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FAQ
25 ottobre 2013

Sentenza Corte costituzionale n. 223 dell'11 ottobre 2012

Effetti sul trattamento economico, sul TFS e sulle pensioni dei magistrati

Roma, 20 dicembre 2012

Spett.le
A.N.M.
Associazione Nazionale Magistrati

- Oggetto: sugli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 223 dell’11 ottobre 2012 sul trattamento economico, sul TFS e sulle pensioni dei magistrati.

La sentenza della Corte costituzionale n. 223 dell’11 ottobre 2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nel d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito in legge con modifiche dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), che avevano inciso sul trattamento economico e sulle modalità di calcolo dell’indennità di buonuscita dei magistrati.

Alla luce di ciò, è stato chiesto di sapere quali sono, in concreto, gli effetti della predetta sentenza sul trattamento economico e sul regime del TFS dei magistrati, nonché se la medesima sentenza abbia effetti anche sui trattamenti pensionistici dei magistrati già in pensione alla data della sua pubblicazione.

Abstract:
a) per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 223/2012, i magistrati hanno diritto: alle quote di retribuzione trattenute tra il gennaio 2011 e l’ottobre 2012, nella misura del 5% e del 10%, sugli stipendi superiori, rispettivamente, a 90.000 e a 150.000 Euro; al calcolo “ordinario” dell’adeguamento automatico dello stipendio dal 1° gennaio 2011 in poi e, per l’effetto, al pagamento delle somme non erogate a tale titolo dal gennaio 2011 in poi; al ripristino dell’importo integrale dell’indennità giudiziaria dal 1° gennaio 2011 in poi e, per l’effetto, al pagamento delle quote di indennità giudiziaria non erogate dal 1° gennaio 2011 in poi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha comunicato che i predetti emolumenti verranno corrisposti, in due rate, con scadenza dicembre 2012 e dicembre 2013;

b) per effetto dell’art. 1 del d.l. 29 ottobre 2012, n. 185, sopravvenuto alla sentenza della Corte costituzionale in oggetto, i magistrati cessati dal servizio dal 1° gennaio 2011 in poi hanno diritto alla riliquidazione del TFS secondo le regole previste dal D.P.R. n. 1032/1973. Laddove il predetto decreto legge non venisse convertito in legge, per effetto della sentenza della Corte costituzionale in oggetto, i magistrati avrebbero invece diritto alla restituzione della trattenuta del 2,5% operata sulla retribuzione, a titolo di rivalsa per il TFS, dal gennaio 2011 all’ottobre 2012;

c) per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 223/2012, i magistrati andati in pensione dopo il 1° gennaio 2011 hanno diritto alla riliquidazione della pensione, onde determinarne l’importo assumendo a base la retribuzione che avevano diritto a percepire dal 1° gennaio 2011 in poi, includendovi gli adeguamenti automatici dello stipendio non calcolati nel predetto periodo. Tale diritto non sussiste per i magistrati andati in pensione prima del 1° gennaio 2011.

1. Al fine di rispondere ai quesiti posti, si ritiene opportuno anzitutto analizzare, per ciascuna delle norme dichiarate incostituzionali, il contenuto della disposizione di legge e gli effetti della sua caducazione sui trattamenti dei magistrati in servizio.

Si procederà, poi, ad esporre le modalità operative indicate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per dare seguito alla sentenza in questione e, infine, a verificare se la sentenza possa avere effetti anche sui trattamenti dei magistrati già in pensione.

I. LA RIDUZIONE DEI TRATTAMENTI ECONOMICI SUPERIORI AD EURO 90.000 (5%) E AD EURO 150.000 (10%) (art. 9, comma 2, del d.l. n. 78/2010).

2. L’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78/2010 prevedeva, per gli anni 2011 – 2013, una “riduzione secca” dei trattamenti economici di tutti i dipendenti pubblici, inclusi i magistrati, superiori ad un certo importo.

In particolare, per gli importi superiori ai 90.000 Euro era prevista una riduzione del 5% della parte di trattamento eccedente tale importo. Per gli importi superiori ai 150.000 Euro era, invece, prevista una riduzione del 10% della parte di trattamento eccedente tale somma.

L’art. 9, comma 2, è stato dichiarato incostituzionale dalla sentenza in oggetto.

Per l’effetto, da un lato, a decorrere dal novembre 2012, sui trattamenti economici superiori agli Euro 90.000 e agli Euro 150.000 non deve essere operata alcuna riduzione.

Dall’altro lato, le quote di retribuzione non erogate in virtù della predetta norma, tra il gennaio 2011 e l’ottobre 2012, dovranno essere corrisposte dalle amministrazioni di appartenenza ai dipendenti interessati.

II. LA SOSPENSIONE DEL MECCANISMO DEGLI ADEGUAMENTI TRIENNALI DEL TRATTAMENTO ECONOMICO (art. 9, comma 21, primo periodo, e comma 22, primo e ultimo periodo, del d.l. n. 78/2010).

3. Per una miglior comprensione degli effetti di tale sospensione, è opportuno ricordare sommariamente il funzionamento dell’adeguamento triennale, in base al quale, per i dipendenti pubblici non contrattualizzati, mancando la contrattazione dei trattamenti economici, è previsto un incremento automatico degli stipendi in proporzione agli aumenti conseguiti dagli altri dipendenti pubblici.

Per i magistrati, ciò è previsto dal combinato disposto dell’art. 2 della legge n. 27 del 1981 e dell’art. 24 della legge n. 448 del 1998, in base ai quali gli stipendi dei magistrati sono adeguati di diritto, ogni triennio, in misura percentuale alla media degli incrementi retributivi realizzati nel medesimo periodo dalle altre categorie dei pubblici dipendenti, così come rilevati dall’ISTAT.

Tale adeguamento si calcola su base triennale (confrontando le retribuzioni degli altri dipendenti dell’ultimo anno del triennio con quelle dell’ultimo anno del triennio precedente) e ha effetto dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento.

Per rendere contestuale la progressione rispetto a quella degli altri dipendenti, il meccanismo opera mediante un sistema di acconti e conguagli, in base al quale: nel secondo e terzo anno di ciascun triennio, vengono corrisposti acconti; nel primo anno del triennio successivo (oltre a venire adeguato lo stipendio) viene corrisposto il conguaglio risultante dal calcolo delle effettive variazioni intervenute nel triennio precedente.

Va precisato che l’adeguamento riguarda sia il trattamento economico tabellare, sia l’indennità integrativa speciale, sia l’indennità “giudiziaria”.

4. In tale contesto, i commi 21 e 22 dell’art. 9 del d.l. n. 78/2010, hanno previsto la sospensione, per alcuni anni, dei predetti meccanismi di adeguamento automatico, con disposizioni differenti per la generalità dei dipendenti pubblici “non contrattualizzati”, da un lato, e per i magistrati, dall’altro.

In particolare, il comma 21, primo periodo, prevedeva (e prevede tutt’ora per gli altri dipendenti non contrattualizzati) che “i meccanismi di adeguamento retributivoprevisti dall’art. 24 della legge 12 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi”. Tale disposizione era l’unica di quelle dettate per tutti i dipendenti non contrattualizzati ad essere applicabile anche ai magistrati, ai sensi del successivo comma 22, ultimo periodo.

Il comma 22, primo periodo, per i soli magistrati, prevedeva poi che “non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010 – 2012” e che “per il triennio 2013 – 2015 l’acconto spettante per l’anno 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014”.

In pratica, per i soli magistrati, l’adeguamento automatico, non solo era escluso con riferimento agli anni 2011, 2012 e 2013, ma tale “blocco” aveva effetti anche per il passato e per il futuro.

Per il passato, poiché andava ad incidere su quanto già maturato nel 2010, attraverso l’esclusione del conguaglio del triennio 2010 – 2012.

Per il futuro, in quanto escludeva la computabilità del periodo 2011 – 2013 anche ai fini della determinazione della misura dell’adeguamento per i successivi anni 2014 – 2015, così rendendo “permanenti” gli effetti del “blocco”.

E ciò a differenza dei precedenti interventi con i quali il legislatore, in via del tutto eccezionale, aveva previsto una riduzione una tantum della misura dell’adeguamento di un determinato anno, senza però estenderne gli effetti agli adeguamenti degli anni successivi (si veda, ad esempio, l’art. 1, comma 576, della legge 27 dicembre 2006, n. 296).

L’ultimo periodo del comma 22 prevedeva, infine, che ai magistrati non si applicassero le disposizioni di cui al comma 21, secondo e terzo periodo, del medesimo art. 9. Se ne deduceva, per converso che, come detto, ai magistrati era invece applicabile il primo periodo del comma 21.

5. Tutte le predette disposizioni, relative ai magistrati, sono state dichiarate incostituzionali dalla sentenza in oggetto.

In particolare, quella sentenza ha ritenuto illegittime sia le disposizioni dell’art. 9, comma 22, primo periodo (relative al blocco di acconti e conguagli e agli effetti del blocco sugli anni a venire), sia la disposizione dell’art. 9, comma 22, ultimo periodo (nella parte in cui non esclude l’applicazione ai magistrati del primo periodo del comma 21), impedendo così, di fatto, di applicare ai magistrati il blocco dell’adeguamento triennale degli stipendi, che invece opera ancora per gli altri dipendenti pubblici non contrattualizzati.

Per l’effetto, i magistrati hanno diritto:

- al calcolo “ordinario” dell’adeguamento automatico anche per l’anno 2011 e per quelli successivi, con ogni conseguente effetto;

- al pagamento di quanto non erogato a titolo di adeguamento, a decorrere dal gennaio 2011, in base alle norme dichiarate incostituzionali.

Come già detto, ciò vale sia per il trattamento tabellare, sia per le altre voci stipendiali che per legge sono oggetto dell’adeguamento (indennità integrativa speciale e indennità giudiziaria).

III. LA RIDUZIONE DELL’ INDENNITÀ “GIUDIZIARIA” (art. 9, comma 22, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010).

6. L’art. 9, comma 22, secondo periodo, del d.l. n. 78/2010 prevedeva una riduzione dell’indennità “giudiziaria” spettante ai magistrati per gli anni 2011, 2012 e 2013.

In particolare, la riduzione prevista era del 15 per cento per l’anno 2011, del 25 per cento per l’anno 2012 e del 32 per cento per l’anno 2013.

Tale disposizione è stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza in oggetto.

Per l’effetto, i magistrati hanno diritto a percepire la quota di indennità giudiziaria non corrisposta, in base alla norma dichiarata incostituzionale, a partire dal gennaio 2011 e fino alla data di effettiva reintegrazione del suo intero importo.

IV. L’APPLICAZIONE ALL’INDENNITÀ DI BUONUSCITA DELLE REGOLE DI CALCOLO DEL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DI CUI ALL’ART. 2120 COD. CIV. (art. 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010).

7. Va premesso che la disciplina “tradizionale” dell’indennità di buonuscita dei magistrati (TFS), contenuta nel D.P.R. n. 1032 del 1973, presenta notevoli differenze rispetto a quella del trattamento di fine rapporto dei dipendenti privati e dei dipendenti pubblici “privatizzati” (TFR), contenuta nell’art. 2120 Cod. Civ..

La prima differenza consiste nelle forme di finanziamento. Il TFR è finanziato solo dagli accantonamenti del datore di lavoro (nella misura di 13,5/100 dell’intera retribuzione di ciascun anno di servizio). Il TFS è invece finanziato sia dal datore di lavoro (con un’aliquota da ultimo pari al 9,60% dell’80% della retribuzione annua), sia dal lavoratore (con una trattenuta, a titolo di rivalsa, del 2,5% dell’80% della retribuzione annua).

Tale trattenuta a carico del dipendente è giustificata dalla natura essenzialmente previdenziale del TFS e dalle vantaggiose modalità di calcolo di tale trattamento, legate non alla rivalutazione dei contributi accantonati durante la vita lavorativa (sistema della totalizzazione), bensì alla retribuzione percepita al momento della cessazione del rapporto (sistema della ripartizione).

La seconda differenza consiste, per l’appunto, nelle modalità di calcolo del trattamento.

Il TFR viene, infatti, calcolato rivalutando gli accantonamenti effettuati durante la vita lavorativa del dipendente, secondo i criteri dell’art. 2120 Cod. Civ. (tasso fisso dell’1,5% annuale, con un ulteriore incremento legato all’inflazione secondo le rilevazioni ISTAT).

L’importo del TFS non deriva, invece, dalla capitalizzazione degli accantonamenti effettuati, ma è legato alla retribuzione dell’ultimo anno di servizio. In particolare, il trattamento si ottiene moltiplicando un dodicesimo dell’80% dell’ultima retribuzione per il numero degli anni di servizio.

8. In tale contesto, è intervenuto l’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010, disponendo che, per i dipendenti pubblici i cui trattamenti di fine servizio non siano già regolati dall’art. 2120 Cod. Civ., come per l’appunto i magistrati, “con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011 il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui all’art. 2120 Cod. Civ., con applicazione dell’aliquota del 6,91%”.

Il primo effetto di questa disposizione era quello di estendere le modalità di calcolo del TFR al TFS, che, per l’effetto, per le quote successive al 1° gennaio 2011, doveva essere calcolato rivalutando gli accantonamenti annuali secondo i coefficienti di cui all’art. 2120 Cod. Civ. (e, dunque, sganciando il trattamento dall’ultima retribuzione percepita).

Il secondo effetto era quello di ridurre l’aliquota del contributo dell’amministrazione datrice di lavoro, che passava dal 9,60% al 6,91% della retribuzione.

Posto che la norma estendeva al TFS le sole modalità di calcolo del TFR, senza abrogare (né espressamente, né tacitamente) le altre disposizioni contenute nel D.P.R. n. 1032/1973, era dubbio se la norma facesse venir meno il contributo del lavoratore al finanziamento del TFS, nella misura del 2,50% a titolo di rivalsa.

In sede amministrativa, l’Agenzia delle Entrate e l’INPDAP affermavano che la rivalsa del lavoratore restava ferma.

Onde, il citato art. 12, comma 10, aveva l’effetto non solo di ridurre rispetto al passato l’ammontare del TFS, ma anche quello di ridurre la contribuzione del datore di lavoro, lasciando al contempo a carico del lavoratore un contributo che, nel settore privato, non è previsto.

9. La sentenza in oggetto ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010, “nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del D.P.R. n. 1032 del 1973”.

Per l’effetto, al TFS maturato dal 1° gennaio 2011 si sarebbero dovute applicare le modalità di calcolo del TFR, con aliquota a carico dell’amministrazione del 6,91%, ma senza alcuna contribuzione a carico del dipendente.

Onde, le amministrazioni avrebbero dovuto restituire a tutti i dipendenti interessati le trattenute del 2,5%, operate a titolo di rivalsa dal 1° gennaio 2011 in poi.

Senonché, con l’art. 1, del d.l. 29 ottobre 2012, n. 185 – ancora non convertito in legge – il legislatore ha abrogato l’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010, ripristinando la situazione precedente.

Di qui, le trattenute del 2,5% di cui sopra non dovranno essere restituite, mentre, come previsto dall’art. 1 del d.l. n. 185/2012, i TFS liquidati in base alla norma abrogata sono riliquidati d’ufficio, ai sensi della previgente disciplina, entro un anno dalla entrata in vigore del medesimo decreto legge.

Va osservato che, laddove il d.l. n. 185/2012 non fosse convertito in legge, l’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010 continuerebbe ad avere efficacia nei limiti della sentenza additiva della Corte costituzionale, con conseguente diritto dei magistrati a recuperare la trattenuta del 2,5% operata, a titolo di rivalsa, dal 1° gennaio 2011 in poi.

V. SULLE MODALITÀ DI EROGAZIONE DEGLI EMOLUMENTI DOVUTI AI MAGISTRATI PER EFFETTO DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE, COMUNICATE DAL MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE.

10. Con messaggio “informativo” n. 166 del 1° dicembre 2012, il Ministero dell’Economia e della Finanze ha indicato “gli adempimenti necessari per dare seguito”, nei confronti dei magistrati, alla sentenza della Corte costituzionale in oggetto.

Secondo le indicazioni del Ministero, gli arretrati dovuti in conseguenza della predetta sentenza saranno corrisposti ai magistrati in due rate, la prima nel dicembre 2012 e la seconda nel gennaio 2013, al fine di ottemperare al D.P.C.M. del 30 ottobre 2012, che ha ritenuto opportuno distribuire gli arretrati dovuti in virtù della citata sentenza nella misura di circa tre quarti nell’anno 2012 e di circa un quarto nell’anno 2013.

11. In particolare, secondo le indicazioni ministeriali, nella rata di dicembre 2012 è previsto il pagamento dei seguenti arretrati:

1) quote di adeguamento automatico della retribuzione (stipendio tabellare, indennità integrativa speciale e indennità giudiziaria) non corrisposte dal 1° gennaio 2011 al 30 novembre 2012 (cfr. retro paragrafi 3 e 4), calcolate secondo i coefficienti di adeguamento triennale indicati nel D.P.C.M. 23 giugno 2009. Tali arretrati saranno indicati nello statino con i codici 4DZ- APPL.DPCM 23/6/2009 ADEG.MAGISTRATURA AP e 4E0 - APPL.DPCM 23/6/2009 ADEG.MAGISTRATURA AC;

2) rimborso delle quote di indennità giudiziaria non erogate dal 1° gennaio 2012 al 31 ottobre 2012 (ripristino della misura piena dell’indennità giudiziaria: cfr. retro paragrafo 5). Tali arretrati saranno indicati nello statino con il codice RIG - RIMBORSO RIDUZ.ASS.525 - DL 78/2010;

3) rimborso delle ritenute operate per riduzione del 5% e del 10% dei trattamenti economici superiori rispettivamente a 90.000 e 150.000 Euro, relativi al periodo 1° gennaio 2012 – 31 ottobre 2012 (cfr. retro paragrafo 1). Tali arretrati saranno indicati nello statino con i codici RR1 - CONGUAGLIO REDD.2011>90m DL78/2010 RR2 - CONGUAGLIO REDD.2011>150m DL78/2010 RR3 - CONGUAGLIO REDD.2012>90m DL78/2010 RR4 - CONGUAGLIO REDD.2012>150m DL78/2010.

Nella rata di gennaio 2013, è previsto il pagamento dei seguenti arretrati:

4) rimborso delle quote di indennità giudiziaria non erogate dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2011 (ripristino della misura piena dell’indennità giudiziaria: cfr. retro paragrafo 5). Tali arretrati saranno indicati nello statino con il codice RIG - RIMBORSO RIDUZ.ASS.525 - DL 78/2010 AP;

5) rimborso delle ritenute operate per riduzione del 5% e del 10% dei trattamenti economici superiori rispettivamente a 90.000 e 150.000 Euro, relativi al periodo 1° gennaio 2011 – 31 dicembre 2011 (cfr. retro paragrafo 1). Tali arretrati saranno indicati nello statino con i codici RR1 - CONGUAGLIO REDD.2011>90m DL78/2010 RR2 - CONGUAGLIO REDD.2011>150m DL78/2010.

12. Da tali indicazioni risulta che ai magistrati, salvo verifica della correttezza degli importi, verranno corrisposte tutte le somme dovute per effetto della sentenza della Corte costituzionale in oggetto.

Quelle indicazioni sono, inoltre, chiare nello stabilire i tempi del pagamento dei diversi emolumenti dovuti.

Al riguardo, pertanto, allo stato si può solo osservare che nelle indicazioni ministeriali è riportata, per due volte, la stessa voce di rimborso delle riduzioni del 5% e del 10% dei trattamenti economici superiori a 90.000 e 150.000 per l’anno 2011, essendone previsto il pagamento sia nella rata di dicembre 2012 che nella rata di gennaio 2013 (nn. 3 e nn. 5 delle indicazioni ministeriali).

Posto che quel rimborso non può che avvenire una volta sola, la duplice indicazione del Ministero pare essere frutto di un’imprecisione, onde, probabilmente, il predetto rimborso avverrà soltanto con la rata di gennaio 2013.

Si aggiunge che, da un lato, il recupero degli adeguamenti automatici dell’indennità giudiziaria, non corrisposti nel periodo 1° gennaio 2011 – 31 ottobre 2012, dovrà avvenire sull’ammontare pieno dell’indennità (e non anche su quello ridotto concretamente corrisposto nel medesimo periodo).

Dall’altro lato, le indicazioni ministeriali, allo stato, non prendono correttamente in considerazione il rimborso delle trattenute del 2,5% operate a titolo di rivalsa sul TFS dal 1° gennaio 2011 in poi, stante l’abrogazione dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010, ad opera dell’art. 1 del d.l. n. 185/2012 (ad oggi non ancora convertito in legge).

Laddove, però, il d.l. n. 185/2012 non venisse convertito in legge, ai magistrati dovrebbe essere rimborsata anche la predetta trattenuta (cfr. retro paragrafo 8).

VI. SUGLI EVENTUALI EFFETTI DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 223/2012 SUI TRATTAMENTI PENSIONISTICI DEI MAGISTRATI GIÀ IN PENSIONE.

13. Da ultimo, occorre verificare se la sentenza della Corte costituzionale n. 223/2012 possa avere qualche effetto sui trattamenti pensionistici dei magistrati che, alla data della sua pubblicazione, erano già in pensione.

Si tratta, in altri termini, di stabilire se la ricostituzione ex post del trattamento economico spettante ai magistrati dal 1° gennaio 2011 al 31 ottobre 2012, possa avere qualche influenza sui trattamenti pensionistici dei magistrati in pensione.

14. Occorre premettere che il trattamento pensionistico dei magistrati, sia in caso di liquidazione con il sistema retributivo (per i magistrati che al 1995 avevano già 18 anni di servizio), sia in caso di liquidazione con il sistema contributivo (per i magistrati che al 1995 avevano meno di 18 anni di servizio e, in ogni caso, per tutte le quote di pensione relative agli anni di servizio successivi al 1° gennaio 2012), non è soggetto a successivi aumenti o riliquidazioni correlati alle dinamiche retributive dei magistrati in servizio (c.d. “clausola oro”) (si veda, in generale, l’art. 59, comma 4, della legge n. 449/1997 e, specificamente per i magistrati, l’art. 2 della legge n. 265/1991).

Pertanto, la sentenza della Corte costituzionale in oggetto non pone alcuna questione per i magistrati andati in pensione prima del 1° gennaio 2011.

Ed infatti, da un lato, in costanza di rapporto tali magistrati non hanno subito nessuna delle decurtazioni stipendiali previste dalle norme dichiarate incostituzionali; onde, la loro pensione è stata determinata su una corretta “retribuzione pensionabile”.

Dall’altro lato, stante l’inesistenza di una “clausola oro”, gli stessi magistrati non hanno comunque diritto ad una rivalutazione della pensione avvalendosi degli effetti “positivi” della dichiarazione di incostituzionalità sul trattamento economico dei magistrati in servizio.

15. La questione rileva, invece, per i magistrati andati in pensione successivamente al 1° gennaio 2011.

Per tali magistrati, infatti, il periodo di servizio prestato, anteriormente al pensionamento, tra il 1° gennaio 2011 e il 31 ottobre 2012, ha avuto una minore valorizzazione “previdenziale” a causa delle decurtazioni stipendiali previste dalle norme dichiarate incostituzionali, sia pure con effetti e in misura diversa per le quote di pensione liquidate con il sistema retributivo e per le eventuali quote di pensione liquidate con il sistema contributivo (queste ultime relative, sostanzialmente, all’eventuale periodo di servizio successivo al 31 dicembre 2011).

Tuttavia, delle tre decurtazioni previste dalle norme dichiarate incostituzionali (blocco dell’adeguamento automatico triennale, riduzione dell’indennità giudiziaria e riduzione degli stipendi superiori ad Euro 90.000 e ad Euro 150.000), soltanto la prima (blocco dell’adeguamento automatico triennale) ha avuto effetti “pensionistici”, in quanto per le altre due (riduzione dell’indennità giudiziaria e degli stipendi superiori ai predetti importi) le stesse norme dichiarate incostituzionali prevedevano che le rispettive decurtazioni non rilevavano ai fini previdenziali (art. 9, commi 21 e 22, terzo periodo, del d.l. n. 78/2010).

Onde, tali ultime due decurtazioni non dovrebbero essere state prese in considerazione, dall’ex INPDAP, nella liquidazione dei trattamenti pensionistici dei magistrati andati in pensione dopo il 1° gennaio 2011.

Di contro, per tali magistrati, il mancato computo dell’adeguamento automatico dello stipendio, per il servizio svolto tra il 1° gennaio 2011 e il 31 ottobre 2012, può aver determinato la liquidazione della pensione in misura inferiore a quella spettante (tenendo però conto che rientrano nella base pensionabile solo gli acconti d’adeguamento spettanti per ciascun anno di servizio, e non anche gli eventuali conguagli con decorrenza successiva: cfr. Corte dei Conti, Sez. Giur., Reg. Lazio, sent. n. 254 del 28 maggio 1997).

Pertanto, i magistrati andati in pensione dopo il 1° gennaio 2011 hanno diritto ad una riliquidazione della pensione che tenga conto del mancato computo, nella retribuzione pensionabile e/o nei contributi valorizzabili, dell’adeguamento automatico dello stipendio per il servizio svolto, prima del pensionamento, tra il 1° gennaio 2011 e il 31 ottobre 2012.

Salvo iniziative dell’Ente previdenziale, la riliquidazione del trattamento pensionistico presuppone, di regola, una domanda dell’interessato, che nel caso di specie va proposta all’INPS - gestione ex INPDAP.

16. Per concludere sugli eventuali effetti della sentenza in oggetto sui trattamenti pensionistici dei magistrati in pensione, occorre infine svolgere alcune considerazioni sulle disposizioni di cui all’art. 18, comma 22 bis, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge con modifiche dalla l. 15 luglio 2011, n. 111.

Tali disposizioni prevedono che “a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché pari al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento pensionistico complessivo non può essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui”.

Orbene, queste disposizioni non sono state interessate dalla sentenza della Corte costituzionale in oggetto e, quindi, sono tutt’ora vigenti ed efficaci.

Inoltre, benché la ratio e il contenuto di tali disposizioni siano analoghi a quelli di alcune delle norme caducate dalla sentenza in oggetto (e precisamente a quelle che avevano ridotto gli stipendi dei dipendenti pubblici superiori ad un certo importo), il contenuto delle prime sembra comunque sottrarsi alle censure formulate dalla Consulta nei confronti delle seconde.

Ed infatti, la riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici è stata censurata dalla Consulta perché si trattava di un prelievo tributario imposto ad una sola categoria di cittadini (i dipendenti pubblici), con esclusione delle altre categorie con i medesimi requisiti stipendiali (i dipendenti privati e gli altri percettori di reddito), violando così i principi di eguaglianza e di proporzionalità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
br>Di contro, l’eccezionale contributo di solidarietà sulle pensioni superiori ad un certo importo è previsto per tutte le categorie di pensionati, senza eccezione alcuna.

Onde, la sentenza in oggetto non spiega alcun effetto diretto nei confronti delle disposizioni dell’art. 18, comma 22 bis, del d.l. n. 98/2011, né sembra contenere argomenti idonei, di per sé, a dubitare della legittimità costituzionale delle medesime disposizioni.

Roma, 20 dicembre 2012

Avv. Guido Rossi

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