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FAQ
23 maggio 2014

Sulla possibilità per i magistrati di chiedere anticipazioni sul trattamento di fine servizio

Spett.le
A.N.M.
Associazione Nazionale Magistrati


- Oggetto: sulla possibilità per i magistrati di chiedere anticipazioni sul trattamento di fine servizio.


            E’ stato chiesto se, ed eventualmente con quali modalità, i magistrati possano ottenere un anticipo sul trattamento di fine servizio.


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Abstract: la normativa vigente, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 21 novembre 2011, n. 24474 e Cass., 27 giugno 2012, n. 10770), non consente ai magistrati di chiedere anticipazioni sul trattamento di fine servizio (“indennità di buonuscita”).


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1.         Per lungo tempo la disciplina dei trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici (“indennità di buonuscita” per i dipendenti statali e “indennità di fine servizio” per i dipendenti degli enti locali) è stata distinta e diversa da quella del trattamento di fine rapporto del settore privato.


            Le diversità riguardavano, e per alcune categorie ancora riguardano, il finanziamento (interamente a carico del datore di lavoro nel privato e parzialmente a carico del lavoratore nel pubblico), la base e le modalità di calcolo degli accantonamenti e del trattamento, il soggetto erogatore (il datore di lavoro nel privato e l’Ente previdenziale nel pubblico), nonché, appunto, la possibilità di ottenere anticipazioni.


            A quest’ultimo riguardo, infatti, nel settore privato l’anticipazione è consentita, in via generale, dall’art. 2120, commi da 6 a 11, Cod. Civ., che individua i casi e le condizioni alle quali il datore di lavoro è tenuto a concedere l’anticipazione.


            Nel settore pubblico, invece, l’art. 26, comma 7, del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032, esclude espressamente la possibilità di ottenere “acconti” sulla “indennità di buonuscita”.


            Sul punto è intervenuta anche la Corte costituzionale, escludendo la illegittimità costituzionale del combinato disposto delle norme appena citate, sul presupposto che i dipendenti pubblici, e in particolare quelli non “contrattualizzati” (nella specie si trattava degli Avvocati dello Stato), mantengono una “peculiarità ordinamentale” che giustifica tale differenza di trattamento, considerato anche che l’istituto dell’anticipazione del trattamento di fine rapporto non tutela valori costituzionalmente garantiti, tanto che il legislatore ben potrebbe non prevederlo affatto (C. cost., ordinanza 12 gennaio 2000, n. 9).


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2.         La situazione appena descritta – soprattutto per i dipendenti pubblici non “contrattualizzati”, come i magistrati - non sembra essere mutata nemmeno con i successivi interventi normativi che hanno progressivamente “ravvicinato” la disciplina dei trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici con quella del trattamento di fine rapporto del settore privato.


            Ed infatti, l’art. 2, comma 5, della legge 8 agosto 1995, n. 335, nell’estendere ai dipendenti pubblici assunti dopo una certa data (poi fissata al 1° gennaio 2001) la disciplina privatistica del trattamento di fine rapporto, da un lato, ha escluso da tale estensione il personale non “contrattualizzato”, tra cui i magistrati, ai quali continua quindi ad applicarsi la disciplina dell’indennità di buonuscita che, come si è visto, non consente di chiedere anticipazioni.


            Dall’altro lato, per i dipendenti “contrattualizzati” di cui sopra, ha rinviato la definizione delle “modalità di attuazione” del passaggio dal TFS al TFR alla contrattazione collettiva che, per quel che interessa, ha stabilito che “le condizioni per l’armonizzazione pubblico – privato in materia di anticipazioni saranno verificate in sede di contrattazione di comparto, nel rispetto degli equilibri di bilancio della finanza pubblica” (art. 8, comma 3, dell’Accordo Quadro sul TFR del 29 luglio 1999). Ma, a tutt’oggi, la contrattazione di comparto non risulta aver regolato l’istituto delle anticipazioni.


            Onde, in base alla disciplina generale, le anticipazioni sui trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici, comunque denominati, non sembrano consentite né per il personale contrattualizzato “passato” al TFR (in mancanza della necessaria disciplina sindacale attuativa), né per il personale contrattualizzato e per quello non contrattualizzato ai quali continua ad applicarsi la disciplina “tradizionale” dell’indennità di buonuscita, ivi incluso il divieto di ottenere “acconti” di cui all’art. 26, comma 7, del citato D.P.R. n. 1032/1973.


            Occorre aggiungere che l’art. 12, comma 10, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito in legge con modifiche dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) - che aveva esteso ai trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici “non già regolati dall’art. 2120 Cod. Civ.” le regole di calcolo previste dal medesimo art. 2120 Cod. Civ. – è stato dapprima dichiarato incostituzionale nella parte in cui aveva  mantenuto la trattenuta del 2,5% a carico del dipendente (C. cost., sentenza 11 ottobre 2012, n. 223) e, poi, abrogato dall’art. 1, comma 98, della legge n. 228 del 2012.


            Onde, i trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici non “passati” al TFR, inclusi i magistrati, restano regolati dalla disciplina di settore anche in ordine alle modalità di calcolo.


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3.         Così ricostruita la disciplina “generale” dei trattamenti di fine servizio e di fine rapporto, occorre segnalare l’esistenza di alcune disposizioni che hanno posto dubbi interpretativi proprio in materia di anticipazione dei predetti trattamenti.


            Il riferimento è all’art. 7, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53 (contenente disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città), che, nel prevedere che il trattamento di fine rapporto può essere anticipato, “oltre che nelle ipotesi di cui all’art. 2120 Cod. Civ.”, anche “ai fini delle spese da sostenere durante i periodi di fruizione” dei congedi ivi indicati (per assistenza ai figli minori degli anni 8 e a parenti portatori di handicap), stabilisce che “le medesime disposizioni si applicano anche alle domande di anticipazioni per indennità equipollenti al trattamento di fine rapporto, comunque denominate, spettanti a lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati”.


            Il successivo terzo comma del medesimo art. 7 affida, poi, ad un decreto del Ministero della Funzione Pubblica – che a tutt’oggi non risulta essere stato emanato - la definizione di “requisiti”, “criteri” e “modalità applicative delle disposizioni del comma 1 in riferimento ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.


            Ebbene, il comma 1 del citato art. 7 è stato invocato da alcuni per sostenere che esso avrebbe esteso tutte le disposizioni in materia di anticipazioni del TFR - incluse quelle dell’art. 2120 Cod. Civ. -  a tutti i trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici, inclusa dunque la “indennità di buonuscita”.


            Tale assunto è stato però espressamente disatteso dalla Corte di Cassazione, la quale - riformando la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto di un dipendente pubblico ad ottenere dall’INPDAP un’anticipazione del TFS per acquistare la prima casa, sulla base dell’art. 7, comma 1, della legge n. 53 del 2000  – ha affermato “il principio di diritto secondo cui la l. n. 53 del 2000, art. 7, comma 1, non amplia, sotto il profilo soggettivo, l’ambito degli aventi diritto all’anticipazione del TFR, non determinando alcuna equipollenza tra il TFR e il TFS” (Cass., 21 novembre 2011, n. 24474, confermata successivamente da Cass., 27 giugno 2012, n. 10770).


            Secondo la Suprema Corte, infatti, la disciplina dell’art. 7 della legge n. 53 del 2000 va interpretata in combinato disposto con quella generale in materia di trattamenti di cessazione del rapporto, che, ancora attualmente, regola in modo diverso e distinto il trattamento di fine rapporto (di cui all’art. 2120 Cod. Civ.) e il trattamento di fine servizio (di cui al D.P.R. n. 1032 del 1973), il quale, proprio per la diversità di regime giuridico rispetto al primo, non può essere considerato a questo equipollente.


            Onde, secondo la Suprema Corte, deve ritenersi che il citato art. 7 ha inteso ampliare solo l’ambito oggettivo delle ipotesi in cui è consentito chiedere l’anticipazione del TFR (estendendolo alle spese connesse ai congedi familiari) e non anche l’ambito soggettivo dei beneficiari del diritto all’anticipazione, che restano i soli dipendenti per i quali, già in precedenza, era consentito richiedere anticipazioni, con esclusione quindi dei dipendenti pubblici titolari dell’indennità di buonuscita.


            Sempre secondo la Suprema Corte, ciò è confermato dal sopravvenuto d. lgs. n. 151 del 2001  (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), il quale, nel sistematizzare la materia dei congedi, richiama l’art. 7 della legge n. 53 del 2000 al solo fine di consentire, durante i congedi parentali, l’anticipazione del trattamento di fine rapporto, senza alcun riferimento ad altri e diversi trattamenti (art. 5, d. lgs. n. 151/2001).


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4.         L’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione sembra difficilmente censurabile, soprattutto sul piano dell’interpretazione sistematica, che induce effettivamente a ritenere come l’art. 7 della legge n. 53 del 2000 non abbia inteso estendere al TFS – a legislazione generale “invariata” – l’intera disciplina delle anticipazioni prevista per il TFR, considerati anche i riflessi finanziari di tale estensione, che avrebbero meritato ben altre e specifiche previsioni.


            Anche sul piano letterale, è ragionevole ritenere che le “medesime disposizioni” estese dalla norma a trattamenti diversi da quello di fine rapporto non siano tutte le disposizioni in materia di anticipazioni, incluse quelle dell’art. 2120 Cod. Civ., ma soltanto quelle specifiche previste dalla medesima norma per le spese legate all’assistenza familiare.


            Tuttavia, sotto il profilo dell’interpretazione testuale, potrebbero residuare dubbi in merito al fatto che il TFS non rientri nelle “indennità equipollenti” al TFR indicate dall’art. 7 della legge n. 53 del 2000, considerato che, diversamente ragionando, non si comprenderebbe quali sarebbero i trattamenti del settore pubblico, “comunque denominati”, cui la norma avrebbe inteso estendere il diritto alle anticipazioni di cui sopra.


            Ad ogni modo, anche a voler ritenere che il TFS rientri nell’ambito applicativo del citato art. 7, l’effetto sarebbe quello di estendere ai dipendenti pubblici la possibilità di ottenere anticipazioni solo per spese legate ai congedi parentali, e non anche negli altri casi di cui all’art. 2120 Cod. Civ..


            Tale possibilità sarebbe, inoltre, subordinata all’approvazione del regolamento attuativo previsto dal medesimo art. 7 – che ad oggi non risulta ancora emanato – che dovrebbe necessariamente stabilire “i requisiti, i criteri e le modalità applicative” delle anticipazioni, che, nel settore privato, sono invece già contemplati dall’art. 2120 Cod. Civ..


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5.         In conclusione, la vigente disciplina dell’indennità di buonuscita non consente, in generale, di chiedere anticipazioni, tantomeno nelle ipotesi previste dall’art. 2120 Cod. Civ..


            Potrebbe invece ritenersi possibile chiedere anticipazioni legate alla fruizione dei congedi parentali di cui all’art. 7, comma 1, della legge n. 53 del 2000, ma tale possibilità, da un lato, appare condizionata all’approvazione di un regolamento attuativo che, allo stato, manca.


            Dall’altro lato, potrebbe comunque essere contestata in base all’interpretazione dell’art. 7 fornita dalla richiamata giurisprudenza di legittimità.


            Avv. Guido Rossi



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