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Il recepimento della direttiva OEI e la disciplina delle intercettazioni “transfrontaliere”: è alla fine la stagione dell’instradamento?

di Luigi Giordano - 16 ottobre 2017

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1. Premessa


Con il d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108, come è noto, è stata recepita la direttiva 2014/41/UE relativa all’ordine europeo d’indagine (OEI), introducendo nell’ordinamento uno strumento di assistenza giudiziaria in materia penale che mira a facilitare la procedura transnazionale di raccolta delle prove. L’ordine europeo d’indagine è un provvedimento emesso in forma scritta da un’autorità giudiziaria nazionale e diretto all’autorità giudiziaria di altro Stato membro dell’Unione al fine del compimento di uno o più atti specificamente disciplinati dalla direttiva.


Il decreto legislativo disciplina anche l’assistenza giudiziaria in materia di intercettazioni, in attuazione degli artt. 30 e 31 della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio. In particolare, agli artt. 23 e 24 è regolata la procedura “passiva”, mentre agli artt. 43 e 44 quella “attiva”. In entrambi i casi, si distingue il caso in cui l’intercettazione necessita dell’assistenza tecnica dell’autorità giudiziaria di un altro Stato membro, da quello in cui il mezzo di ricerca della prova è stato disposto senza il ricorso a detta collaborazione.


2. La procedura “passiva”: la necessità dell’assistenza tecnica


Qualora sia necessaria l’assistenza tecnica dell’autorità giudiziaria italiana, l’art. 23, comma 1, del d. lgs. n. 108 del 2017 dispone che al riconoscimento dell’ordine di intercettazione emesso dall’autorità giudiziaria competente in altro Stato membro provvede il procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto, “sempre che sussistano le condizioni di ammissibilità previste dall’ordinamento interno”.


Il comma 2 della medesima disposizione precisa che il procuratore deve trasmettere al giudice per le indagini preliminari l’ordine d’indagine con richiesta di esecuzione, dopo aver provveduto al riconoscimento e dopo aver specificamente verificato che siano indicati l’autorità che procede, l’esistenza del titolo che autorizza lo svolgimento delle operazioni con l’indicazione del reato, i dati tecnici necessari al loro svolgimento, la
durata dell’intercettazione e i motivi che rendono necessaria l’attività di indagine richiesta.


Il procuratore, dunque, deve compiere il primo vaglio, denominato “riconoscimento”, che non sembra meramente formale in quanto presuppone la verifica della sussistenza delle “condizioni di ammissibilità”. Questa locuzione evoca i “limiti di ammissibilità” di cui all’art. 266 cod. proc. pen. e, dunque, consiste nell’accertamento che il fatto–reato per il quale è stato disposto il mezzo di ricerca della prova, alla luce degli indizi descritti, sia compreso nel catalogo delle fattispecie contemplate dalla predetta disposizione del codice di rito.


Il procuratore, inoltre, deve compiere una seconda verifica, che invece appare formale e finalizzata ad accertare che sussistano gli elementi necessari al successivo giudizio del giudice, consistente nel rilevare la presenza nell’atto del contenuto dapprima indicato. Il giudice per le indagini preliminari, secondo l’art. 23, comma 3, rifiuta l’esecuzione per i motivi indicati dall’art. 10 dello stesso d. lgs. n. 108 del 2017 (tra i quali l’emissione dell’OEI per un fatto che non è punito dalla legge italiana come reato, “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualificazione giuridica individuati dalla legge dello Stato di emissione”) e se “non sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’ordinamento interno”.


Il giudice, dunque, deve verificare che il reato per il quale è stata disposta l’intercettazione rientra effettivamente nell’elenco di cui all’art. 266 cod.proc. pen. L’art. 24, comma 2, del medesimo d. lgs., del resto, prevede che, nel caso in cui l’intercettazione è stata disposta dall’autorità di altro Stato senza l’assistenza tecnica italiana, il giudice ordina l’immediata cessazione delle operazioni se, per il reato per cui sono state compiute, questo mezzo di ricerca della prova non è consentito nell’ordinamento interno.


Il fatto che nell’atto debbano essere riportate informazioni come “la durata dell’intercettazione” e “i motivi che rendono necessaria l’attività di indagine richiesta”, peraltro, sembra sottendere l’esercizio di controlli più penetranti da parte del giudice, consistenti nella verifica dei presupposti di cui all’art. 267 cod. proc. pen. (e non solo della presenza nell’OEI dell’attestazione della loro esistenza proveniente dall’autorità di emissione). In questa prospettiva, dovrebbe accertare la sussistenza della gravità indiziaria del reato per il quale si vuole fare ricorso all’intercettazione e, soprattutto, l’assoluta indispensabilità del mezzo.


Accertamenti profondi, in verità, inciderebbero in modo marcato sull’operatività di un meccanismo che si fonda sul mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e sulla fiducia nell’azione dell’autorità giudiziaria di altro Stato europeo, potendo vanificare la funzione del nuovo strumento. Nella relazione illustrativa al decreto, infatti, si sostiene che la formula adoperata è “ben più pregnante e sintonica al sistema nazionale dei generici “motivi di utilità” indicati dalla direttiva e nondimeno non rapportata espressamente ai parametri di cui all’art. 267 c.p.p.” e si aggiunge che, “chiedendo al contrario di precisare “i motivi che rendono necessaria l’attività richiesta” si pone il giudice nazionale nella sostanziale condizione di riproporre schemi di valutazione molto vicini a quelli che normalmente applica nei casi interni analoghi, senza tuttavia essere vincolato alle formule di rito”, anche perché, “per una questione di tempi, non è pensabile che l’a.g. italiana possa e debba esaminare integralmente e direttamente gli elementi in fatto posti a fondamento delle richieste”.


Tuttavia, deve rilevarsi che l’art. 30, comma 4, della direttiva 2014/41/UE, che rappresenta un fondamentale criterio interpretativo della norma di recepimento, prevede che “l’autorità di emissione indica nell’OEI i motivi per cui considera l’atto di indagine richiesto utile al procedimento penale interessato” e il successivo comma 5 aggiunge che l’esecuzione dell’OEI può essere rifiutata “anche qualora l’atto d’indagine interessato non sia ammesso in un caso interno analogo”. 


Queste norme attuano il considerando n. 10 della direttiva medesima secondo cui l’autorità di emissione è nella migliore posizione per decidere, in base alla sua conoscenza dei dettagli dell’indagine in questione, a quali atti di indagine ricorrere; l’autorità di esecuzione, laddove possibile, dovrebbe usare un altro tipo di atto di indagine se quello richiesto non è previsto dal proprio diritto nazionale o non è disponibile in un caso interno analogo; la disponibilità si riferisce ai casi in cui l’atto di indagine richiesto è previsto dal diritto dello Stato di esecuzione, ma è legittimo solo in determinate circostanze, ad esempio quando l’atto di indagine può essere svolto solo per reati di una certa gravità, “contro persone rispetto alle quali grava già un certo grado di sospetto” o con il consenso della persona interessata; l’autorità di esecuzione, inoltre, “può ricorrere ad un altro tipo di atto di indagine, laddove essa ottenga lo stesso risultato dell’atto di indagine richiesto nell’OEI con mezzi di minor interferenza con i diritti fondamentali della persona interessata”.


La direttiva europea, quindi, non esclude che l’autorità giudiziaria di esecuzione – in Italia, come si è visto, il giudice – debba accertare la sussistenza della gravità dei sospetti, peraltro, nei confronti della persona intercettata, e l’indispensabilità del mezzo che incide sui diritti individuali. Anzi, dalla direttiva risulta la necessità di rispettare le regole di ammissibilità delle prove dello Stato di emissione e di quello di esecuzione (cfr. M. Daniele, L’ordine europeo d’indagine penale entra a regime. Prime riflessioni sul d.lgs. n. 108 del 2017, in Dir. pen. contemp. 28 luglio 2017).


L’indicazione dei motivi nell’OEI, d’altra parte, permette al giudice di appurare il rispetto del principio di proporzione di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 108 del 2017. Secondo questa disposizione, l’ordine di indagine non è proporzionato se dalla sua esecuzione può derivare un sacrificio ai diritti e alle libertà dell’imputato…, non giustificato dalle esigenze investigative o probatorie del caso concreto, tenuto conto della gravità dei reati per i quali si procede e della pena per essi prevista”.


La limitazione della libertà di comunicare e della riservatezza, in altri termini, è giustificata quando il mezzo di ricerca della prova, nel caso concreto, è necessario per le indagini. Il principio di proporzione, pertanto, sembra permettere il recupero dell’indispensabilità dell’intercettazione prevista dall’art. 267 cod. proc. pen.


Il rilievo dei presupposti che la legge italiana richiede per le intercettazioni, invero, si desume anche dall’art. 9 del d.lgs. n. 108 del 2017 che disciplina l’ipotesi in cui essi non ricorrono, permettendo il compimento di un atto diverso, comunque idoneo al raggiungimento del medesimo scopo. Nella nuova disciplina, pertanto, si rinvengono argomenti a sostegno di una interpretazione secondo la quale il giudice, in vista dell’esecuzione dell’OEI concernente intercettazioni, non debba limitarsi a una verifica solo formale dell’atto proveniente dallo Stato di emissione.


3. Segue: la notificazione dell’avvio delle operazioni


L’art. 24 del d.lgs. n. 108 del 2017, invece, regola l’ipotesi in cui, senza richiesta di assistenza tecnica, sia stata disposta l’intercettazione di un dispositivo, anche di sistema informatico o telematico, in uso a persona che si trovi nel territorio dello Stato. In questo caso, il procuratore della Repubblica trasmette immediatamente al giudice per le indagini preliminari la notificazione dell’avvio delle operazioni che proviene dall’autorità giudiziaria dello Stato membro che procede.


Si tratti di un mero onere formale di trasmissione. Il giudice, come è già stato illustrato, ordina l’immediata cessazione delle operazioni se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l’ordinamento interno, le captazioni non sono consentite, dandone contestuale comunicazione al procuratore della Repubblica, il quale “senza ritardo, e comunque non oltre novantasei ore dalla ricezione della notifica”, dà comunicazione all’autorità giudiziaria dello Stato membro del provvedimento di cessazione delle operazioni e della non utilizzabilità a fini di prova dei risultati delle intercettazioni eseguite.


Come è stato illustrato, l’art. 24 sembra circoscrivere il controllo del GIP alla sola verifica che il reato per il quale è stata disposta l’intercettazione rientri nel catalogo dell’art. 266 cod. proc. pen., senza fare esplicito riferimento ai presupposti di cui all’art. 267 cod. proc. pen., il cui vaglio, peraltro, sembra tornare per mezzo delle previsioni degli art. 7 e 9 del medesimo d. lgs.


Nella relazione illustrativa al decreto, al riguardo, è affermato che sarebbe sufficiente “un vaglio solo formale di riscontro della ricorrenza di un titolo di reato che, nell’ordinamento interno, consente l’acceso al mezzo di ricerca della prova”. Sul punto, l’art. 31 della direttiva prevede che l’intercettazione non possa essere effettuata se “non sia ammessa in un caso interno analogo”.


4. La procedura “attiva”


L’art. 43, comma 1, del d.lgs. n. 108 del 2017 prevede che il pubblico ministero emetta ordine di indagine “per la necessaria assistenza tecnica” all’esecuzione delle operazioni di intercettazione delle conversazioni o comunicazioni o del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici, “quando nel territorio di altro Stato membro si trova il dispositivo o il sistema da controllare”. L’emissione dell’OEI è necessaria quando sussiste l’indispensabilità dal punto di vista tecnico dell’assistenza dell’autorità di altro Stato straniero e quando ricorre il presupposto giuridico della giurisdizione di altro Stato, rappresentato dalla territorialità.


Nel caso in cui il pubblico ministero, in base agli atti d’indagine già compiuti, è a conoscenza che il dispositivo o il sistema da controllare si trova nel territorio di altro Stato membro deve emettere l’OEI. L’ordine contiene una serie di informazioni tra cui “i motivi della rilevanza dell’atto”. Il pubblico ministero, inoltre, previo accordo con l’autorità di esecuzione, indica nell’ordine di indagine se l’operazione deve essere eseguita con trasmissione immediata delle telecomunicazioni oppure intercettando, registrando e trasmettendo successivamente il risultato dell’attività.


L’art. 44, comma 1, del d.lgs. n. 108 del 2017, invece, regola il caso in cui le captazioni delle comunicazioni di un dispositivo o di un sistema che si trova in altro Stato europeo possano essere compiute senza la necessità dal punto di vista tecnico dell’assistenza dell’Autorità di altro Stato. Il pubblico ministero, nel dare inizio alle operazioni, informa l’autorità giudiziaria competente dello Stato membro nel cui territorio si trova il dispositivo o il sistema da controllare.


Analogamente, secondo il comma 2 della medesima disposizione, nel corso delle operazioni di intercettazione, il pubblico ministero, “non appena
ha notizia che il dispositivo o il sistema controllato si trova nel territorio di altro Stato membro”, provvede “immediatamente” a dare informazione all’autorità giudiziaria competente dello Stato membro interessato che le operazioni di intercettazione sono state avviate e sono in corso. Il rispetto di tale immediatezza potrebbe rivelarsi difficile e, in buona sostanza, devoluto alla rapidità dell’informazione che al pubblico ministero deve essere data dagli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto ed alla trascrizione sommaria delle intercettazioni.


5. Le conseguenze della nuova disciplina sull’"instradamento”


La disciplina illustrata mette in seria discussione un principio giurisprudenziale assolutamente consolidato. Si allude all’orientamento secondo cui non è necessario attivare un meccanismo di cooperazione giudiziaria per intercettare conversazioni in cui uno degli interlocutori si trova all’estero, ma che coinvolgono un dispositivo mobile italiano.


La captazione può essere realizzata mediante la procedura dell’instradamento che permette di carpire la comunicazione nel momento in cui è impegnato un “nodo tecnologico” o una “centrale telefonica” che si trova in Italia. Detta procedura, quindi non determina la violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, né l’inutilizzabilità dell’atto, perché la captazione e la registrazione delle conversazioni è interamente realizzata sul territorio italiano e non si verifica alcuna intrusione nella giurisdizione dello Stato estero, ove pure si trova uno degli interlocutori o entrambi ovvero il dispositivo captato.


Il ricorso alla rogatoria, invece, è indispensabile soltanto per le attività da compiere integralmente all’estero ed anzi esclusivamente per l’intercettazione di conversazioni captate soltanto da una compagnia telefonica straniera che, di conseguenza, non sono “instradati” su nodi di comunicazione nazionali (cfr., di recente, Cass. n. 7634/2014; Cass. n. 9161/2015; Cass. n. 10788/2016). Il termine instradamento, seppur non corretto sul piano strettamente tecnico dove piuttosto si fa riferimento al meccanismo del cd. roaming, descrive come il flusso comunicativo, ancorché avvenga in parte all’estero, venga captato nel momento in cui entra nel nostro Stato.


Ai fini dell’individuazione della giurisdizione competente, inoltre, si aggiunge che non rileva il luogo in cui è in uso l’apparecchio (e, dunque, dove si trova la persona che lo impiega), ma esclusivamente la nazionalità dell’utenza, essendo tali i dispositivi soggetti alla regolamentazione giuridica dello Stato cui appartiene l’ente gestore del servizio (Cass. n. 37774/2002; Cass. n. 9161/2015). Quest’impostazione giurisprudenziale, estesa anche alla captazione dei flussi informatici, come per esempio quelli relativi ad una casella di posta elettronica allocata su un server estero (cfr. Cass. n. 40903/2016), appare confliggere con la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 108 del 2017 che prevede l’obbligo di ricorrere all’assistenza giudiziaria internazionale non solo quando è necessario per ragioni tecniche, ma anche quando la persona intercettata o il dispositivo controllato si trova in altro Stato.


Al riguardo, deve rilevarsi che l’art. 43, comma 3, del d.lgs. n. 108 del 2017 prevede che il pubblico ministero è tenuto a disporre l’immediata cessazione delle operazioni di intercettazione quando l’autorità giudiziaria dello Stato membro, ricevuta l’informazione di cui ai commi precedenti, comunica che non possono essere proseguite. “I risultati dell’intercettazione possono comunque essere utilizzati, ma alle condizioni stabilite dall’autorità giudiziaria dello Stato membro”.


Deve ritenersi, pertanto, che quando l’autorità giudiziaria dello Stato membro si limita a disporre che le intercettazioni non possano essere proseguite, i risultati di quelle già compiute sono inutilizzabili. Le nuove norme, dunque, almeno in ambito eurounitario, sembrano comportare il superamento del principio dell’instradamento (e di quello della nazionalità dell’utenza) ed il recupero della giurisdizione dello Stato nel quale si trova la persona intercettata o il dispositivo captato.


6. Il recepimento della Convenzione di Bruxelles del 2000


Va aggiunto, infine, che con il d. lgs. 5 aprile 2017, n. 52 sono state emanate le norme di attuazione della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea del 29 maggio 2000 (meglio nota come “Convenzione di Bruxelles del 2000”, recepita dopo oltre sedici anni dalla firma). Dopo il recepimento della direttiva OEI, il d.lgs. n. 52 del 2017 ha un margine operativo limitato (è applicabile agli Stati membri dell’Unione che non sono vincolati dalla stessa direttiva OEI - Danimarca e Irlanda - o agli Stati - Islanda e Norvegia - che non ne sono membri, ma che hanno aderito alla convenzione del 2000).


Negli artt. da 19 a 23, è prevista un’articolata disciplina delle intercettazioni, che riguarda sia la procedura passiva, che quella attiva, entrambe
distinte secondo che, per l’esecuzione, sia necessaria l’assistenza tecnica dello Stato nel quale “si trova la persona intercettata” o “il dispositivo
controllato” ovvero non ricorra questo bisogno. La disciplina ricalca quella relativa all’OEI, in particolare per l’obbligo di ricorrere alla cooperazione giudiziaria non solo quando è necessario per ragioni tecniche, ma anche quando la persona intercettata o il dispositivo controllato si trova in altro Stato.


Gli artt. 21, comma 2, e 23, comma 5, del d.lgs. n. 52 del 2017, sia per la procedura attiva, che per quella passiva, nel caso di violazione delle
regole di cooperazione, prevedono la sanzione di inutilizzabilità (consentendo l’impiego delle captazioni solo se utili per salvaguardare la
sicurezza nazionale).

Autore
Luigi Giordano
Magistrato addetto all’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione

Il decreto legislativo disciplina anche l’assistenza giudiziaria in materia di intercettazioni, in attuazione degli artt. 30 e 31 della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio. In particolare, agli artt. 23 e 24 è regolata la procedura “passiva”, mentre agli artt. 43 e 44 quella “attiva”. Luigi Giordano