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18 giugno 2010

Sul disegno di legge governativo sulla giustizia penale

Il recente disegno di legge sul sistema penale, varato dalGoverno, incide su alcuni istituti di natura sostanziale eprocessuale con il dichiarato obiettivo di offrire ai cittadini"decisioni nel merito" in tempi ragionevoli, secondo le espliciteindicazioni dell'art 111 della Carta costituzionale, senzarinunciare alle garanzie.


Il recente disegno di legge sul
sistema penale, varato dal Governo, incide su alcuni istituti di
natura sostanziale e processuale con il dichiarato obiettivo di
offrire ai cittadini "decisioni nel merito" in tempi
ragionevoli, secondo le esplicite indicazioni dell'art 111 della
Carta costituzionale, senza rinunciare alle garanzie.



Appare condivisibile la scelta di
intervenire in tempi rapidi per offrire una risposta immediata ai
problemi più urgenti ed ad alcuni guasti causati da precedenti
scelte legislative indotte da spinte emotive o semplicemente
congiunturali. L'Anm, infatti, in numerose occasioni, ha
sottolineato l'urgenza di apportare modifiche processuali e
sostanziali orientate a snellire il processo penale tenendo conto
anche delle limitate risorse attualmente disponibili.



Resta comunque sullo sfondo
l'esigenza di un disegno organico di riforma, peraltro auspicato
dagli studiosi più autorevoli, che operi non solo sul versante
sostanziale e su quello processuale, ma anche in materia di
ordinamento e di organizzazione della macchina giudiziaria.



In via generale, dal disegno di
legge affiora una convinzione di fondo che l'Anm ritiene
condivisibile: la riforma di importanti snodi del processo penale
si ritiene possa funzionare da fattore di spinta al rinnovamento
culturale delle prassi. Le esigenze di "accelerazione" e
"razionalizzazione" vengono interpretate come "condizione di
efficienza" di una struttura (quella processuale) servente rispetto
a due valori sovra-ordinati e irrinunciabili quali la funzione
cognitiva (ossia la "capacità di accertamento dei fatti pur nella
inevitabile fallibilità del metodo") e la tutela della garanzie
costituzionali ("dal contraddittorio all'imparzialità del giudice,
dal diritto alla difesa alla presunzione di non colpevolezza").



Nel merito del provvedimento sono
certamente da apprezzare alcuni interventi diretti a razionalizzare
le procedure, a contrastare alcune forme di abuso del processo, a
velocizzarne l'iter.



In questa direzione si iscrivono
tra le altre: la nuova disciplina della risoluzione preventiva
delle questioni di competenza, che mira ad evitare che i relativi
vizi, se mai rilevati o eccepiti, possano pregiudicare processi
spesso già pervenuti alla sentenza di secondo grado; alcune più
efficienti modalità di notificazione degli atti, che porrebbero
finalmente il processo al passo con i più moderni mezzi di
comunicazione; l'abolizione, per la decisione sulla proroga delle
indagini, di forme di contraddittorio sproporzionate alle effettive
necessità operative e la loro sostituzione con più appropriati e
meno dispendiosi strumenti di confronto tra le parti; la
razionalizzazione della disciplina dell'archiviazione; la
disciplina del giudizio abbreviato per i reati di competenza della
Corte di Assise, opportunamente da svolgersi avanti quel giudice e
non avanti il G.U.P.; la limitazione dei casi di notifica
dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari; il migliore
dimensionamento della sanzione di inutilizzabilità; la
generalizzazione della disciplina della lettura degli atti ex art.
190 bis c.p.p.



Va espressa una valutazione
favorevole anche con riguardo alle modifiche in tema di contumacia,
che riprendono elaborazioni e proposte più volte avanzate dall'Anm.
La riforma affronta [finalmente] in maniera razionale e non
estemporanea le questioni poste dalle numerose sentenze di condanna
della Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dell'Italia
e le ricadute di tali pronunce sui recenti orientamenti della Corte
di cassazione. Al fine di evitare processi inutili, lo svolgimento
del processo viene subordinato alla effettiva conoscenza dello
stesso da parte dell'imputato, altrimenti deve essere sospeso. Sono
previste eccezioni a tale regola generale ma viene fatta salva la
possibilità di una remissione in termini a favore
dell'imputato.



Infine, sotto il profilo della
accelerazione dei tempi di svolgimento del giudizio, la previsione
della c.d. "udienza di programma" rappresenta un passo avanti che
sollecita un adeguamento dei progetti organizzativi degli uffici e
degli stili professionali della magistratura e della
avvocatura.



La soluzione appare come una sorta
di indiretto riconoscimento della filosofia dei "protocolli di
udienza", da tempo promossi dall'Anm e adottati da varie realtà
giudiziarie dopo un costruttivo confronto tra le varie figure
professionali che operano nel processo (magistrati giudicanti,
requirenti, avvocati, personale ausiliario).



Insomma viene promossa una opzione
che si fonda sul convincimento secondo cui l'udienza penale non è
terreno di affermazione di una forma di potere del giudice su
avvocati, testimoni, persone offese o imputati; ma, semmai,
costituisce un delicato strumento finalizzato all'ordinato
svolgimento dei lavori, da utilizzare con particolare attenzione
verso le esigenze del cittadino fruitore del servizio.

Da valutare positivamente anche l'abolizione dell'istituto del cd.
"patteggiamento in appello", istituto inutile dal punto di vista
deflattivo e foriero di gravi iniquità soprattutto in caso di
cumulo dei benefici di riti alternativi.



Nel loro complesso le innovazioni
da introdurre sul piano processuale, per quanto circoscritte e non
certo esaustive, appaiono comunque in grado di contribuire
concretamente a rendere lo svolgimento del procedimento penale più
rapido e certo.



Sul piano penal-sostanziale, il
disegno di legge elimina alcune delle più gravi distorsioni
introdotte in materia di recidiva e di prescrizione dalla legge n.
251 del 2005 (c.d. ex Cirielli) più volte denunciate dall'Anm.



La disciplina proposta dal disegno
di legge valorizza, nuovamente, la discrezionalità (vincolata) del
giudice, che il legislatore del 2005 pretendeva di eliminare, in
quanto ritenuta fonte di indebolimento della certezza del diritto
e  di un "immotivato indulgenzialismo giurisprudenziale"
suscettibile di affievolire (fino ad azzerare) la forza dissuasiva
della norma penale.



L'abolizione degli aumenti di pena
fissi per la recidiva e il ripristino della facoltà del giudice di
riconoscere la prevalenza delle circostanze attenuanti accredita
l'esigenza, costituzionalmente condivisibile (art. 3 Cost.), di
garantire ambiti di ragionevole differenziazione nel trattamento di
situazioni in concreto diverse. D'altra parte la stessa finalità
rieducativa che la pena deve assumere ai sensi dell'art 27 comma 3
Cost. postula a sua volta, come corollario, la necessità che il
giudice possa adeguare la pena alla gravità del fatto e alla
personalità del reo, come hanno avuto modo di ribadire in più
occasioni anche i giudici delle leggi.



Siamo di fronte ad una
condivisibile presa d'atto della impossibilità di fissare in linea
generale e astratta tutte le sfumature di valore e disvalore del
singolo episodio criminoso, e della necessità di delegare al
giudice la valutazione di tutti gli aspetti del fatto rilevanti ai
fini di un trattamento penale sufficientemente
individualizzato.



Pur nel generale apprezzamento del
progetto di riforma approvato dal Consiglio dei ministri, l'Anm non
può non sottolineare come manchino alcuni interventi di particolare
rilievo, che pure erano contenuti in alcune bozze diffuse nella
fase precedente.



Ad esempio, in tema di abuso del
processo, nel testo approvato non sono state più inserite le
modifiche in materia di nullità processuali, dirette a stabilire
che esse debbano essere tempestivamente denunziate e non tenute in
serbo per farle valere nella fase di epilogo del processo.



Inoltre si registra una
"retromarcia" sullo  strumento deflattivo della irrilevanza
penale del fatto (già presente in specifici settori
dell'ordinamento), che, ove ben calibrato, avrebbe consentito di
non proseguire iniziative giudiziarie per reati di marginale
offensività.



Avrebbe meritato attuazione anche
l'idea di ampliare significativamente la possibilità di assumere la
prova in contraddittorio nel corso delle indagini mediante
incidente probatorio.



Ancora va rimarcato che si è persa
l'occasione di rivisitare l'istituto della prescrizione rivalutando
il profilo della inerzia come elemento qualificante per
l'operatività dell'istituto.



In questa ottica sarebbe stato
opportuno prevedere, così come avviene per il giudizio di
legittimità, che anche nella fase di appello la decorrenza del
termine sia legata alla attività processuale del P.M. espressione
della attualità della pretesa punitiva dello Stato.



Infine non può ignorarsi che la
novella determinerà la vigenza di tre differenti regimi concorrenti
con enormi difficoltà di gestione dei processi specie di quelli con
più imputati tale considerazione impone l'adozione di una
articolata disciplina transitoria che senza incidere sul principio
di uguaglianza assicuri la razionale gestione del processo.




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