Signor Presidente della Repubblica,
Autorità civili e religiose,
colleghi, avvocati e amici,
è per me motivo di orgoglio prendere la parola per rivolgere al Capo dello Stato, onorevole Sergio Mattarella, il deferente saluto, mio e di tutti i magistrati del Distretto, e manifestargli un sentito ringraziamento per avere accolto l’invito a partecipare alla cerimonia che, come ogni anno, la Corte di Appello di Caltanissetta dedica al ricordo dei giudici Antonino Saetta e Rosario Angelo Livatino.
Saluto, inoltre, tutte le altre Autorità civili e religiose e tutte le persone qui riunite, e, con particolare affetto, i familiari del compianto presidente Antonino Saetta e del figlio Stefano, anche questa volta presenti all’annuale memoriale del sacrificio dei loro cari.
La presenza del Capo dello Stato conferisce solennità e significato particolari al ricordo dei due eccellenti colleghi, vittime della violenza mafiosa, che in momenti e con funzioni diverse, hanno operato in questo Palazzo, disegnando con il loro agire il profilo del magistrato moderno, coerente e concreto.
Ricordo che si unisce a quello degli altri martiri di Giustizia, legati alla storia del nostro territorio: il giudice Paolo Borsellino, che nel Distretto nisseno iniziò la sua carriera di pretore di Barrafranca (EN); il magistrato Gaetano Costa, per molti anni procuratore della Repubblica di Caltanissetta; il commissario della polizia di Stato Boris Giuliano, nativo di Piazza Armerina, ucciso a Palermo; il brigadiere degli agenti di custodia Luigi Bodenza, medaglia d’oro al valore civile, nato ad Enna e assassinato a Catania; l'agente della polizia di stato Calogero Zucchetto, nato a Sutera (provincia di Caltanissetta) e ucciso nel capoluogo palermitano.
L’opera professionale di questi uomini, vicini al nostro territorio, e così incisivi nell'affermare la legalità e la credibilità dello Stato contro la criminalità, offre ai cittadini del distretto giudiziario, e soprattutto ai giovani, un esempio e un monito.
Antonino Saetta nasceva a Canicattì il 25 ottobre1922.
Nel 1948 iniziava la sua carriera in magistratura ad Acqui Terme.
Nel 1955 si trasferiva al Tribunale di Caltanissetta e nel 1960 si spostava in quello di Palermo, per diventare poi procuratore della repubblica a Sciacca e quindi consigliere della Corte di Appello del capoluogo palermitano.
Dopo alcuni anni trascorsi alla Corte di Appello di Genova, nel 1985 assumeva l’incarico di presidente di sezione della Corte di Appello di Caltanissetta e di poi si trasferiva presso la Corte di Appello di Palermo con le medesime funzioni.
Protagonista, in vari momenti della sua carriera, di importanti processi, quali quelli celebrati a carico di militanti delle Brigate Rosse genovesi e di affiliati alla criminalità organizzata, si mostrava sempre refrattario ad ogni forma di condizionamento da qualunque parte provenisse e, a maggior ragione, da ambienti mafiosi. E questa sua proverbiale indipendenza sarà la causa della sua morte violenta.
Il 25 settembre1988, mentre alla guida della sua autovettura privata percorreva la strada statale 640 alla volta di Palermo, cadeva, insieme all’innocente figlio Stefano che lo aveva voluto accompagnare, in un agguato mortale.
Le indagini condotte a Caltanissetta chiariranno che egli era stato ucciso da “qualificati” manovali della “famiglia” di Canicattì, su richiesta dei vertici della mafia di Palermo, preoccupati che potesse assumere la presidenza del Collegio di appello chiamato a trattare in secondo grado il c.d. maxiprocesso alle cosche mafiose isolane.
Egli sapeva che le nuove funzioni assunte alla Corte di Assise di Appello di Palermo, dopo avere comminato gravi pene a molti mafiosi durante il suo servizio a Caltanissetta, comportavano rischi notevoli e aveva chiesto di essere destinato ad incarico meno esposto. La sua richiesta non poteva essere accolta per cui accettava, senza perdere la sua consueta determinazione e indipendenza, il gravoso impegno divenendo il primo magistrato giudicante siciliano assassinato dalla mafia.
Consapevolezza e senso del dovere erano le radici del suo silenzioso coraggio.
Lo hanno definito “un eroe vestito di normalità”, stagliando un modo di essere che inevitabilmente richiama quello del collega Rosario Angelo Livatino il cui profilo sarà da qui a poco illustrato dal procuratore generale Sergio Lari.
Unisce i due magistrati, oltre al luogo di nascita e la comune esperienza lavorativa a Caltanissetta, anche uno stile professionale e di vita che, pur nelle loro diverse vicende umane, converge su molti punti fondamentali. Uomini di formazione solida, equilibrati perché sicuri nei loro riferimenti valoriali, limpidi nell’agire perché determinati e attenti alle direttive della coscienza, alle regole di legge, ai contesti e alle storie degli uomini con le quali si confrontavano per esercitare la giurisdizione.
Il convinto senso di giustizia e l’amore per la legalità non erano per costoro un’astratta spinta ideale o una scelta di mero rigore intellettuale. Erano una dimensione pratica e morale che si manifestava nell’acutezza nello studio dei fatti, nell’insensibilità ad ogni condizionamento ideologico e conseguentemente nella modernità di visione che consentiva loro di cogliere le evoluzioni dei fenomeni criminali, sfuggite all’osservazione a molti dei loro contemporanei.
Entrambi hanno saputo esprimere indipendenza, imparzialità, rigore morale e fedeltà al dettato normativo e si sono distinti per professionalità, equilibrio, laboriosità e impegno, senza mai trascurare le esigenze delle rispettive famiglie che erano e rimanevano sempre al centro delle loro attenzioni.
Le loro vite appartengono alla storia della Sicilia e dell’Italia intera, una storia fatta di sangue ma anche di vittoria della Legge sulle forze oscure del male che in questa terra vestono gli abiti della mafia.
Rosario Livatino e Antonino Saetta che, senza nulla chiedere, sono stati coerenti e, fino in fondo, fedeli allo Stato, hanno dato e continuano a dare lustro a questo Distretto giudiziario che ha visto negli anni l'agire sinergico dei rappresentati delle istituzioni, della Chiesa, della società civile e del mondo della scuola, tutti impegnati, ciascuno nel proprio ambito, a percorrere con risolutezza un comune cammino di contrasto alle mafie.
La Corte di Appello di Caltanissetta oggi, ancora una volta, rivendica con orgoglio il diritto di onorare siffatti magistrati e la presenza del Capo dello Stato e di tante illustri personalità incoraggia tutti coloro che in essa operano a proseguire su questa strada.
Salvatore Cardinale
Presidente della Corte d'Appello di Caltanissetta