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4 giugno 2010

Appunto riforma intercettazioni richiesto da Comm. giustizia

Su richiesta della Commissione Giustizia della Camera deiDeputati, l'Anm ha depositato un appunto che riassume le proprievalutazioni sul tema della riforma delleintercettazione espresse in occasione delle diverseaudizioni presso le Comm. Giustizia della Camera e delSenato.


1. La necessità di una riforma per rimuovere i
punti di contrasto tra il sistema interno e gli standard
europei



Nel documento redatto in data 17 settembre 2008, l'Anm ha
evidenziato che non vi è ragione di lanciare alcun "allarme" per un
eccesso nell'uso delle intercettazioni, le quali costituiscono
spesso uno strumento investigativo indispensabile e irrinunciabile
per raccogliere elementi di prova in ordine a gravi
delitti. 



Un punto di sofferenza, invece, è rappresentato dal regime di
tutela della privacy, soprattutto delle persone estranee alle
indagini, che non appare adeguatamente assicurata dal codice del
1988. In particolare le norme attuali non prevedono un vincolo di
segretezza  per le intercettazioni di comunicazioni non
rilevanti per le indagini, che pertanto possono essere impunemente
(o quasi) diffuse e pubblicate.



Va notato, in particolare, che la procedura di distruzione delle
registrazioni, come regolata dall'art. 269 c.p.p., è
strutturalmente inidonea a prevenire la violazione dell'art 8 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo che, secondo la Corte
europea, vieta la pubblicazione di dati relativi a un soggetto
estraneo al processo che abbia manifestato l'intenzione di
mantenerli riservati.



In estrema sintesi, per allineare il sistema italiano ai
principi fissati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo con
riferimento al diritto alla privacy, occorre una riforma che
introduca le seguenti innovazioni:

a) il divieto di pubblicare il contenuto delle conversazioni
intercettate prima dell'esaurimento delle procedure finalizzate ad
escludere dagli atti processuali quelle irrilevanti e
pregiudizievoli per il diritto alla riservatezza;

b) la introduzione di incisivi strumenti di accertamento e di
sanzioni effettivamente dissuasive rispetto alle violazioni della
privacy commesse mediante la illecita pubblicazione di
intercettazioni;



2. Le valutazioni critiche dell'Anm sui progetti di
riforma: il rischio di smantellare le indagini sulla mafia e sul
terrorismo e di privare di effettiva tutela i diritti fondamentali
dei cittadini



Sempre nel documento redatto in data 17 settembre 2008, l'Anm ha
formulato le seguenti osservazioni critiche sui disegni di legge in
discussione in Commissione:



1) Sarebbe un grave errore ridurre l'elenco dei reati per i
quali è consentito il ricorso a questo strumento di investigazione;
e, allo stesso modo appare criticabile la previsione di un limite
massimo (di tre mesi) di durata delle operazioni di
intercettazione.



Verrebbe così sancita una drastica limitazione dell'uso di uno
strumento investigativo che si rivela sempre più importante in ogni
tipo di processi. Si tratta di un evidente paradosso: si proclama
la massima attenzione alla sicurezza ma contemporaneamente si
indeboliscono le possibilità di acquisire prove decisive per reati
che destano grave allarme sociale.



La fissazione di un termine massimo inderogabile di durata delle
intercettazioni risulta gravemente irragionevole. Si pensi ad
esempio ad una indagine per un sequestro di persona, che per
avventura si prolunghi oltre il termine fissato dal legislatore,
oppure ad una indagine in materia di traffico di armi, di
stupefacenti o di esseri umani, in cui gli indagati si accordino
per una consegna in epoca successiva  al termine massimo di
durata degli ascolti.



Al riguardo una soluzione equilibrata appare quella contenuta in
alcuni disegni di legge, secondo la quale la prosecuzione degli
ascolti oltre un certo termine richiede che siano emersi elementi
nuovi rispetto a quelli che avevano giustificato l'avvio delle
operazioni di captazione.



E' vero, peraltro, che tale limite non è stato previsto per i
delitti di terrorismo e criminalità organizzata, ma l'esperienza
insegna che le indagini in materia di criminalità organizzata
muovono spesso dai reati-fine (per molti dei quali l'ascolto non
sarà più possibile) che consentono di svelare un contesto più
ampio.

  



2) Inoltre, appare decisamente incongrua la scelta, contenuta
nel disegno di legge del Governo, di subordinare tutte le
intercettazioni ambientali al presupposto - prima previsto soltanto
per quelle effettuate in ambito domiciliare - della presenza di
fondati motivi che inducano a ravvisare lo svolgimento
dell'attività criminosa nel luogo in cui si realizza la captazione.
Con tale norma diventerebbe impossibile, ad esempio, sottoporre ad
intercettazione, negli uffici di polizia, le conversazioni tra
soggetti indagati per la commissione di un omicidio avvenuto poche
ore prima; oppure la intercettazione delle conversazioni dei
detenuti nelle sale colloqui o nelle celle. 



Tale disposizione si applicherebbe, peraltro, anche ai delitti
di criminalità organizzata e terrorismo. Particolarmente grave è,
al riguardo, la progettata abrogazione della disciplina speciale
introdotta per le intercettazioni ambientali relative a reati di
criminalità organizzata dall'art. 13 del decreto-legge 13 maggio
1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203: una
normativa, quest'ultima, che consente, in tale settore, di
effettuare le intercettazioni ambientali nell'ambito domiciliare
anche se non vi è motivo di ritenere che in esso si stia svolgendo
l'attività criminosa.



La suddetta previsione si è rivelata una vera e propria "carta
vincente" in moltissimi processi di mafia; è chiaro, infatti, che
un'organizzazione come "Cosa Nostra" affonda le sue radici in un
tessuto relazionale apparentemente "normale", su cui occorre
focalizzare le indagini se vi vuole fare sul serio nella lotta alla
mafia.



3) Appare, inoltre, irragionevole la completa assimilazione,
contenuta nel disegno di legge del Governo, della regolamentazione
delle videoriprese e dell'acquisizione dei tabulati alla disciplina
delle intercettazioni telefoniche e ambientali. I vincoli così
imposti travalicano di molto gli standard di tutela della
riservatezza richiesti dalla giurisprudenza della Corte europea. Al
riguardo appaiono condivisibili le indicazioni contenute in altri
disegni di legge all'esame della Commissione, che disciplinano,
graduando le forme di tutela,  la captazione di immagini
(questa appare la definizione maggiormente idonea sul piano
tecnico), distinguendo in particolare tra la ipotesi della
captazione di immagini in luoghi pubblici o aperti al pubblico
e quella della captazione di immagini in luoghi privati.



Dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo
emerge la necessità che gli Stati membri predispongano nel diritto
interno un sistema di investigazione e perseguimento dei reati
adeguato a far valere la violazione di determinati diritti
fondamentali, evitando casi di impunità: le autorità nazionali sono
tenute  a garantire l'effettiva applicazione, e non solo la
vigenza astratta, delle norme penali incriminatrici.



Tale obbligo internazionale resterà sicuramente inadempiuto in
presenza di una nuova disciplina che verrà ad escludere la
possibilità di avvalersi non solo dello strumento delle
intercettazioni, ma anche di quelli dell'acquisizione dei tabulati
telefonici e delle videoriprese, per reati come il sequestro di
persona o la violenza sessuale.



Forti dubbi di opportunità pongono, infine, le disposizioni
contenute nel disegno di legge governativo, in materia di
sostituzione del pubblico ministero titolare delle indagini. Si
tratta di disposizioni che  si prestano al rischio di
strumentalizzazione, anche in ragione del procedimento, piuttosto
sommario e non garantito, attraverso il quale dovrebbe avvenire la
preliminare verifica sulla fondatezza di una denuncia.





3. La proposta di ampliamento delle "intercettazioni
preventive"



L'Anm non condivide l'idea, emersa nel dibattito davanti alla
Commissione Giustizia, di estendere la sfera di applicazione delle
"intercettazioni preventive", rimesse all'autonoma determinazione
della polizia senza alcun controllo giurisdizionale, e non
utilizzabili come prove nel giudizio.



Una tale innovazione rappresenterebbe una grave compromissione
del diritto dei cittadini alla riservatezza. Le intercettazioni
preventive, infatti, per loro natura, richiedono presupposti e
limiti di gran lunga meno garantiti di quelli previsti per le
intercettazioni processuali. Ne deriverebbe dunque una rilevante
espansione del fenomeno delle intercettazioni con una drastica
riduzione delle garanzie poste attualmente a presidio del diritto
alla riservatezza delle  persone. E' fin troppo evidente,
infatti, che il diritto delle persone alla riservatezza subisce una
limitazione per il fatto di essere oggetto di intercettazioni delle
comunicazioni e non certo come conseguenza della utilizzabilità
delle stesse nel processo. 



4. Il problema irrisolto della tutela della
privacy



Come già evidenziato nel documento redatto in data 17 settembre
2008, l'ANM condivide pienamente l'esigenza di un regime più
rigoroso di tutela della privacy delle persone coinvolte nelle
attività di intercettazione, in particolare se estranee al reato
oggetto di indagini. Le conversazioni attinenti alla sfera privata
delle persone non rilevanti per le indagini non devono mai essere
diffuse e pubblicate. Le norme attuali, come già detto, non
garantiscono tale risultato.



Al riguardo appaiono condivisibili le disposizioni contenute in
alcuni disegni di legge che prevedono la istituzione di un archivio
riservato nel quale custodire le intercettazioni non rilevanti per
le indagini, sulle quali permane, a tutela della privacy delle
persone,  il vincolo del segreto con conseguente divieto di
diffusione e di pubblicazione.



Incongrue rispetto al fine perseguito appaiono, invece, le
disposizioni che vietano la pubblicazione, "anche parziale o per
riassunto o nel contenuto", di tutti gli atti delle indagini, anche
quelli non più coperti da segreto, prevedendo incisive sanzioni,
anche detentive, per i giornalisti e gli editori. Si tratta,
infatti, di previsioni che   finirebbero per ridurre
drasticamente, e irragionevolmente, il diritto di cronaca. Si
pensi, ad esempio, ad una indagine per omicidio  o per un
sequestro di persona, vicende sulle quali la stampa non potrebbe
legittimamente dare nessuna informazione al pubblico sullo sviluppo
delle indagini.



Una soluzione del genere comporterebbe un pregiudizio
irreparabile per il diritto di cronaca (art. 21 Cost.) e, di
conseguenza, per il diritto della collettività di controllare come
viene amministrata giustizia in suo nome (art. 101 Cost.).



Sotto questo profilo, la riforma si porrebbe in netta
contraddizione con le indicazioni tratte dalla giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell'uomo, che, nella recente sentenza
emessa il 7 giugno 2007 nel caso Dupuis contro Francia, ha
ravvisato una violazione del diritto alla libertà di espressione,
protetto dall'art. 10 della Convenzione, nell'ipotesi in cui un
giornalista sia condannato in sede penale per la pubblicazione di
materiale coperto dal segreto istruttorio, qualora la divulgazione
di tale materiale non possa arrecare un effettivo pregiudizio né
all'amministrazione della giustizia né alla presunzione di
innocenza dell'interessato, e serva a fornire - nel rispetto
dell'etica professionale - informazioni affidabili e precise su una
vicenda di interesse generale, che abbia formato oggetto di ampia
copertura mediatica.



Un intervento penale così concepito determinerebbe pertanto una
illegittima compressione del diritto alla libertà di espressione,
integrando una violazione dell'art. 10 della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo e dell'art. 21 della Costituzione.




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