11 novembre 2010
Anm sulla scuola della magistratura
La Giunta dell'Anm ritiene che laScuola della Magistratura debba proporsi nel segno della continuitàcon una esperienza di formazione maturata faticosamente nelcircuito dell'autogoverno negli ultimi quindici anni, in una otticadi miglioramento non solo della professionalità ma anche dellaconsapevolezza del ruolo di ogni magistrato italiano.
l modello di Scuola della
magistratura delineato dalle riforme del 2006 e del 2007 presenta,
come più volte segnalato dall'Anm, limiti e lacune.
L'attuale assetto legislativo,
infatti, non consente di cogliere l'effettivo contributo del
Consiglio superiore della magistratura nella individuazione delle
linee guida della attività di formazione e di fissare i
limiti di intervento del Ministero della Giustizia sulla intera
attività della Scuola. Preoccupa, poi, la dislocazione della
attività di formazione centrale su tre sedi (una al nord, una al
centro e una al sud), foriera di una frammentazione delle diverse
esperienze professionali e limitativa del confronto interno alla
magistratura. Si aggiungano i "pericolosi" profili di
"contaminazione" tra formazione e valutazione di professionalità.
Infine non si comprende a quale destino vada incontro il circuito
della "formazione decentrata".
La Giunta ritiene che la Scuola
della Magistratura debba proporsi nel segno della continuità con
una esperienza di formazione maturata faticosamente nel circuito
dell'autogoverno negli ultimi quindici anni, in una ottica di
miglioramento non solo della professionalità ma anche della
consapevolezza del ruolo di ogni magistrato italiano.
Su questi temi, la Giunta manifesta preoccupazione per il silenzio
e l'inerzia del Ministero della Giustizia.
In concreto, il modello di Scuola
che avremo dipenderà moltissimo dalle persone che andranno a
comporre il comitato direttivo. L'auspicio è che il comitato
direttivo della Scuola coinvolga professionalità di indiscutibile
ed elevata autorevolezza, e che nella scelta il Consi-glio
superiore sappia valorizzare anche le indicazioni formulate dai
colleghi partecipanti ai corsi, rifuggendo da logiche di
appartenenza.
Solo in questo modo sarà possibile
difendere una formazione pluralistica nei contenuti, nei metodi,
nella scelta dei docenti e dei partecipanti alle iniziative, che
non "impone" il sapere, ma che coltiva le interpretazioni condivise
attraverso il confronto aperto.