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dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

18 giugno 2010

Anm sulla relazione Castelli: una valutazione critica

L'Anm esprime una valutazione critica sula Relazione delMinistro Castelli che appare elusiva dei problemi dellagiustizia, dedicata per gran parte a inutili polemiche, inadeguatanell'indicare le soluzioni necessarie per una effettivariorganizzazione del Ministero e degli uffici, e, quindi, perridurre i tempi dei processi ad una ragionevole durata.


Ai sensi dell'art. 86 Ord. Giud.,
come modificato dalla l. n. 150 del 2005, entro il ventesimo giorno
dalla data di inizio di ciascun anno giudiziario, il Ministro della
giustizia deve rendere comunicazioni alle Camere
sull'amministrazione della giustizia nel precedente anno nonché
sugli interventi da adottare ai sensi dell'articolo 110 della
Costituzione e sugli orientamenti e i programmi legislativi del
Governo in materia di giustizia per l'anno in corso.



Il Ministro Castelli, nella prima
attuazione di tale disposizione, ha redatto una Relazione nella
quale sostanzialmente ha eluso tale obbligo: si è dilungato sui
rapporti tra magistratura e politica, riservando poche parole
all'analisi degli interventi effettuati in materia di
organizzazione e funzionamento dei servizi giudiziari, che è il
compito che la Costituzione gli affida in via preminente, e non ha
dedicato nemmeno un rigo alla parte programmatica in questo
settore. Prendono così corpo i timori che l'Anm aveva espresso in
relazione a questa disposizione sin dalla sua formulazione, così
come modificata a seguito del rilievo di palese incostituzionalità
della precedente versione contenuta nel messaggio di rinvio alle
Camere del testo originariamente approvato.



Infatti, nella Relazione si può
facilmente individuare un filo conduttore, costituito dalla palese
svalutazione del ruolo della giurisdizione nel quadro istituzionale
e nella contrapposizione pregiudiziale nei confronti della
magistratura, indicata al Paese come causa delle disfunzioni della
giustizia. In particolare, viene orgogliosamente riaffermato che
l'approvazione della riforma dell'Ordinamento Giudiziario ha avuto
come scopo quello di ribadire la centralità del Parlamento rispetto
alle critiche rivolte al progetto di legge da parte della
magistratura associata, peraltro in questo confortata dal parere
della migliore dottrina giuridica.



La logica conseguenza è stata la
assoluta mancata considerazione delle proposte e delle osservazioni
dell'Anm: l'importante era legiferare in modo contrario a quello
auspicato dalla magistratura, perfino a prescindere dal merito, per
dare un preciso segnale al Paese. Si confondono, all'evidenza, i
piani di discussione, e si conferma il carattere rancoroso della
riforma, dettata non per migliorare la funzionalità del servizio
giudiziario e per adeguare alla Costituzione lo statuto del
magistrato, ma per "punire" una magistratura che aveva avuto
l'ardire di pretendere di applicare la legge in modo eguale nei
confronti di tutti.



Il risultato - e non poteva essere
altrimenti, viste le premesse - è una riforma chiaramente lesiva
delle disposizioni costituzionali poste a garanzia
dell'indipendenza e della autonomia della magistratura. Quindi, non
una riforma "per", ma una riforma "contro".



Il Ministro dedica una lunga parte
della relazione alle intercettazioni telefoniche. Particolarmente
grave in questa parte è l'affermazione secondo la quale i
magistrati, in combutta con i giornalisti, utilizzerebbero la
divulgazione illecita delle risultanze delle intercettazioni per
squalificare i soggetti che vi sono coinvolti, ed in particolare i
politici, ed anzi, poiché  è comunque necessario
commettere un reato, e allora, per evitare ciò, oggi si assiste
all'uso di un altro strumento di squalifica più raffinato in quanto
formalmente legittimo. Per un qualunque procedimento infatti, la
motivazione è redatta ad libitum dell'estensore, che può
alternativamente depositare tutto il materiale relativo alle
intercettazioni, oppure depositare soltanto quelle parti di cui ha
deciso di avvalersi in sede di motivazione, citando conversazioni,
parti delle stesse o addirittura riassunti
.



Si insinua, cioè, che giudici e
pubblici ministeri distorcono dolosamente la loro funzione allo
scopo di denigrare i soggetti coinvolti nei procedimenti penali
loro affidati, non si capisce bene per quali reconditi disegni. Si
tratta di asserzioni gravissime, prive di fondamento fattuale, e
che nella loro genericità impediscono qualsiasi difesa argomentata.
E' opportuno ricordare che il deposito degli atti relativi alle
intercettazioni e la loro indicazione, come elementi di carico,
nella motivazione dei provvedimenti giudiziari - in particolare in
quelli cautelari - sono previsti dalla legge a tutela del diritto
di difesa costituzionalmente garantito.

La divulgazione illecita delle intercettazioni telefoniche è un
reato e come tale va perseguito, chiunque lo commetta. L'attuale
normativa obbliga al deposito di tutti gli atti relativi alle
intercettazioni, e le relative disposizioni potrebbero essere
modificate, a maggior tutela del diritto alla riservatezza 
dei soggetti casualmente coinvolti nelle intercettazioni, nonché
degli stessi indagati, se le risultanze delle misure non sono utili
ai fini delle indagini. Non è però consentito accusare
genericamente i magistrati di slealtà istituzionale, così
delegittimandone la funzione di fronte all'opinione pubblica.



Per quanto riguarda la eccessiva
durata dei processi, giustamente indicata come il maggior problema
della giustizia, il Ministro si limita ad elencare una serie di
dati che, in assenza di una analisi delle cause dei fenomeni che li
determinano e dell'indicazione delle soluzioni organizzative e
normative necessarie, appaiono sostanzialmente inutili.



Per quanto riguarda il bilancio
dello Stato in materia di giustizia, risulta confermato che esso
non è aumentato affatto negli ultimi anni rispetto al PIL, ed anzi,
dato l'enorme aumento delle spese obbligatorie, risulta evidente
che la parte variabile, che dovrebbe essere dedicata alle esigenze
degli uffici, è in costante e notevole contrazione. Viene indicato
come obiettivo quello di "più magistrati e meno personale
amministrativo", e rivendicata a proprio merito la diminuzione
degli addetti alle cancellerie, di cui gli uffici sentono il peso
in termini di inefficienza. In primo luogo, il Ministro non ha
nemmeno operato coerentemente a tale obiettivo, dato che i concorsi
per uditore giudiziario sono in enorme ritardo rispetto ai tempi
programmati. Ma esso è comunque frutto di una prospettiva errata:
l'aumento del numero dei magistrati non apporta alcun miglioramento
alla resa di giustizia, se non viene supportato da adeguate risorse
umane e materiali, in particolare tecnologiche, tali da consentire
un cambiamento favorevole nella capacità di smaltimento del lavoro.
Dalle intenzioni declamate del Ministro si comprende l'abbandono
della prospettiva dell'ufficio del giudice, o meglio dell'ufficio
per il processo, che potrebbe invece apportare un effettivo
miglioramento alle capacità operative degli uffici. Gravissima
appare l'omissione di qualsiasi riferimento ai problemi del
personale, ed in particolare alla loro riqualificazione
professionale.



Nella parte relativa agli
interventi organizzativi, il Ministro lamenta l'impossibilità di
ricorrere ancor più a consulenze esterne, mentre non risultano
adeguatamente utilizzate, e anzi vengono continuamente mortificate,
le pur esistenti risorse interne all'Amministrazione. Viene, poi,
rivendicato il raggiungimento dell'obiettivo di dotare ogni
magistrato di un personal computer. Dimentica il Ministro che ormai
da anni tali attrezzature non vengono rinnovate, risultando così
obsolete, e che non vengono sostituite in caso di rottura. Ma,
fatto ancor più grave, viene nascosta la enorme contrazione delle
risorse relative all'informatica: è proprio di questi giorni la
notizia di una drastica riduzione anche dei fondi relativi alla
manutenzione, che di fatto rende inutilizzabile in molte sedi
l'assistenza sistemistica. In sostanza, diventa impossibile la
gestione delle macchine e dei programmi. Il Ministro non dice
nemmeno che gli applicativi in uso non vengono sviluppati, e che
non vengono adottati quelli che sarebbero necessari. Ed è noto che
il software non aggiornato diventa presto obsoleto e di fatto
inutilizzabile.



Vengono magnificati il processo
civile telematico ed il cd. Cruscotto per le rilevazioni
statistiche, che invece sono ancora nella fase sperimentale, 
ormai da anni, senza alcuna possibilità di concreta applicazione,
data la carenza di fondi.



Per quanto riguarda l'attività
legislativa, il Ministro innanzitutto dimentica le molte leggi che
non solo non hanno apportato miglioramenti al funzionamento della
giustizia, ma anzi hanno reso più difficoltosa la gestione dei
processi. Per quanto riguarda le leggi ritenute più importanti, la
riforma del diritto societario si sta rivelando quanto agli aspetti
processuali, tutt'altro che positiva.



La sostanziale depenalizzazione del
reato di falso in bilancio è ora messa in discussione, e si sta
pensando ad una sua reintroduzione. La legge n. 44 del 2002 sul
funzionamento del C.S.M. è stata definita pessima da tutti gli
operatori, ed autorevoli esponenti della stessa maggioranza di
governo ne hanno duramente criticato gli effetti. In particolare,
la riduzione dei componenti del C.S.M. da 30 a 24 ha determinato
una consistente perdita di efficienza dell'organo. La l. n. 80 del
2005 contiene la riforma del diritto fallimentare, che presenta
aspetti che destano notevole preoccupazione.



Le norme sul processo civile e
sulle esecuzioni sono state modificate diverse volte, in una
confusione normativa tale che lo stesso legislatore è dovuto
intervenire con decreto legge per prorogarne l'entrata in
efficacia, mentre sono ancora in discussione in Parlamento
ulteriori modifiche. La legge di riforma dell'ordinamento
giudiziario è ingestibile e per larghi versi incostituzionale, e
costituisce un ritorno ad un sistema gerarchico e piramidale
dell'organizzazione giudiziaria che tradisce lo spirito, prima
ancora che le singole disposizioni, della Carta Fondamentale.



Il Ministro nella Relazione dà atto
- bontà sua - che la riduzione dei carichi di lavoro è dovuta alle
capacità ed all'impegno degli operatori della giustizia. Sennonché,
come già detto, elenca i dati statistici senza analizzarli e senza
indicare soluzioni ai problemi. Ad esempio, non dice come far
fronte all'aumento del carico delle Corti d'Appello, pur rilevato,
o alle pendenze dei dibattimenti penali.



Nella Relazione viene ammesso che
l'approvazione della cd. Legge Pecorella sulla inappellabilità
delle sentenze di assoluzione, porterà ad un aumento del carico
della Suprema Corte: questo dato era stato evidenziato dalla
magistratura associata in  innumerevoli occasioni in sede di
discussione della legge, ma non era stato affatto considerato.
Peraltro, come noto, il Capo dello Stato ha rinviato alle Camere la
legge, con numerosi rilievi di palese incostituzionalità. 
Allo stesso modo, ora si ammette che l'applicazione della cd. Legge
ex Cirielli porterà ad un aumento dei procedimenti prescritti,
stimato in 35.000 unità. Gli allarmi levati dall'A.N.M. in sede di
discussione della legge, sono ora confermati ed anzi le stime
ministeriali sono peggiori di quelle ipotizzate, se si considera
che nella stesura finale è stata eliminata gran parte della
disciplina transitoria.  Il Ministro, prima dell'approvazione
delle nuove norme, avrebbe dovuto indicare al Parlamento che si
sarebbero verificati questi effetti, in modo tale da consentire una
legiferazione a ragion veduta. Invece, ammette che le critiche
erano fondate solo dopo l'approvazione.



Per quanto riguarda la drammatica
situazione delle carceri, il Ministro non sa far altro che indicare
come soluzione quella di costruire nuovi edifici, il che,
ovviamente, richiede tempo e risorse.



La parte programmatica per il 2006
è assolutamente scarna. Non si indicano gli interventi
organizzativi che si intendono effettuare, ed anche le linee della
programmazione legislativa sono generiche, come la solita
indicazione della riforma dei codici penale e di procedura penale,
sempre annunciata e mai realizzata.



Infine, particolarmente grave
appare il proposito di intervenire sulla competenza,
costituzionalmente stabilita, del Csm sugli illeciti disciplinari,
mediante la previsione della costituzione di un organo apposito, di
cui non sono indicate la composizione, se non vagamente, ed i modi
di costituzione. Ancora una volta, si vuole incidere sulla
indipendenza della magistratura, bene che invece andrebbe
gelosamente protetto come garanzia per i cittadini nell'ambito di
un corretto equilibrio tra i poteri dello Stato. Finora la sezione
disciplinare del Csm, a detta anche dei componenti laici che ne
hanno fatto e ne fanno parte, ha ben operato, e risulta immune da
logiche di appartenenza. Anche la proposta di tribunali speciali
per la trattazione degli affari in cui sono parti i magistrati,
appare in evidente contrasto con le disposizioni costituzionali che
stabiliscono il divieto di istituzione di giudici speciali ed è
lesiva del diritto dei magistrati, e delle altre parti coinvolte
nei procedimenti che li riguardano, ad un trattamento eguale a
quello degli altri cittadini.



In conclusione, la Relazione del
Ministro appare elusiva dei problemi della giustizia, dedicata per
gran parte a inutili polemiche, inadeguata nell'indicare le
soluzioni necessarie per una effettiva riorganizzazione del
Ministero e degli uffici, e, quindi, per ridurre i tempi dei
processi ad una ragionevole durata.




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