Proposte in materia di decreto
correttivo ed integrativo al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n.
5, in attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti
nella legge delega n. 80/2005, secondo le disposizioni di cui alla
legge n. 12 luglio 2006, n. 228.
PREMESSA
Il sistema concorsuale italiano,
anche dopo l'intervento di cui al decreto legislativo 9
gennaio 2006, n. 5 così come seguito al decreto legge 14 marzo
2005, n. 35, evidenzia un preoccupante grado di frammentarietà. La
crisi dei soggetti economici, anacronisticamente circoscritta al
solo fenomeno dell'impresa commerciale, appare suddivisa per aree
di stretta competenza dell'autorità amministrativa ovvero di
riserva giurisdizionale, mentre altre zone sono a competenza mista.
Il rilievo dato alla giurisdizione, a sua volta, espone ulteriori
criticità nel comparto delle esecuzioni individuali, cui è
rimessa in modo insoddisfacente una funzione di riorganizzazione
della sempre più ampia zona di immunità fallimentare, notevolmente
ampliata con la novella entrata in vigore il 16 luglio 2006.
L'erosione, nella procedura
fallimentare riformata, del controllo di legalità della
magistratura a fronte degli accresciuti poteri dei creditori, la
scomparsa del merito tra le condizioni di accesso ai nuovi
concordati ed il sostanziale azzeramento delle azioni revocatorie,
non hanno trovato dunque misure in grado di assecondare il bisogno
di riorganizzazione finanziaria di altri soggetti economici minori,
oggi estranei alla concorsualità.
La linea di evidente controtendenza
assunta dal legislatore italiano, che ancora non si è occupato né
di insolvenza civile e dei consumatori né di una unificazione
dell'insolvenza dell'impresa avanti al giudice ordinario,
potrà essere solo tenuemente corretta mediante il nuovo
esercizio della delega con cui, con la legge n. 228 del 2006,
il Governo ha la possibilità di portare a compimento tale
prima parte del processo riformatore.
La scadenza del 16 luglio 2007 si
sta peraltro approssimando senza che vi sia stato modo di discutere
di alcun progetto correttivo della riforma del 2006.
Nel programma dell'Unione,
l'attuale maggioranza, con riguardo al vigente decreto legislativo
di riforma fallimentare, auspicandone l'azzeramento sottolineava
che esso "danneggia i creditori deboli rispetto a quelli forti,
indebolisce il controllo giurisdizionale nelle procedure, sceglie
come rito ordinario delle controversie fallimentari il rito
camerale vigente, del tutto inadeguato in relazione alla
delicatezza delle questioni da trattare, sottrae al fallimento il
70 per cento delle piccole imprese ed indebolisce,fino ad
annullarlo, il rischio di impresa, pregiudicando così le capacità
competitive del sistema".
Si tratta di un'analisi che si
accompagnò alla maggior parte delle ricostruzioni della scienza
giuridica, al parere critico del Csm, ad alcuni rilievi dell'Oua,
alla serrata contestazione delle organizzazioni dei professionisti
operanti nel settore (come il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei
Dottori Commercialisti), ai documenti ed alle proposte della stessa
Anm, rese note anche al Parlamento nel corso delle audizioni alle
Commissioni Giustizia e Bilancio della Camera (25 ottobre
2005).
La scelta dell'attuale maggioranza,
limitata ad una mera riapertura dei termini per la delega ed in
funzione di una correzione del decreto di riforma, sembra in
palese contrasto sia con le posizioni politiche e giuridiche
precedenti sia con una seria possibilità di ricostruire all'insegna
dell'organicità il sistema concorsuale. Nel quale, tra l'altro,
restano come variabili non indipendenti e prive di un'osservazione
specifica anche le aree dei comportamenti delittuosi, in parte non
aggiornate ed in altra parte portatrici di un bisogno di
riscrittura profonda per la novità degli istituti introdotti senza
alcuna discussione e con la scelta dell'urgenza con il d.l. 35/2005
(ad es. nella materia dei concordati).
Un parziale recupero della
riflessione più approfondita nel frattempo maturata nella scienza
giuridica e la concreta possibilità di rimediare almeno alle più
vistose storture emerse nelle prassi applicative possono comunque
essere perseguiti immediatamente, esercitando tempestivamente la
delega e, in punto di metodo, assicurando un costruttivo confronto
con l'esperienza e la capacità di proposta che dalla magistratura
vengono offerti al dibattito.
In attesa di un ridisegno organico,
con una nuova legge delega, del sistema concorsuale, va
innanzitutto contrastata, come osservato da autorevoli giuristi,
ordini ed associazioni delle libere professioni, l'idea che una
privatizzazione della gestione dei conflitti in materia di
insolvenza possa assumere efficacia per tutti senza che siano
strutturati adeguati mezzi istruttori idonei ad
acquisire le necessarie informazioni per un pieno e consapevole
esame nel merito degli atti, al fine di scoraggiare disparità di
trattamento e comportamenti elusivi.
L'esperienza di questo primo
biennio ha poi sfatato l'errata convinzione che il principio di
terzietà imponga l'arretramento del giudice nella
gestione della crisi d'impresa verso un ruolo essenzialmente di
controllore della regolarità procedurale: nel nostro ordinamento la
mancanza di procedure di allerta e prevenzione lascia alla sola
iniziativa dei privati l'emersione della crisi e
dell'insolvenza e allontana una sua trattazione giudiziale
idonea al recupero delle realtà ancora dinamiche.
In questa ottica, l'arretramento
della giurisdizione, senza accogliere alcuna esperienza delle
prassi virtuose costruite dalla giurisprudenza civile e penale
insieme agli esperti professionisti (dottori commercialisti e
ragionieri, oltre che avvocati), che pure avevano indicato modelli
più efficienti, non ha affatto incrementato l'efficienza delle
procedure, tuttora tardivamente avviate.
Su alcuni punti del decreto
legislativo in corso di possibile correzione, l'Anm chiede
particolare attenzione, proprio al fine di contribuire a segnalare
l'inefficienza di soluzioni normative in cui è già registrabile una
grave caduta delle garanzie che i controlli giurisdizionali, in
posizione di indipendenza, ora assicurano alle diverse posizioni in
conflitto nel mercato.
Di seguito alcuni punti tratti
dall'allegato documento di proposta dell'Anm.
- La ridefinizione della
nozione di piccolo imprenditore, auspicata dalla
magistratura e spesso segnalata come bisogno di chiarezza dal Csm
nella sua attività di formazione, si è riferita a dimensioni
economiche eccessivamente elevate, pregiudicando proprio l'accesso
a quegli strumenti innovativi di soluzione alternativa alla crisi
introdotti sin dal D.L. n. 35/2005. Tra l'altro, la riduzione
dell'area della fallibilità (in certi uffici pari al 90%) ha
aumentato l'impatto sulle procedure esecutive individuali, ove la
negoziazione generale dell'insolvenza è di fatto preclusa, così
spostando di fatto il carico giudiziario da un ufficio all'altro.
L'art. 1 restringe oltremodo l'area della fallibilità con
riferimento al valore degli investimenti e dei ricavi lordi
calcolati sulla media degli ultimi tre anni, che sono parametri
oltre tutto legati ad un modello di impresa ordinata e che, da
soli, sembrano non rispecchiare adeguatamente l'effettiva capacità
imprenditoriale. Inoltre si è dimostrata fonte di controverse
interpretazioni la costruzione in negativo della nozione di piccola
impresa, con nodi irrisolti quanto alla distribuzione dell'onere
della prova ed al ricorso alla figura civilistica di cui
all'art.2083 c.c. Per questo si propone di definire positivamente
la figura di chi va esente dal fallimento, aggiungendo altresì la
contestuale obbligatoria sussistenza anche di un limite
occupazionale e dell'indebitamento sotto i quali potrebbe scattare
la presunzione di piccolo imprenditore. Si propone poi di poter
prescindere da una parte di detti limiti se è lo stesso debitore a
chiedere il fallimento o i concordati, in una prospettiva di
stimolato accesso degli imprenditori alle procedure concorsuali su
base volontaria.
- L'iniziativa pubblica
nell'accertamento dell'insolvenza: va assicurato
al pubblico ministero, parte pubblica titolare dell'iniziativa per
l'apertura dell'istruttoria prefallimentare, la possibilità di
proseguire tale processo se l'insolvenza sia conclamata e pur
tuttavia i creditori istanti abbiano rinunciato al ricorso privato,
salvo un limitato ripristino dell'iniziativa dell'ufficio nei
termini e con le modalità che già Corte Costituzionale 240/2003
aveva fissato.
- L'ampliamento delle
competenze del comitato dei creditori a scapito
del ruolo di garanzia e delle competenze tecnico-giuridiche del
giudice: tale scelta ha introdotto il rischio di posizioni di
stabile conflitto di interessi e non si concilia con la necessaria
imparzialità che gli organi della procedura devono avere, né si
spiega come fattore di accelerazione gestoria, data la macchinosità
del suo funzionamento. La riforma attua in tal modo, infatti, uno
spostamento deciso dei poteri di gestione e del controllo, di
merito e di legalità. Va così posto rimedio ad un'incomprensibile
limitazione del sindacato giurisdizionale avverso gli atti del
giudice delegato (artt. 22 e 36 del d.lgs.) e quelli del curatore e
del comitato dei creditori (art. 36), assicurando una verifica di
merito ad entrambe le categorie. Vanno poi precisati i confini
della responsabilità dei componenti.
- Il principale organo di gestione,
il curatore, ora assoggettato alle direttive ed
alle autorizzazioni del comitato dei creditori, deve a sua volta
subire la sfiducia motivata di una maggioranza più qualificata dei
creditori che lo emancipi da situazioni di sudditanza (art.37
bis), così ricostituendo in modo coerente anche i poteri che la
stessa figura di pubblico ufficiale deve esprimere nella delicata
attività di accertamento del passivo. Resta fermo il dissenso
dell'A.N.M. da una comunitarizzazione dei creditori che ha
riportato il nostro sistema ad un assetto anteriore a quello del
codice di commercio della fine dell'800 e così esprimendo un'idea
di stampo autoritario, in quanto mutua dallo schema maggioritario
della formazione della volontà politica una razionalità decisoria
che non può, per diversa provenienza degli interessi, accostare
elettori di assemblee rappresentative e creditori di soggetti
insolventi.
- L'estensione della
funzione di curatore a non professionisti: consentire
anche a soggetti privi di un sicuro e predeterminabile profilo
professionale di ricoprire una pubblica funzione è uno degli
aspetti meno condivisibili della riforma, rimediabile in parte se
almeno si valorizza un'esperienza verificabile di gestione di
patrimoni altrui in società aperte a più penetranti controlli del
mercato; la valorizzazione dello statuto di indipendenza e di
competenza tecnica offerto dagli iscritti agli albi e perseguito
nella collaborazione efficiente con la magistratura va poi, in
linea con quanto già si prevede per tali professioni in delicati
compiti di certificazione, collegato ad un requisito di esperienza
minimo.
- Le nuove incompatibilità
delle funzioni giurisdizionali con quelle ordinarie del
giudice delegato: la riduzione della natura direttiva del ruolo del
giudice delegato mal si concilia con la presunzione assoluta di non
terzietà che viene introdotta quale divieto di svolgere le funzioni
su materie che, nella procedura o in giudizi collaterali, vengano
trattate in modo autonomo (art. 25 co. 2). In ogni caso, tale
previsione presuppone giudici specializzati ed in numero tale da
evitare la paralisi dei piccoli tribunali, cioè dei due terzi
del sistema giudiziario italiano, ove oggi solo un magistrato si
occupa di tali funzioni e non invece almeno quattro, come sarebbe
necessario per un funzionamento collegiale efficiente. Viceversa,
si omette di fornire ai tribunali la benché minima dotazione
organizzativa. Il mantenimento delle attuali circoscrizioni
giudiziarie, l'accantonamento delle prime proposte legislative
sulle sezioni specializzate ed il su indicato innalzamento dei
criteri delle incompatibilità, accentuano l'esigenza di giudici
esperti della materia nel medesimo ufficio, anche il più piccolo.
In ogni caso, nessun potere effettivo di controllo nel merito può
essere esercitato dal giudice se non recuperando competenze dirette
nell'iter perfezionativo di atti che siano concretamente idonei a
definire gli assetti della procedura (art.35) ovvero a condizionare
il rapporto fiduciario con gli altri organi di nomina
giudiziale(art.25).
- L'accertamento del
passivo: vanno riorganizzati alcuni passaggi di garanzia
sia per l'attività di comunicazione del fallimento ai creditori sia
per permettere l'effettività del contraddittorio tra i creditori e
con il curatore; si propone poi di utilizzare anche le risultanze
del progetto di stato passivo in quei casi in cui non sussistano le
condizioni per completare il procedimento di verifica, così non
frustrando attività preparatorie comunque già espletate.
- Il concordato
fallimentare: il mantenimento di tale istituto (artt. 124
s.), ancora a disposizione del fallito e nonostante l'insuccesso di
eventuali tentativi anteriori di soluzione concordatizia, smentisce
la proclamata volontà di anticipare la crisi dell'impresa. La
sopravvivenza di esso - come notato anche dalle professioni
ordinistiche, secondo la critica del Consiglio Nazionale dei
Dottori Commercialisti - espone i curatori ad inammissibili poteri
di interdizione, spesso oggi esercitati dai falliti soprattutto
nelle operazioni di vendita e nella liquidazione, con rallentamento
delle operazioni del curatore e delegittimazione del suo ruolo e,
soprattutto, grave pregiudizio per i creditori. Il concordato
fallimentare non può essere uno strumento a disposizione del
fallito che arriva tardi al fallimento. Per questo l'Anm suggerisce
una proposta alternativa che potrebbe essere quella di permettere
al fallito di richiedere il concordato fallimentare solo dopo un
anno dall'esecutività dello stato passivo. Si suggerisce altresì
che sia il tribunale ad apprezzare, motivatamente, il merito della
proposte di concordato quando siano più, una prassi già rinvenuta
nei tribunali e fonte di pericolose sovrapposizioni di iniziative
esterne, talora all'evidenza volte ad inquinare un corretto iter di
organizzazione della liquidazione.
- L'esdebitazione dei
falliti: la novità dell'istituto (art. 142) è fortemente
attenuata sia dal suo riferirsi solo alle persone fisiche (che, di
fatto e come previsto, falliscono in numero minore), sia dal
mancato coinvolgimento, all'opposto, delle centinaia di insolvenze
dei consumatori che oramai, gestite nei processi più disparati e
dunque senza possibilità giuridica di coordinamento, reclamano una
sede concorsuale al fenomeno economico, diffuso negli ordinamenti
occidentali, del sovra indebitamento familiare e da credito al
consumo. Ciò vale soprattutto per i garanti dei debiti delle
imprese, che continueranno a subire le esecuzioni individuali senza
alcuna prospettiva di liberazione. Per essi dunque si propone
l'estensione selettiva del beneficio. Pur tenendo conto poi che,
sul punto, la legge delega è assai specifica, l'Anm osserva che la
locuzione "debiti residui" dovrebbe essere resa più chiara in sede
di decreto delegato correttivo, potendo significare che almeno i
creditori privilegiati portatori di interessi non sormontabili (per
valutazione della legislazione sociale) siano stati soddisfatti,
almeno in parte.
In conclusione, pur essendo
innegabile e da lungo tempo attesa una profonda riforma delle
procedure fallimentari, così da renderle più moderne ed efficaci,
l'esperienza ha già dimostrato che le soluzioni adottate non si
sono rivelate realmente idonee allo scopo, né può dirsi che esse
garantiscano un mercato funzionale e tutele effettive per i
soggetti colpiti dalle sue fisiologiche distorsioni.
In attesa di una diversa ed
autentica riforma organica, è dunque urgente un intervento che
argini l'allontanamento degli operatori economici dalla
giurisdizione, un fenomeno che comunque richiede concorrenti rimedi
strutturali capaci di incidere sugli snodi organizzativi del
processo civile e penale.