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21 ottobre 2017

Relazione di Massimo Libri, giudice di pace di Venezia

33° Congresso nazionale ANM


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XXXIII Congresso Nazionale ANM
La Giustizia, i diritti e le nuove sfide
Intervento alla III Sessione – Risorse, riforme e organizzazione del lavoro
21 ottobre 2017


 


LE RICADUTE DELLA RIFORMA DELLA MAGISTRATURA ONORARIA
SUL FUNZIONAMENTO DEGLI UFFICI GIUDIZIARI
PRIME RIFLESSIONI


1. Premesse
2. Gli Uffici del Tribunale
3. L’Ufficio per il Processo
4. L’Ufficio del Giudice di Pace
5. I criteri di determinazione dell’impegno della magistratura onoraria
6. Conclusioni


1. Premesse.
Il recente decreto legislativo n. 116 del 31 luglio 2017, attuativo della legge delega di riforma della magistratura onoraria, è intervento in modo incisivo nell’organizzazione degli uffici giudiziari, condizionandone, e non in meglio, il funzionamento.
La ratio sottostante al decreto è, infatti, quella di prevedere un impiego eccezionale della magistratura onoraria presso gli uffici giudiziari.
Al riguardo occorre rilevare un primo errore di fondo, ossia quello di non considerare, oppure di valutare in negativo, che la magistratura onoraria costituisce ormai una risorsa a cui i capi degli uffici attingono costantemente nella predisposizione dei progetti organizzativi.
Ciò che viene definito ‘incardinamento’ dei magistrati onorari negli uffici giudiziari è una situazione che non attiene unicamente all’aspetto lavoristico del rapporto di questo magistrato con l’amministrazione giudiziaria, ma è soprattutto il risultato di un modello organizzativo, nato dall’oggettiva necessita di far fronte alla sempre più crescente domanda di giustizia, che nel corso degli anni si è andato a sviluppare e che ha trovato disciplina secondaria nelle delibere del Consiglio Superiore della Magistratura. Con riferimento, poi, agli uffici del Giudice di Pace, questo è stato determinato dagli interventi normativi che, nel corso degli anni, hanno introdotto aumenti di competenza di questo magistrato e che hanno contribuito a modificarne la figura da conciliatore a primo grado di giudizio in materia civile e penale.
Il modello introdotto con decreto legislativo 116/2017, intende modificare radicalmente questo stato di cose in favore di un magistrato onorario il cui impegno deve essere pari ad un terzo rispetto all’attività del magistrato togato.
Come già esposto, questa impostazione condizionerà l’organizzazione degli uffici giudiziari pregiudicandone il funzionamento.
La presente analisi avrà ad oggetto principalmente le conseguenze per gli uffici giudicanti.


2. Gli Uffici del Tribunale.
La Legge delega 57/2016, oltre ad istituire uno statuto unico per la magistratura onoraria prevedeva, con riferimento alla magistratura onoraria giudicante, la possibilità di assegnare il giudice onorario all’Ufficio per Processo [art. 2 co. 5, lett. a) e co. 7 lett. e)]; presso l’Ufficio del Giudice di Pace [art. 2 co. 1 lett. a) e co. 15] o, in alternativa, di applicare lo stesso presso il Tribunale [art. 2 co. 5, lett. b) e c)].1
La caratteristica del sistema della Legge 57/2016 era, appunto, l’alternatività dell’impiego del magistrato con ruolo autonomo in Tribunale, rispetto all’ufficio del processo ed alla naturale destinazione presso l’Ufficio del Giudice, mentre la scelta del legislatore delegato, è stata nel senso dell’alternatività di impiego tra l’Ufficio del Giudice di Pace e l’Ufficio per il Processo.
Questa impostazione, oltre a configurare una violazione della legge delega, comporterà gravi conseguenze in materia di funzionamento degli Uffici Giudiziari.
Dall’esame del combinato disposto di cui agli artt. 10 e 11 D.lgs. 116/2017 si ricava, infatti, che la possibilità di assegnare al magistrato onorario la trattazione di procedimenti presso il Tribunale, sarà più teorica che reale.
In primo luogo, il Presidente del Tribunale, diversamente da quanto ipotizzato nella legge delega, non potrà provvedere con interpello presso gli Uffici del Giudice di Pace ma dovrà intervenire disponendo l’assegnazione alla trattazione di procedimenti facendo unicamente riferimento ai magistrati onorari già inseriti nell’Ufficio del Processo, con ovvie ripercussioni sull’organizzazione del lavoro dei magistrati togati del suo ufficio.
Ulteriore problema attiene alle condizioni che subordinano l’adozione di questa scelta.
Le lettere a), b), c) e d) del comma 1 dell’art. 11 del decreto attuativo individuano, in via alternativa, situazioni che presuppongono uffici giudiziari, si passi il termine, in stato di completo dissesto, ossia la presenza di una scopertura di organico tale da ridurre di oltre il 30% l’attività dei giudici assegnati al Tribunale o alla sezione; il superamento del limite di ragionevole durata del processo di cui alla L. 89/2011 pari al 50% del numero complessivo dei procedimenti civili pendenti avanti al medesimo tribunale (per i procedimenti penali il limite è al 40%) ed un numero medio di procedimenti civili pendenti o sopravvenuti che superi del 70% il numero medio nazionale (per i procedimenti penali il limite è fissato nel 50%).
Trattasi, come si vede di ipotesi che (per fortuna, vien da dire) difficilmente potranno concretizzarsi nella realtà operativa degli uffici di primo grado.
In ogni caso, anche in presenza di una di queste condizioni, la norma impone un ulteriore adempimento al Presidente di Tribunale, ossia quello di motivare l’impossibilità di “adottare misure organizzative diverse” [art. 11 co. 1] oltre ad uno stringente limite temporale, ossia tre anni [art. 11 co. 8], a conferma non della residualità ma dell’eccezionalità di tale ipotesi.
Il disposto dell’articolo in esame contiene, inoltre, una serie di limitazioni sia di natura quantitativa che qualitativa nell’assegnazione dei procedimenti al giudice onorario di pace.
Il comma 5 dell’articolo 11 prevede, infatti, che il carico di lavoro assegnato non potrà essere superiore ad un terzo del numero medio nazionale mentre non potranno essere assegnati, a norma del successivo comma 6, in via esemplificativa, nel settore civile, i procedimenti cautelari, possessori, d’impugnazione avverso i provvedimenti del giudice di pace, in materia di lavoro ed assistenza obbligatoria mentre nel settore penale i procedimenti diversi da quelli previsti dall’art. 550 c.p.p., le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell’udienza preliminare; i giudizi di appello avverso i provvedimenti emessi dal giudice di pace ed i procedimenti di cui all’art. 558 c.p.p.
A questo punto viene da chiedersi qual è l’utilità nell’assegnare la trattazione di procedimenti di competenza al giudice onorario di pace, viste le limitatissime condizioni per l’impiego.
Nella realtà operativa degli uffici giudiziari, questa norma avrà l’effetto di escludere ogni possibilità di impiego in Tribunale del magistrato onorario al di fuori dell’ufficio per il processo.
Questa conseguenza è voluta dal legislatore delegato, il quale confida nel duplice intervento dell’istituzione dell’ufficio per il processo e dell’aumento di competenza del giudice di pace per risolvere la problematica della carenza di organico e di arretrato presso i Tribunali.
Trattasi di un presupposto erroneo in primo luogo in quanto le situazioni di ridotto numero di magistrati a causa di trasferimenti, motivi di salute o altro, sono evenienze difficilmente evitabili; secondariamente poiché la realtà economica e sociale determinerà sempre nuove situazioni di conflitto che verranno poste all’attenzione della magistratura, con conseguente impossibilità di affermare oggi quale sarà la situazione del contenzioso in un prossimo futuro ed infine, poiché non tiene conto del fatto che la maggior parte dei procedimenti che vengono trasferiti alla competenza del Giudice di Pace sono già assegnati per la massima parte ai Giudici Onorari di Tribunale.
Conseguentemente se l’aumento di competenza porterà un beneficio a livello amministrativo ai Tribunali, sotto il profilo della movimentazione e gestione dei fascicoli, non solo non porterà alcun vantaggio all’amministrazione della giustizia, ma, proprio per l’impossibilità di assegnare procedimenti che, precedentemente, venivano, invece, affidati al magistrato onorario, determinerà gravi conseguenze in tema di esercizio della giurisdizione.


3. L’Ufficio per il Processo.
Stante l’impossibilità di fatto di avvalersi di magistrati onorari a cui assegnare la trattazione di procedimenti, l’unica alternativa possibile per garantire l’esercizio della giurisdizione sarà quella di aumentare il carico di lavoro di ogni singolo magistrato togato dell’ufficio.
A fronte di questo prevedibile aumento del carico medio per ogni magistrato professionale, nessun aiuto in concreto potrà venire dal magistrato onorario in servizio presso l’ufficio per il processo.
Per quanto attiene al settore penale, non si vede quale utilità possa rivestire l’assegnazione di un magistrato onorario a tale struttura, vista l’impossibilità conferirgli deleghe in ambito processuale, con la conseguenza che il primo effetto di questa riforma sarà quello di gravare il magistrato togato destinato al settore penale di ulteriori carichi di lavoro, senza poter avere alcun ausilio da parte del giudice onorario.
Passando al settore civile, l’impiego del magistrato onorario, potrà consistere nell’attività di assunzione di testimoni; nella predisposizione di provvedimenti relativi a non meglio definite “questioni semplici e ripetitive”; nell’esperimento di tentativi di conciliazione [art. 10 comma 11], ossia di attività che, comunque, non vanno a definire il procedimento e che, pertanto, comportano il successivo intervento del magistrato professionale.
Anche la previsione, in via eccezionale, della possibilità di delegare il magistrato onorario alla pronuncia di provvedimenti definitori [art. 10. co. 12], riveste in pratica carattere residuale, se solo si consideri che la maggior parte delle cause sono di competenza dell’ufficio del giudice di pace, per valore [ad es. art. 10 co. 12 lett. d) ed e)].
Conclusivamente l’effetto della riforma sarà un incremento dei ruoli di ogni singolo magistrato professionale, con una riduzione dell’ausilio che può ricevere dal magistrato onorario.
Vi è un’ulteriore considerazione che occorre svolgere con riferimento all’ufficio del processo così come attuato dal legislatore delegato.
Il periodo di tirocinio ed il successivo biennio nell’ufficio del processo, sono momenti finalizzati alla formazione del magistrato onorario che, quindi, presuppongono un candidato di giovane età ed all’inizio della propria carriera professionale2.
Se, invece, analizziamo i requisiti e, soprattutto, i titoli di preferenza (ad esempio il comma 3 lett. b) dell’art. 4), possiamo concludere che il futuro magistrato onorario, sarà un avvocato con alle spalle anni di esercizio della professione.
Sarà praticamente residuale, se non teorica, la possibilità per il giovane neolaureato, che ha svolto con esito positivo lo stage di cui all’art. 73 D.L. 69/2013 (conv. con L. n. 98/2013), di essere ammesso al tirocinio.
Tale aspetto va valutato al fine di comprendere le reali dinamiche interpersonali che si svilupperanno nel rapporto tra il magistrato professionale e onorario.
In questo caso, diversamente dagli stagisti di cui all’art. 73, non avremo un giovane motivato dalla necessità di migliorare la propria formazione o di approfondire gli studi per il superamento di concorsi ed esami di abilitazione, ma, nella quasi totalità dei casi, avremo un avvocato cassazionista che, oltre ad aver completato e superato la sua formazione iniziale, al contrario è lui ad occuparsi della formazione dei praticanti del suo studio.
Questo magistrato onorario non sarà, quindi, disponibile ad un confronto di formazione professionale con il magistrato togato, anche perché deve fare altro, ma si limiterà a svolgere quelle poche attività che gli verranno delegate.
Ulteriore limite ad un impegno del magistrato onorario nell’ufficio del processo deriva, va detto, dall’estremamente ridotto compenso.
Attualmente la magistratura onoraria è motivata all’assumere nuovi procedimenti da un sistema di pagamento a produzione ma nel momento in cui si prevede un sistema di retribuzione con un fisso eccessivamente basso, si avrà l’effetto contrario ossia quello di disincentivare l’assunzione di ulteriori compiti oltre a quelli derivanti dal limitato carico di lavoro che deve avere il magistrato onorario (un terzo rispetto a quello assegnato al togato).
Nel caso in cui pervengano richieste che comportino un impiego maggiore rispetto a quello previsto, il rischio, infatti, è quello di determinare la rinuncia all’incarico da parte del magistrato onorario, poiché la ridotta retribuzione non giustificherà più un impegno che comporti la limitazione della propria attività professionale. Questo aspetto dovrà essere preso in debita considerazione in fase di assegnazione delle attività, al fine di evitare, l’improvviso ‘svuotamento’, dell’ufficio per il processo.


4. L’Ufficio del Giudice di Pace.
Ulteriore aspetto da considerare attiene al funzionamento degli uffici del giudice di pace.
Come già esposto, il decreto delegato al comma 3 dell’articolo 1 prevede una riduzione dell’attività del magistrato onorario nel senso che questa non deve comportare un impegno superiore a due giorni la settimana, con conseguente proporzionale riduzione di assegnazione di “affari, compiti e attività da svolgere sia in udienza che fuori udienza”.
La previsione in esame si traduce, in concreto, nella possibilità di tenuta di una sola udienza a settimana (essendo l'altro giorno di impegno lavorativo necessariamente destinato alla emissione di decreti ingiuntivi, ordinanze e sentenze). Si tratta, in tutta evidenza, di una disposizione che non assicura il corretto funzionamento degli uffici e l'osservanza del termine di ragionevole durata del processo, specie alla luce di quanto previsto dalle successive disposizioni.
In particolare, il successivo articolo 3, commi 2 e 4, stabilisce che le dotazioni organiche dei magistrati onorari giudicanti e requirenti non possono essere superiori alle dotazioni organiche dei magistrati ordinari con funzioni di merito e non destinati a incarichi direttivi.
Se si escludono le dotazioni riservate agli organi giurisdizionali di legittimità e quelle agli incarichi con funzioni direttive, si arriverebbe ad una dotazione organica futura della magistratura onoraria sostanzialmente identica a quella attuale, se non inferiore.
Conseguentemente precludere ai capi degli uffici, che peraltro proprio prima dell’adozione del decreto delegato hanno già rappresentato formalmente al Ministro della Giustizia la loro forte preoccupazione proprio con specifico riguardo a tale disposizione, di poter servirsi dell'impegno lavorativo dei magistrati onorari per non più di 2 giorni alla settimana (e, di conseguenza, per non più di un'udienza a settimana) equivarrebbe a determinare un drammatico rallentamento di tutte le attività giurisdizionali, giudicanti e requirenti, negli uffici dei Giudici di Pace, dei Tribunali e delle Procure della Repubblica, con le correlate gravi conseguenze che ne deriveranno sulla ragionevole durata del processo e delle norme che disciplinano la prescrizione dei reati.
Ulteriore conseguenza, determinata dall’aumento del numero dei magistrati in servizio in un determinato ufficio, sarà quella di accrescere il numero degli adempimenti delle cancellerie e rendere così complessa la gestione dei ruoli dei singoli giudici.
Infine, vi è il problema oggettivo della gestione degli spazi, in quanto gli uffici del giudice di pace non hanno locali sufficienti per consentire la celebrazione di udienze del numero ipotizzato dal Ministero.
Conseguentemente, è ragionevole prevedere che il primo effetto della riforma sugli uffici del Giudice di Pace sarà la paralisi dell’attività giurisdizionale.


5. I criteri di determinazione dell’impegno della magistratura onoraria.
Per quanto attiene ai limiti dell’attività del magistrato onorario, il terzo comma dell’articolo 1 prevede espressamente che questa deve tradursi in un impegno che non può superare i due giorni alla settimana.
Dalla lettura della relazione introduttiva emerge che il legislatore delegato ha utilizzato come parametro di riferimento il “lavoratore a tempo indeterminato di riferimento”, ossia il magistrato togato ed ha ‘tradotto’ tale impegno in quella che è l’attività lavorativa propria del personale amministrativo suddividendolo in sei giorni lavorativi.
Tale modalità è quantomai erronea in quanto frutto di una visione distorta dell’attività giurisdizionale.
In ambito giudiziario l’attività del magistrato non si limita all’attività di udienza, ma comprende un’attività di studio e di redazione di provvedimenti che si protrae oltre l’orario di ufficio e si svolge anche nei giorni festivi.
L’impegno del magistrato non può essere valutato con gli stessi parametri adottati per il personale amministrativo, anche perché non è legato alla presenza in ufficio e non è limitato ai giorni lavorativi e, pertanto, non può essere considerato come attività di ufficio né controllato con un badge.
L’attuale tendenza a valutare l’attività del magistrato alla stregua di un lavoro impiegatizio richiama molto quelle affermazioni ad effetto che auspicavano ‘i tornelli’ per i magistrati o le recenti disposizioni in materia di ferie dei magistrati.
Queste visioni distorte dimenticano che i magistrati redigono le sentenze ed altri provvedimenti non solo al di fuori dell’orario lavorativo, ma anche il sabato e la domenica e durante il periodo di sospensione feriale delle udienze, essendo vincolati ai termini per il deposito dei provvedimenti ed ai turni di reperibilità e non ad orari di presenza in ufficio.
Il fermo contrasto con questa previsione non è, quindi, questione di natura, per così dire, sindacale ma attiene all’esercizio della giurisdizione e, quindi, all’autonomia della magistratura.
L’organizzazione del lavoro del magistrato, se deve essere valutato secondo criteri di efficienza e produttività, non può essere vincolato a parametri aziendalistici o dirigistici, perché il tempo impiegato per lo studio di un provvedimento è subordinato alla complessità delle questioni trattate e non può essere limitato o controllato da un ‘orario marcatempo’ o da non meglio chiarite preesistenti valutazioni di congruità.
La circostanza che a svolgere le funzioni giurisdizionali sia un magistrato onorario, non sposta i termini del problema, poiché la regolamentazione dell’incarico (sia esso onorario o a tempo indeterminato) è questione diversa dall’esercizio della giurisdizione.
Trattasi, pertanto, di un pericoloso principio che non può fare breccia nel nostro ordinamento utilizzando come cavallo di Troia la normativa sulla magistratura onoraria.
Per valutare l’attività del magistrato, e quindi individuare l’impegno richiesto al magistrato onorario, occorre prescindere dai criteri propri del personale amministrativo e fare riferimento ai seguenti riferimenti: a) il numero di udienze del magistrato professionale (il lavoratore a tempo indeterminato di riferimento) nella medesima posizione del magistrato onorario; b) il carico del lavoro, individuato sulla base del riferimento al carico esigibile nazionale; c) gli obiettivi che il magistrato professionale (quale lavoratore a tempo indeterminato di riferimento) deve raggiungere.
Conseguentemente, per individuare l’impegno richiesto ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 e la conseguente retribuzione, occorrerà prendere come riferimento l’attività, così come sopra valutata, del magistrato togato - escludendo, quindi, criteri legati alla presenza in ufficio - e prevedere la possibilità per il magistrato onorario di esercitare una opzione (con le modalità di cui al comma 2 dell’art. 31) sull’entità del carico di lavoro nella misura pari ad un terzo, due terzi oppure il medesimo carico di lavoro del magistrato professionale.


6. Conclusioni.
Prescindendo, al momento, dalle ovvie valutazioni negative rispetto alle rivendicazioni di carattere sindacale, un primo giudizio relativo agli effetti di questa riforma sul funzionamento degli Uffici Giudiziari, ed in particolare di quelli giudicanti, non può che essere negativo.
L’attuazione della riforma della magistratura onoraria sconta il fatto di avere il carattere di un intervento, per così dire, di ‘legislazione difensiva’, ossia finalizzata unicamente a contrastare eventuali pretese di natura ordinamentale della magistratura onoraria.
Una prima conseguenza di questa impostazione è la mancanza di una analisi obiettiva sulle reali conseguenze possono derivare nella realtà operativa degli uffici giudiziari che nel corso degli anni hanno costruito i loro progetti organizzativi proprio su un impegno a tempo pieno della magistratura onoraria.
Questo decreto attuativo ha come effetto quello di privare i capi degli uffici di quei magistrati onorari su cui hanno potuto fare affidamento nel corso di questi anni e che hanno sempre dato disponibilità completa allo svolgimento delle funzioni, garantendo così il funzionamento dei Tribunali, degli Uffici di Procura e degli Uffici del Giudice di Pace sostituendoli con un magistrato onorario, che deve essere ‘rincorso’ e che può dare una disponibilità molto limitata, perché deve fare altro.
Un ulteriore grave errore di prospettiva è quello di aver operato una pericolosa commistione tra aspetti che riguardano la funzione giurisdizionale e quelli relativi al rapporto di lavoro con l’amministrazione dello Stato.
Aspetti, ad esempio, come l’organizzazione del lavoro, i disciplinari ed i trasferimenti, in un settore come quello della magistratura non attengono né presuppongono la costituzione di un rapporto di lavoro ma sono relativi all’esercizio della giurisdizione.
Per anni la magistratura ha contrastato la concezione del giudice-impiegato e, nonostante tutto, questo decreto ci porta indietro in un periodo in cui il magistrato era visto principalmente come un funzionario dello Stato.
Questa è una pericolosa visione che purtroppo sta avendo sempre più seguito e che, a modesto avviso di chi scrive, è la nuova forma di delegittimazione della magistratura, perché altro non è che la negazione del principio dell’autonomia della magistratura ossia del principio della soggezione del magistrato solo alla legge.
Per questo motivo è necessario un continuo dialogo e confronto con la magistratura che opera nel territorio ed in particolare con l’Associazione Nazionale Magistrati al fine di individuare proposte di modifica della riforma, nel rispetto delle norme sovranazionali e costituzionali, ponendo come punto centrale il funzionamento degli uffici giudiziari.


Conclusivamente, la scelta del legislatore delegato in sede di attuazione della riforma della magistratura onoraria, in contrasto con le norme sovranazionali e con quanto previsto nella legge delega, di ridurre al minimo e in alcuni casi escludere del tutto l’apporto della magistratura onoraria, avrà l’effetto di pregiudicare, se non arrestare in alcune realtà, l’esercizio della giurisdizione.
A questo punto viene da chiedersi: a chi giova questa riforma? 


Massimo Libri
Giudice di pace di Venezia



1In particolare, con riferimento alle singole funzioni la Legge delega distingueva:
a) L’esercizio di funzioni presso l’Ufficio del Processo. Trattasi di compiti propri della fase iniziale del percorso professionale del futuro giudice onorario, che affiancherà il magistrato di carriera all’interno della struttura ‘Ufficio per il Processo’, con compiti di assistenza all’udienza e redazione di provvedimenti endoprocedimentali. Tale periodo è fissato per i primi due anni.
b) L’esercizio di funzioni presso l’Ufficio del Giudice di Pace. Nei periodi successivi al biennio nell’ufficio per il processo, il magistrato svolge il suo incarico con pienezza di funzioni giurisdizionali, nell’ambito dell’Ufficio del Giudice di Pace, con competenze notevolmente accresciute [pag. 3 della relazione: “Sarà previsto che i giudici onorari inseriti nell’ufficio del giudice di pace possano svolgere con pienezza funzioni giurisdizionali nell’ambito del proprio ufficio”].
c) L’esercizio di funzioni di giudice applicato presso il Tribunale. Sostanzialmente la delega reintroduceva il disposto dell’art. 111 R.D. n. 12/1941 che prevedeva la possibilità di applicare i Pretori presso i Tribunali. Trattasi di funzioni differenti rispetto a quelle dell’ufficio del processo perché, diversamente dalle prime il magistrato onorario applicato presso il Tribunale dovrà trattare e definire i processi assegnatigli [cfr. pag. 11 della relazione: “Infine, i giudici onorari possono essere impiegati al di fuori della struttura organizzativa denominata ufficio per il processo, in casi tassativi la cui individuazione è rimessa al legislatore delegato” e art. 2 co. 5, lett. b): “prevedere i casi tassativi in cui è consentito al Presidente del Tribunale applicare il giudice onorario di pace quale componente del collegio giudicante civile e penale; prevedere inoltre i casi tassativi in cui il giudice onorario di pace può essere applicato per la trattazione di singoli procedimenti civili e penali di competenza del Tribunale ordinario”].


2Cfr. pag. 1-2 dell’Analisi Tecnico-Normativa allo schema di decreto legislativo: “Le legge di delegazione muove lungo le seguenti direttrici fondamentali (….) 5) riconoscimento della precipua natura formativa delle attività svolte presso le strutture organizzative di cui al precedenti punto 3) che costituiscono i compiti esclusivi che i giudici onorari possono assolvere nei primi due anni dell’incarico”.





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