. n. 3 del 1957), l’indennità giudiziaria, per legge, non è computata nel trattamento di malattia del magistrato.

3. La disciplina di legge dell’indennità giudiziaria è stata interpretata in modo rigoroso dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.

Va, infatti, osservato che la trattenuta dell’indennità per le ipotesi di assenza dal servizio necessitate da situazioni oggetto di specifica tutela costituzionale, come la malattia e la maternità, ha fatto dubitare della legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 27 del 1981.

Senonché, tali dubbi sono stati fugati da una corposa, e ormai consolidata, giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, da un lato, ha ribadito che la legge pone un “correlazione necessaria tra la corresponsione dell’indennità e il concreto esercizio delle funzioni”, ritenendo dunque legittimo che l’indennità non sia dovuta in ogni ipotesi di assenza dal servizio, poiché “l’insieme degli oneri, in relazione ai quali tale indennità è stata istituita, viene meno quando il servizio, per qualsiasi causa, non è concretamente prestato” (C. cost., sent. n. 407/1996; nello stesso senso, cfr. C. cost., ord. n. 106/1997; sent. n. 287/2006; ord. n. 290/2006; ord. n. 302/2006; ord. n. 137/2008; ord. n. 346/2008).

Dall’altro lato, ha affermato che l’indennità giudiziaria costituisce solo una parte del complessivo trattamento economico del magistrato, onde la sua esclusione in caso di assenza dal servizio per malattia o maternità non viola i precetti costituzionali posti a tutela di tali situazioni, i quali impongono soltanto che in tali situazioni il lavoratore conservi il posto di lavoro ed abbia mezzi adeguati alle esigenze di vita, che nel caso dei magistrati sono pienamente assicurati dal riconoscimento della retribuzione “di base” (C. cost., sentenza n. 287 del 14 luglio 2006; cfr. anche C. cost., ord. n. 290/2006; ord. n. 302/2006; ord. n. 137/2008 e ord. n. 346/2008).

Sempre secondo la Consulta, una volta assicurato il rispetto dei precetti costituzionali attraverso il riconoscimento di un trattamento “di base”, rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire la concreta misura del trattamento spettante per ognuna delle ipotesi “protette” di assenza dal servizio.

Tanto è vero che, al fine di riconoscere l’indennità giudiziaria al magistrato in caso di congedo obbligatorio di maternità, si è reso necessario uno specifico intervento legislativo che ha novellato in tal senso, con effetto non retroattivo, l’art. 3 della legge n. 27 del 1981 (art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311).

4. Ne deriva che, in base al vigente ordinamento, così come interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale, deve ritenersi corretto che l’indennità giudiziaria non sia computata in ogni ipotesi di assenza per malattia.

Ciò vale anche nel caso in cui l’assenza per malattia sia dovuta a patologie gravi, come quelle oncologiche.

Ed infatti, la disciplina di legge dell’indennità giudiziaria non pone alcuna distinzione o eccezione in base alla gravità della patologia che determina l’assenza per malattia o alle correlate necessità terapeutiche.

Anzi, in senso opposto sembrano deporre sia l’art. 3 della legge n. 27 del 1981, laddove prevede che l’indennità non è dovuta per “qualsiasi causa” abbia determinato una “aspettativa”.

Sia la rigorosa interpretazione della Corte costituzionale circa la necessaria correlazione tra l’indennità giudiziaria e l’effettiva prestazione del servizio (proprio sulla base della valenza generale del principio di necessaria correlazione, la giurisprudenza amministrativa ha anche escluso che l’indennità giudiziaria sia dovuta in caso di congedo di malattia dovuto ad infortunio professionale del magistrato: cfr. Tar Lazio, Sez. I, 17 febbraio 2010, n. 2301)

Del resto, anche nella disciplina di legge che regola i rapporti di lavoro dei dipendenti privati e dei dipendenti pubblici “contrattualizzati”, le esigenze di cura determinate da patologie gravi trovano una specifica tutela legislativa soltanto attraverso il riconoscimento di periodi ulteriori di assenza dal servizio, ma non anche con il riconoscimento di un maggior trattamento economico (si veda, in particolare, l’art. 7 del d. lgs. n. 119 del 2011, che, nel riconoscere agli invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa superiore al cinquanta per cento il diritto ad un congedo annuale per cure, prevede comunque che il lavoratore, per tale congedo, ha diritto all’ordinario trattamento di malattia).

5. Da quanto precede deriva che, in base al “diritto vivente”, deve ritenersi assodato che l’indennità giudiziaria non spetta al magistrato anche in caso di assenza per malattia dovuta ad una “grave patologia”.

Onde, eventuali azioni legali volte ad ottenere, in via interpretativa, il riconoscimento dell’indennità giudiziaria in tali situazioni sono destinate, ragionevolmente, ad essere respinte.

Resta da verificare se un’eventuale azione legale possa essere esperita al fine di sollevare una questione di costituzionalità della vigente disciplina di legge, laddove esclude la spettanza dell’indennità giudiziaria nel caso di assenza dal servizio per “grave patologia”.

Senonché, anche tale finalità appare difficilmente perseguibile, in considerazione degli orientamenti giurisprudenziali della Corte costituzionale in subiecta materia.

6. Ed infatti, come si è già detto, il Giudice delle leggi ha ripetutamente affermato che le norme costituzionali impongono al legislatore di assicurare al lavoratore assente per malattia un trattamento economico “di base”, che non necessariamente deve ricomprendere emolumenti particolari, tanto più laddove si tratti di emolumenti che, come l’indennità giudiziaria, sono correlati, per legge, all’effettiva prestazione del servizio (cfr. retro paragrafo 3).

Né sembrano sussistere ragioni per affermare che tale principio non varrebbe nelle ipotesi di patologie particolarmente gravi, posto che, come pure si è detto, nell’ordinamento generale la tutela economica spettante al lavoratore assente per malattia non trova alcuna distinzione in base alla gravità della patologia.
br>Onde, alla luce del consolidato orientamento della Consulta, non sembra probabile che la trattenuta dell’indennità giudiziaria per i casi di grave patologia possa essere ritenuta contraria alle norme costituzionali in materia di tutela della salute e dei lavoratori.

7. Va, inoltre, osservato che la conformità alla Costituzione dell’esclusione dell’indennità giudiziaria nei casi di “grave patologia” non sembra poter essere ragionevolmente contestata nemmeno per violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), con riferimento ad altre categorie di lavoratori ai quali, in caso di “grave patologia”, i contratti collettivi riconoscono una maggiorazione del trattamento di malattia.

Ed infatti, la categoria dei magistrati, anche sotto il profilo del trattamento economico, non è omogenea alle altre categorie di dipendenti (privati e pubblici “contrattualizzati”), per i quali il trattamento economico di malattia è rimesso alla disciplina della contrattazione collettiva; di talché, tra i rispettivi trattamenti di malattia, peraltro disciplinati da fonti diverse, non è possibile operare un raffronto, tantomeno al fine di verificare il rispetto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.

In tal senso si è espressa, in diverse occasioni, la Corte costituzionale, peraltro proprio con riferimento alla questione della spettanza dell’indennità giudiziaria in caso di assenza per malattia.

La questione era stata sollevata in relazione alla circostanza che, per il personale amministrativo degli uffici giudiziari, la contrattazione collettiva prevede la spettanza dell’indennità di amministrazione (che ha assorbito l’indennità giudiziaria che era stata estesa a tale personale dall’art. 1 della legge n. 221 del 1988) anche in alcuni casi di assenza per malattia e, in particolare, per le assenze per malattia superiori a quindici giorni o che comportano, comunque, un ricovero ospedaliero.

Ebbene, al riguardo, la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittima la differenza di trattamento tra i magistrati (cui non spetta l’indennità giudiziaria in ogni caso di assenza per malattia) e il personale amministrativo del Ministero della Giustizia (cui la contrattazione collettiva riconosce la ex indennità giudiziaria in caso di assenza per malattia superiore a 15 giorni e in ogni caso di ricovero ospedaliero), sul presupposto che “la mancanza di omogeneità tra le due categorie di dipendenti ed il diverso meccanismo di determinazione del trattamento retributivo sono sufficienti per giustificare la diversità di regime giuridico delle indennità in questione” (C. cost., sentenza n. 287 del 14 luglio 2006; nello stesso senso, C. cost., ord. n. 33/1996, ord. n. 167/1996, ord. n. 98/1995, ord. n. 451/1995 e, con riferimento al trattamento di maternità, ord. n. 346/2008, ord. n. 137/2008, ord. n. 290/2006, ord. n. 302/2006, sent. n. 238/1990).

8. Pertanto, la circostanza che i contratti collettivi prevedano, per alcune categorie di lavoratori, un maggior trattamento economico di malattia laddove la malattia abbia una certa durata, ovvero comporti il ricovero ospedaliero, ovvero comporti la somministrazione di terapie salvavita (in tal senso, ad esempio, dispongono i contratti collettivi degli Enti locali, della Sanità, degli Enti Pubblici Economici), non pone una differenza di trattamento, rispetto ai magistrati, che possa ragionevolmente ritenersi lesiva dei precetti dell’art. 3 della Costituzione.

Lo stesso vale per il trattamento di malattia del personale della carriera prefettizia, posto che quel trattamento, nonostante il predetto personale sia rimasto in regime di diritto pubblico, risulta comunque determinato sulla base di accordi sindacali, che sono poi recepiti senza modifiche in regolamenti del Governo (cfr. art. 27 del d. lgs. n. 139 del 2000). Onde, anche tali trattamenti non sono omogenei né confrontabili con quelli dei magistrati.
br>Del resto, il trattamento di malattia delle altre categorie di dipendenti può essere modificato, di volta in volta, in sede di rinnovo del contratto collettivo e, inoltre, un eventuale confronto tra il trattamento di malattia di fonte pattizia e quello di fonte legale (dei magistrati) non potrebbe essere limitato al computo dell’indennità giudiziaria e (per le altre categorie) delle indennità accessorie, ma dovrebbe investire quei trattamenti nel loro complesso.

E da tale confronto – che, comunque, non potrebbe che essere “mobile”, posto che ciascun rinnovo del contratto collettivo potrebbe modificare la disciplina del trattamento – ben potrebbe emergere che il trattamento complessivo delle altre categorie di personale, pur includendo in caso di grave patologia le indennità accessorie assimilabili lato sensu all’indennità giudiziaria, potrebbe essere meno favorevole, nel complesso, di quello dei magistrati.

Si consideri, ad esempio, che quasi tutti i contratti che prevedono, in caso di “grave patologia” con ricovero ospedaliero, la spettanza della “intera retribuzione”, comprensiva degli elementi accessori, stabiliscono che il trattamento economico di malattia sia pari al 100% della retribuzione per i primi 9 mesi di assenza, prevedendo dal decimo mese significative decurtazioni.

Mentre, per i magistrati, il trattamento di base viene conservato nella misura del 100% sino al dodicesimo mese di assenza (cfr. artt. 40 e 68 del d.p.r. n. 3 del 1957).

Onde, anche in concreto, sarebbe difficile sostenere che la trattenuta dell’indennità giudiziaria in caso di assenza per malattia dovuta a “gravi patologie” possa determinare, di per sé, una differenza di trattamento rispetto ad altre categorie di dipendenti, tale da violare l’art. 3 della Costituzione.
br>9. In conclusione, l’attribuzione dell’indennità giudiziaria al magistrato, in caso di assenza per malattia dovuta a “grave patologia”, non sembra poter essere conseguita in via giudiziaria.

Lo strumento per ottenere tale risultato sembra essere, invece, quello di un apposito intervento del legislatore, come è accaduto per il congedo obbligatorio di maternità.

Al riguardo può essere rilevato che la recente legislazione in materia di pubblico impiego, sia pure in modo indiretto, sembra aver considerato che le assenze per malattia dovute a gravi patologie siano meritevoli di una particolare tutela.

In particolare, l’art. 71 del d. lgs. 25 giugno 2008, n. 112, nello stabilire che a tutti i dipendenti pubblici nei primi dieci giorni di assenza per malattia “è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio”, prevede anche che “resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita”.

Onde, tale previsione, pur non affermando un principio generale di necessaria maggior tutela per i casi di assenza dal servizio per “patologie gravi che richiedano terapie salvavita” – limitandosi a fare salve le “eventuali” disposizioni in tal senso della contrattazione collettiva – costituisce comunque un preciso riferimento normativo, che potrebbe costituire il fondamento per sollecitare ogni opportuna iniziativa affinché al personale della magistratura possa essere garantita, in via legislativa, una maggior tutela per i casi di assenza dal servizio per grave patologia.

Resto a disposizione per ogni ulteriore approfondimento si rendesse necessario.

Avv. Guido Rossi

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