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La giustizia del futuro
non c'è futuro senza giustizia:
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Il carcere e la pena

Le condizioni carcerarie ed il sovraffollamento sono da anni un’emergenza nazionale e democratica, un vero e proprio problema strutturale del sistema, causa principale delle insostenibili condizioni dei detenuti. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 31 gennaio 2013 erano presenti nei 206 istituti carcerari italiani n. 65.905 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 47.040 unità. Di questi, n. 25.520 sono indagati o imputati in custodia cautelare, n. 39.090 condannati e n. 1.233 internati. Circa il 40% della popolazione carceraria è ristretta per reati in materia di stupefacenti.


La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 8 gennaio 2013 ha pronunciato sentenza di condanna dell’Italia, accertando nel caso concreto la violazione dell’art. 3 CEDU e, contestualmente, ha posto in luce 1) l’esistenza di problemi strutturali, 2) il carattere sistemico delle violazioni dell’art. 3 CEDU 3) l’obbligo di porre in essere misure e azioni indispensabili per porvi rimedio (nel termine di un anno), invitando lo Stato a ricorrere il più ampiamente possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la politica penale verso un minor ricorso alla detenzione.


Le autorità italiane, così messe in mora dalla Corte europea, non possono più ritardare la soluzione di un problema indilazionabile, anche sotto il profilo morale.



Il problema deve essere affrontato alla radice, con un significativo mutamento culturale che veda nella pena detentiva e nella custodia cautelare in carcere soltanto l’extrema ratio ove ogni altra sanzione o misura nel caso concreto sia impossibile, con definitivo abbandono, nel caso delle misure cautelari, di ogni ancora residuale ipotesi di obbligatorietà. E quindi una sostanziale decarcerizzazione, in parallelo rispetto all’ampliamento della capienza e al miglioramento della qualità del sistema penitenziario italiano, allo scopo di rendere effettivo il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena.



In breve:


1) Occorre una maggiore diversificazione delle pene rispetto a quanto previsto dal codice vigente. La reclusione va limitata ai soli reati più gravi e vanno ampliate e arricchite le pene restrittive della libertà personale con introduzione, come sanzioni autonome, in particolare della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità. Tali sanzioni, da espiare in ambiente non detentivo, andrebbero tipizzate come sanzioni penali autonome, graduabili dallo stesso giudice della cognizione, e non più come alternative alla detenzione ed orientate non già in termini di limiti e divieti ma in senso attivo come obblighi di fare a favore della comunità, da incentivare eventualmente introducendo sistemi deflativi del processo. Tale maggior ventaglio di pene consentirebbe, oltre a una riduzione dei casi di detenzione in carcere, anche una più razionale soddisfazione del principio di proporzionalità della pena alla gravità dei reati.


2) Occorre introdurre l’istituto della messa alla prova, ispirato alla probation di origine anglosassone, che offre a quanti sono imputati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo, mediante lavori di pubblica utilità e, al contempo, svolge una funzione deflativa dei procedimenti penali, grazie all’estinzione del reato come effetto dell’esito positivo della messa alla prova.


3) E’ opinione generalmente condivisa, che le misure alternative, più di quella detentiva, siano occasione per ridurre la recidiva e accrescere la sicurezza dei cittadini nel territorio, perché consentono di acquisire consapevolezza delle conseguenze del reato e della necessità di porvi rimedio, mediante un percorso di responsabilizzazione che si realizza anche mediante l’assunzione di impegni in favore della collettività. Occorre pertanto favorire il ricorso a tali misure, invertendo la tendenza inversa, promossa dalla legge n. 251/2005 (c.d. ex Cirielli).


4) Va riformata la disciplina delle misure cautelari, estendendo il ricorso, anche cumulativo, alle misure interdittive e alle cautele di natura patrimoniale (sequestro per equivalente, anticipazione del ricorso al sequestro conservativo).


5) I dati statistici confermano che attualmente il 40% circa della popolazione carceraria è costituita da soggetti ristretti per reati in materia di stupefacenti. Pertanto, è necessario attenuare la severità delle pene previste per i fatti di piccolo spaccio dalla legge Fini Giovanardi. Un equilibrato trattamento sanzionatorio in materia di stupefacenti, oltre che allineare il nostro Paese alle convenzioni internazionali e alle direttive europee, favorisce l’accesso all’affidamento terapeutico.


6) Al fine di ridurre la popolazione carceraria, si propone di ampliare i limiti di pena per l’espulsione aumentando da due a tre anni la pena detentiva, anche residua, inflitta allo straniero per reati non gravi, in presenza della quale il giudice di sorveglianza, con le garanzie di legge, può sostituire il carcere con l’espulsione.


7) Occorre migliorare le strutture logistiche, realizzando nuove carceri e migliorando quelle esistenti, ripensando anche sotto il profilo materiale l’attuale modello unico di istituto penitenziario. Bisogna garantire il lavoro nelle carceri, diffondere modelli organizzativi e prassi virtuose su tutto il territorio nazionale, assicurando piante organiche numericamente e professionalmente adeguate, sia con riferimento al personale della polizia penitenziaria che a quello civile.


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