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3 giugno 2010

Audizione Commissione Giustizia Camera su pene detentive

L'Anm è stata audita il 28 aprile 2010 in Comm.Giustizia della Camera dei Deputati sul disegno di legge inmateria di "Disposizioni relative alla esecuzione presso ildomicilio delle pene detentive non superiori ad un anno esospensione del procedimento con messa alla prova". In taleoccasione ha depositato un documento sul tema.


AUDIZIONE IN COMMISSIONE
GIUSTIZIA DELLA CAMERA

DEL 28 APRILE 2010 SUL DISEGNO DI LEGGE IN MATERIA DI "DISPOSIZIONI
RELATIVE ALLA ESECUZIONE PRESSO IL DOMICILIO DELLE PENE DETENTIVE
NON SUPERIORI AD UN ANNO E SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA
ALLA PROVA"





Il disegno di legge in discussione introduce con l'articolo 1 un
nuovo istituto denominato "Esecuzione delle pene detentive non
superiori a dodici mesi presso il domicilio".



La disposizione persegue il condivisibile obiettivo di incidere
sulla drammatica situazione di sovraffollamento degli istituti
penitenziari, mediante l'introduzione di una nuova misura
alternativa al carcere, anche se parzialmente sovrapponibile con
quella della detenzione domiciliare prevista dall'art. 47ter ord.
pen.

Le principali differenze rispetto a questo istituto sono le
seguenti:

- la pena da espiare non deve essere superiore ad un anno;

- sono esclusi i condannati per i delitti di cui all'art. 4bis e i
soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per
tendenza, ma non i recidivi ai sensi dell'art. 99 comma 4
c.p.
(esclusi invece sempre dalla applicazione della
detenzione domiciliare in ogni caso e, dopo la prima volta, da
tutti gli altri benefici);

- l'applicazione dell'istituto è sostanzialmente automatica, non
richiede un'istanza del condannato e non è prevista una valutazione
da parte del magistrato di sorveglianza sulla pericolosità in
concreto del condannato né sulla idoneità del domicilio.



La scelta di derogare al divieto di applicare benefici ai
recidivi ai sensi dell'art. 99 co. 4 c.p. appare condivisibile.
L'ANM ha già sottolineato come il divieto introdotto dalla legge n.
251 del 2005 (cd. Legge Cirielli) appare irragionevole ed è da
considerare, assieme alle modifiche dell'art. 656 c.p.p. (c.d.
legge Simeone/Saraceni), tra le cause principali del
sovraffollamento penitenziario. La recidiva prevista dall'art. 99
co. 4 c.p. non è, infatti, di per sé, indice di particolare
pericolosità. Basti pensare al paradosso per cui un soggetto che
avendo riportato, in giovane età, una condanna per furto e una per
lesioni, commetta molti anni dopo un altro reato, con riferimento
al quale sarà recidivo ai sensi dell'art. 99 co. 4 e non potrà
accedere alla detenzione domiciliare. Mentre un soggetto già
condannato una sola volta per rapina o per spaccio di
stupefacenti  che commetta anche a distanza di poco tempo
un'altra rapina o un altro spaccio potrà accedere, essendo recidivo
semplice, a tutti i benefici. Sarebbe consigliabile, pertanto, non
limitarsi ad introdurre una deroga a tale divieto solo per il nuovo
istituto, ma intervenire anche sui divieti posti dal comma 1.1
dell'art. 47ter o.p. e dal comma 7bis dell'art. 58 o.p., limitando
le cause ostative solo alle ipotesi di recidiva che siano realmente
indice di pericolosità.



Desta, invece, perplessità la scelta di sottrarre al magistrato
di sorveglianza ogni valutazione sulla idoneità della misura. Si
passerebbe cioè da un automatismo all'altro: oggi è vietato in ogni
caso, anche in assenza di pericolosità,  concedere la
detenzione domiciliare al recidivo di cui all'art. 99 co. 4, domani
sarebbe obbligatoria l'applicazione del nuovo istituto anche ad un
soggetto al quale siano state già rigettate istanze di applicazione
di benefici in quanto ritenuto, in concreto, pericoloso. 
Inoltre è esclusa ogni valutazione da parte del giudice in merito
alla idoneità del domicilio del condannato, per cui potrebbe
verificarsi l'applicazione della misura presso il domicilio
familiare anche del condannato per maltrattamenti o per violenze in
famiglia.



La norma, inoltre, dovrebbe essere meglio coordinata con le
previsioni di cui all'art. 656 c.p.p.. Nell'art. 1 del disegno di
legge si prevede, infatti, che in tutti i casi in cui si debba
eseguire una pena inferiore all'anno, e salve le eccezioni di cui
al comma 5, il pubblico ministero debba sospendere la pena.
Sembrerebbe, dunque, non applicabile, in questi casi, il comma 9
dell'art. 656 c.p.p.. Tale esclusione appare ragionevole per le
ipotesi previste dalla lettera a) (ferma restando l'esclusione dei
casi di cui all'art. 4bis) e dalla lettera c) del comma 9 dell'art.
656 c.p.p. Anche se sembrerebbe più ragionevole, piuttosto che
intervenire in via indiretta, rivedere le troppe, improprie,
eccezioni al regime di sospensione dell'ordine di carcerazione
introdotte dalle leggi successive. Non appare, invece,
condivisibile prevedere la scarcerazione del condannato che si
trovi in custodia cautelare in carcere al passaggio in giudicato
della sentenza (lettera b del comma 9 dell'art. 656), in quanto in
questi casi si tratta di soggetto sul quale esiste una prognosi
concreta di pericolosità sociale. Sarebbe, inoltre, necessario un
coordinamento con il comma 10 dell'art. 656 c.p.p. disciplinando
l'ipotesi del condannato che si trovi agli arresti domiciliari al
passaggio in giudicato della sentenza.



Appare, infine, necessaria una valutazione sull'impatto della
riforma sui Tribunali di sorveglianza, i quali nella fase
immediatamente successiva alla entrata in vigore della legge
saranno chiamati a far fronte, in un brevissimo termine, a oltre
diecimila istanze.



Gli articoli 3 e ss. del disegno di legge introducono l'istituto
della sospensione del procedimento con messa alla prova nei casi di
procedimenti per reati puniti con pena non superiore ai tre anni di
reclusione.

L'introduzione di un tale istituto per i reati meno gravi era stata
già proposta dalla ANM come strumento per deflazionare il
dibattimento e per ridurre gli eccessi di carcerazione per fatti di
minore gravità e per pene brevi. E' essenziale, però, che
l'introduzione dell'istituto sia tempestivamente accompagnata da
misure efficaci di dotazione delle strutture pubbliche di mezzi e
di professionalità idonei a rendere effettiva la misura e adeguati
i controlli sulla sua esecuzione. L'effettiva possibilità di
rendere concretamente applicabile l'istituto rappresenta una
condizione ineludibile senza la quale si rischia di condannare al
fallimento una misura di civiltà e di razionalità.




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