17 dicembre 2022
Relazione sulla riforma del processo civile
Presentata e approvata dal Cdc nel corso della seduta del 17-18 dicembre 2022
La riforma del processo civile accoglie finalmente molte delle proposte che i giudici del lavoro, assieme all’avvocatura, avevano avanzato da tempo. Nonostante ciò essa conferma i segnali di disattenzione del mondo politico verso un settore nodale per i diritti che vi sono tutelati e per il mondo dell’impresa.
Le nuove norme semplificatrici della disciplina dei licenziamenti giungono a distanza di quasi dieci anni dalle proposte condivise di magistrati e avvocati, riprendendone il testo quasi alla lettera e ponendo l’interrogativo del perché sia stato necessario il passaggio attraverso la legge delega, quando già i Governi precedenti le avevano elaborate con la stessa formulazione che le rendeva self executing.
Si sono persi così anni di applicazione alle cause di licenziamento del cd. “rito Fornero”, da quasi tutti gli operatori del diritto giudicato inutilmente dispendioso per le parti in causa.
Al contempo non è stata accolta la proposta di estensione alle controversie di lavoro delle misure di coercizione dell’art. 614-bis c.p.c., conservando quella clausola di esclusione che, per opinione quasi unanime, è irragionevole a fronte di diritti che richiedono una tutela rapida e sicura.
Per di più la nuova disciplina della mediazione assistita e soprattutto quella della trattazione scritta, sostitutiva dell’udienza, pongono questioni interpretative che dimostrano come esse siano state concepite senza preoccuparsi della loro armonizzazione con le norme speciali del processo del lavoro: col risultato di rimettere all’interprete, cioè al giudice, la ricerca di soluzioni che pregiudicheranno inevitabilmente l’uniformità delle prassi applicative sul territorio nazionale.
Sono in particolare due commi dell’art. 127-ter c.p.c. a porre i problemi più complessi.
Il secondo, laddove statuisce che, in caso di sostituzione dell’udienza con la trattazione scritta, il giudice assegni alle parti un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note. Tale termine non si concilia col disposto dell’art. 416, primo comma, c.p.c. che assegna alla parte convenuta un termine (decadenziale) di dieci giorni prima dell’udienza entro cui costituirsi. L’interprete potrebbe essere indotto a ritenere la trattazione scritta incompatibile con la prima udienza di trattazione, il che creerebbe un’ingiustificata chiusura a soluzioni rilevatesi nella pratica assai vantaggiose ed efficaci per tutte le controversie (soprattutto previdenziali) che possono essere subito definite senza necessita di comparizione delle parti...
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