L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

3 luglio 2013

Anm in Commissione Giustizia Camera

Ieri una delegazione dell'Anmcomposta dal Presidente Sabelli, dal Segretario Carbone e dallacomponente del Cdc De Renzis è stata audita in CommissioneGiustizia della Camera dei Deputati sul DL noto come decreto legge"del fare". L'Anm ha illustrato un articolato parere suldl oggetto di esame considerando le disposizioni in essocontenute una risposta che, nel complesso, a parte qualche profilocritico, va accolta con favore.


Audizione dei rappresentanti
dell'Anm davanti alla Commissione Giustizia della Camera dei
Deputati



3 luglio 2013



Decreto-legge 21 giugno
2013, n. 69, pubblicato nel supplemento ordinario

n. 50 alla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 21 giugno 2013.

Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia

Titolo III: MISURE PER L'EFFICIENZA DEL SISTEMA GIUDIZIARIO

E LA DEFINIZIONE DEL CONTENZIOSO CIVILE





1. Premessa



Le disposizioni concernenti la
giustizia contenute nel decreto legge n. 69/2013 muovono dalla
constatazione - da tutti condivisa - del carattere insostenibile
della situazione in cui versa ormai da tempo il settore civile, con
gravi conseguenze sulla capacità di risposta del sistema alla
richiesta di  giustizia da parte dei cittadini,
sull'effettività dell'attuazione e della tutela dei diritti e sullo
sviluppo e sulla crescita economica, come testimoniato, del resto,
dai ricorsi ex legge Pinto e dalle sentenze di condanna da parte
della Corte EDU. Peraltro, la gravità della situazione non può
indurre a trascurare la qualità della risposta giudiziaria né
tantomeno a indebolire il quadro normativo sostanziale e
processuale.



In tale prospettiva, le
disposizioni contenute nel decreto oggetto di esame costituiscono
una risposta che, nel complesso (salvo quanto si dirà nel
dettaglio), va accolta con favore. In particolare, è condivisibile
l'approccio strategico teso a intervenire sugli aspetti
organizzativi degli Uffici, sulle risorse e sugli strumenti
deflattivi, piuttosto che sulla disciplina processuale, peraltro
già oggetto di ripetuti interventi negli anni passati. E' un
approccio, dunque, non soltanto condivisibile, ma che va anzi
potenziato.



Appare a questo punto opportuno
procedere a un esame in dettaglio delle singole previsioni.





2. Giudici ausiliari presso le Corti di Appello (artt.
62 - 72)



Sul punto, va osservato che
l'imponente carico e la complessità, anche qualitativa,
dell'arretrato civile pendente in special modo presso le Corti
d'appello impongono il ricorso a soluzioni che perseguano
l'obiettivo di un deciso abbattimento delle cause più risalenti,
secondo un piano di smaltimento rigorosamente programmato, che non
trascuri però il rispetto di standard qualitativi elevati e
impieghi a tale scopo personale qualificato ed esperto, per quelle
attività per le quali è richiesta spesso una maggiore abilità
professionale e il ricorso ai praticanti - assistenti - tirocinanti
si rivelerebbe insufficiente. Del resto, la categoria dei c.d.
"giudici emeriti" non è nuova ad altri ordinamenti europei e viene
utilizzata proficuamente proprio a fini di smaltimento delle cause
civili. Dunque, pur nella generale contrarietà a soluzioni precarie
e temporanee che non incidono sulle criticità strutturali del
sistema, la particolare gravità della situazione e la misura
assunta dall'arretrato nel settore civile induce a esprimere un
parere favorevole, pur nella consapevolezza del carattere
straordinario dell'intervento. Alla luce dei risultati piuttosto
insoddisfacenti offerti dalla passata esperienza delle sezioni
stralcio (che videro un avvio lento e una misura di smaltimento
inferiore alle attese), appare opportuna la previsione
dell'inserimento dei giudici ausiliari nelle sezioni ordinarie, con
le limitazioni previste nel decreto, piuttosto che la loro
concentrazione in sezioni distinte.



Tuttavia la platea dei candidati al
ruolo dei giudici ausiliari, individuata dall'art. 63 comma 3,
appare troppo ristretta; in particolare, essa esclude
ingiustificatamente la categoria dei magistrati onorari, ai quali è
opportuno invece attingere, con riferimento a coloro che abbiano
dato buona prova di sé e abbiano maturato un'esperienza di almeno
cinque anni.



Al fine di garantire il
raggiungimento dei risultati di efficienza, appare inoltre
opportuno prevedere un regime di controllo più stringente,
attraverso la previsione di piani dedicati di smaltimento, affidati
al Capo dell'Ufficio nell'ambito della previsione dell'art. 37,
comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, con specifica
individuazione di obiettivi e tempi.





3. Tirocinio formativo presso gli Uffici Giudiziari
(art. 73)



L'Associazione Nazionale Magistrati
da tempo sollecita la costituzione di un "ufficio del processo",
che coadiuvi il magistrato, il quale conserva la responsabilità
delle decisioni assunte, sostenendolo nelle attività preparatorie
degli atti e dell'udienza, sull'esempio delle esperienze maturate
in altri Paesi. La previsione del tirocinio formativo presso il
giudice del dibattimento di primo grado e di appello costituisce un
passo, ancorché embrionale, in questa direzione. In particolare,
sono state recepite, sviluppate e stabilizzate le disposizioni e le
prassi già vigenti in materia di tirocinio formativo, sulla base
della previsione dell'art. 37 del DL 98/2011. L'esperienza già
maturata al riguardo presso alcuni Uffici (si segnala, in
particolare, l'esempio offerto dal Tribunale di Milano, dove
l'impiego dei tirocinanti ha contribuito in misura significativa a
una consistente riduzione delle pendenze, con riferimento in
special modo alle cause di data più risalente) conferma quindi
l'opportunità di procedere in tale direzione, con interventi anche
più decisi di quelli proposti nel decreto.



Infatti, la breve durata del
periodo di formazione (diciotto mesi), la limitazione al solo
giudice del dibattimento di primo e di secondo grado, la gratuità
della prestazione, rischiano di valorizzare in via pressoché
esclusiva la finalità (pure rilevante) di formazione dello
stagista, con la conseguenza però di offrire un ausilio modesto
all'opera del magistrato (ausilio che va individuato come scopo
concorrente di tale strumento) e di risolversi invece in un certo
aggravio per l'affidatario, sul quale graverebbe, per tutto il
periodo non breve di formazione, un carico ulteriore. Si ritiene
perciò necessario procedere fin da ora a irrobustire tale
tirocinio, con le modifiche di seguito illustrate.



Anzitutto, si chiede di estendere
la figura dell'assistente-tirocinante alle Procure della
Repubblica, al Giudice per l'udienza preliminare, ai Tribunali per
i minorenni e alle relative Procure, limitatamente alle attività di
udienza e a quelle preliminari e successive all'udienza. La tutela
delle esigenze di segretezza, che verosimilmente sono alla base
della scelta di limitare il tirocinio al solo dibattimento di primo
e di secondo grado, in considerazione della precarietà del ruolo
del tirocinante, è comunque assicurata dalla limitazione alle
attività escluse dall'ambito del segreto.

Analogamente, si chiede di estendere il tirocinio formativo ai
Tribunali e agli Uffici di sorveglianza. Al riguardo si sottolinea
come il recente decreto legge contenente disposizioni urgenti in
materia di esecuzione della pena determinerà un sensibile aumento
del lavoro gravante su tali Uffici, sì da rendere necessaria
l'adozione di misure di rafforzamento: appunto l'estensione al
procedimento di sorveglianza del tirocinio formativo, in attesa di
altre auspicabili misure (fra l'altro, il comando presso i
Tribunali di Sorveglianza del personale della Polizia
Penitenziaria).

La necessità di un utile impiego dei tirocinanti "esperti"
consiglia di prevedere l'aumento della durata massima del tirocinio
(18 mesi secondo la previsione attuale), che andrebbe estesa a tre
anni.

Se è condivisibile l'individuazione di criteri di selezione allo
scopo di assicurare la scelta delle persone più preparate e
motivate, tuttavia il requisito di una votazione media minima, in
alcune materie, di 27/30 (art. 73 comma 1) è troppo restrittivo,
anche perché non esiste uno standard unico tra le Università; la
votazione minima, quindi, potrebbe essere convenientemente ridotta,
tanto più che la selezione dei migliori può essere effettuata "sul
campo" e affidata agli uffici giudiziari.

Sono stati individuati opportuni titoli incentivanti (art. 73 commi
12 - 15), tuttavia la gratuità del tirocinio formativo (salva la
possibilità di beneficiare dell'apporto finanziario di terzi, anche
mediante l'istituzione di apposite borse di studio) rischia di
costituire, d'altra parte, elemento di dissuasione. Si potrebbe
quindi prevedere la corresponsione di un'indennità (come per gli
specializzandi in medicina): l'aggravio economico sarebbe
complessivamente contenuto e andrebbe recuperato in virtù dei
prevedibili risparmi sulle condanne ex legge Pinto, come dimostra
l'esempio di diversi Uffici.

Va fatta una considerazione conclusiva. L'apporto di giudici
ausiliari e di assistenti - tirocinanti, se può costituire un
valido ausilio per l'amministrazione della giustizia, non deve però
risolversi in soluzioni effimere, con l'introduzione di nuove
figure temporanee o precarie. A tale scopo, si impone l'adozione, a
breve, di una riorganizzazione complessiva delle risorse, con
specifico riferimento al personale amministrativo e alla
magistratura onoraria. Ci si rende conto della difficoltà di
introdurre tali temi nella discussione del presente disegno di
legge, tuttavia si sottolinea la necessità di procedere in tempi
ristretti, per un rilancio del servizio giustizia, a un adeguato
irrobustimento degli organici del personale amministrativo, già
interessato da un'inarrestabile emorragia, alla riqualificazione di
quello esistente, al riordino della giustizia onoraria. Non vanno
infatti trascurate le ricadute degli effetti dell'auspicabile
aumento di produttività che conseguirà all'attuazione del presente
decreto né, sul piano economico, il risparmio che conseguirà
all'abbattimento dell'arretrato e all'accelerazione dei tempi di
definizione delle nuove cause.





4. Magistrati assistenti di studio della Corte di
Cassazione (art. 74)



L'elevato carico gravante sulla
Cassazione, a differenza di quanto accade generalmente per le Corti
Supreme degli altri Paesi, ha indotto a introdurre la figura
temporanea di trenta assistenti di studio, le cui attribuzioni
concrete sono affidate al Primo Presidente, sentito il Procuratore
Generale. Tuttavia, la precarietà di tale figura, la conseguente
sottrazione dei magistrati agli Uffici di merito, l'incertezza dei
loro compiti, la mancata previsione dei criteri di scelta di tali
assistenti di studio e di un termine massimo di permanenza
nell'ufficio (fatto, quest'ultimo, che pare incoerente con il
carattere temporaneo della funzione), la mancanza, infine, di
concrete previsioni circa l'aggravio di lavoro che si riverserà sui
giudici di legittimità in conseguenza degli altri interventi
previsti dal decreto legge, inducono a ritenere che tale nuovo
strumento sia del tutto insufficiente a risolvere l'emergenza
costituita dall'arretrato di cause civili pendenti.



Appare dunque preferibile destinare
le risorse, piuttosto che alla creazione di una nuova funzione
temporanea, all'ampliamento, in pari misura, dell'organico del
Massimario, introducendo anche la possibilità, per quanti abbiano
conseguito la terza valutazione, di integrare i collegi, come già
previsto a suo tempo per i magistrati di appello addetti alla Corte
di cassazione. Del resto, l'attività di ricerca e di studio
necessaria per le Sezioni e, in prospettiva, affidata alla nuova
figura dell'assistente, rischia di sovrapporsi proprio all'attività
del Massimario, struttura già collaudata e con grande tradizione di
operatività. Il ripristino della possibilità di integrare i collegi
da parte dei magistrati del Massimario potrebbe realizzare inoltre
un collegamento diretto con l'esercizio della giurisdizione, con
rilancio dell'efficienza e riqualificazione del ruolo complessivo
dell'Ufficio.





5. Misure processuali (artt. 75 - 81)



Parere favorevole si esprime sulla
limitazione della necessità di intervento del pubblico ministero
nei giudizi civili davanti alla Corte di cassazione (art. 75): se
l'intervento nelle cause civili è coerente con il particolare ruolo
che riveste il pubblico ministero di legittimità e tende ad
assicurare elevati standard di qualità, tuttavia l'alto numero di
ricorsi, a fronte dell'entità dell'organico della Procura Generale,
di fatto è di ostacolo alla possibilità che sia in tutti i casi
assicurato un contributo di qualità elevata. Appare dunque
ragionevole l'esclusione della partecipazione del pubblico
ministero nei procedimenti civili che, in linea generale, non
sollecitano l'esercizio della funzione di nomofilachia. Potrebbe
anzi procedersi a innovazioni anche più decise, che, nella fase di
legittimità, limitino la partecipazione alle sole controversie la
cui soluzione coinvolga questioni di rilevanza generale.



Parere parimenti favorevole si
esprime in ordine alla disposizione dedicata alla divisione a
domanda congiunta demandata al notaio (art. 76) e, in linea di
massima, alla conciliazione giudiziale (art. 77), con le
precisazioni che seguono.



Tale ultima disposizione, da
mettere in correlazione con le riforme in tema di mediazione,
introduce un vero e proprio potere conciliativo e transattivo
obbligatorio ("deve") da parte del giudice. Il rifiuto delle parti
in merito a tale proposta - senza giustificato motivo - costituisce
poi comportamento valutabile dal medesimo giudice ai fini del
giudizio (sarebbe preferibile chiarire: ai fini della decisione
sulle spese).



La norma si innesta nel solco dei
poteri conciliativi di derivazione pretorile, già introdotta sotto
forma di conciliazione obbligatoria nell'art. 183 c.p.c. con
riferimento alla prima udienza di trattazione e soppressa nel 2005.
Tuttavia la disposizione, pur nel condivisibile intento di
armonizzare il rito ordinario di cognizione con il rito del lavoro,
nel quale già esiste analoga norma, esige la formulazione di una
proposta conciliativa o transattiva vera e propria, nella fase
iniziale del giudizio, in tutte le controversie (anche nei giudizi
civili di notevole spessore: solo a titolo esemplificativo si pensi
alle cause societarie, alle azioni revocatorie, ai giudizi di
responsabilità contabile, e persino in quelli di puro diritto) e
mal si concilia con l'esigenza (correlata a ragioni di convenienza)
volta ad evitare che il giudice anticipi il proprio giudizio specie
in procedimenti di una certa complessità e consistenza. Altro
inconveniente risiede nella necessità di pervenire, sin dalla prima
udienza, ad uno studio accurato e preciso del fascicolo così da
formulare obbligatoriamente una proposta transattiva o
conciliativa.



La norma potrebbe quindi essere
corretta con l'inciso "ove possibile, avuto riguardo alla natura
del giudizio, al valore della controversia ed alla esistenza di
questioni di facile e pronta soluzione in diritto". Si tratterebbe
di una clausola di salvaguardia, opportuna anche in considerazione
della varietà e del diverso grado di complessità della cognizione
civile.



Va però anche detto che già nella
relazione illustrativa il legislatore ha affrontato il problema
relativo alla obbligatorietà della transazione/conciliazione ed
alla mancata previsione di sanzioni nel caso di inerzia del
giudice. Ne consegue che la norma, pur ipotizzando un meccanismo di
obbligatorietà, potrebbe comunque essere intesa nel senso di una
obbligatorietà pur sempre rimessa alla valutazione discrezionale
del giudice, il quale può anche prevedere che non sussistano i
presupposti per la transazione/conciliazione (cfr. Cassazione, sez.
III. Sentenza n. 1099 del 9.2.1985 a proposito del tentativo
obbligatorio di conciliazione).



Parere favorevole si esprime in
ordine alle misure per la tutela del credito (art. 78) e alla
semplificazione della motivazione della sentenza civile (art. 79).
Peraltro, a tale ultimo riguardo va osservato che, se in linea
generale vanno accolti con favore gli interventi intesi a
introdurre soluzioni semplificate, tuttavia la motivazione dovrà in
ogni caso adeguatamente assolvere alla propria funzione di
illustrazione delle ragioni del decidere, pena ricadute nei gradi
successivi di giudizio, con la conseguenza che gli effetti di tale
semplificazione saranno probabilmente inferiori alle attese.



Parere contrario si esprime invece
sulla previsione dell'art. 80 (del quale si propone
l'eliminazione), che concentra negli Uffici di Milano, Roma e
Napoli la competenza per tutte le cause civili (salve specifiche
eccezioni) nelle quali è parte, anche nel caso di più convenuti ai
sensi dell'articolo 33 del codice di procedura civile, una società
con sede all'estero e priva nel territorio dello Stato di sedi
secondarie con rappresentanza stabile, con conseguente deroga ai
criteri ordinari di competenza. L'aggravio di costi che ne verrebbe
alla parte e l'aumento di contenzioso nelle tre sedi, ai quali non
corrisponde la previsione di opportune rimodulazioni dell'organico
previa adeguata ponderazione statistica, costituiscono effetti
negativi, ai quali non paiono corrispondere adeguati vantaggi
compensativi.





6. Disposizioni in materia di concordato preventivo
(art. 82)



Le modifiche introdotte sono
opportune e consentono al tribunale di esercitare un controllo
maggiormente adeguato nella c.d. fase concordataria in bianco, che
non agevola la ripresa dell'attività ma di fatto paralizza le
attività esecutive, genera ulteriori insolvenze e si presta ad
abusi, specie dove sono già pendenti istanze di fallimento.
Inoltre, sarebbe opportuno prevedere una percentuale minima di
soddisfacimento dei creditori.





7. Modifiche alla disciplina dell'esame di Stato per
l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato (art.
83)



Il ripristino della presenza dei
magistrati in servizio nelle commissioni d'esame per avvocato
produrrà un notevole aggravio per la magistratura, in decisa
controtendenza rispetto alle finalità generali perseguite dal
decreto. Si auspica quindi l'eliminazione dell'art. 83.





8. Misure in materia di mediazione civile e
commerciale (art. 84)



Si premette che l'Associazione
Nazionale Magistrati, in occasione dell'audizione davanti alla
Commissione Giustizia del Senato, aveva espresso alcune critiche al
D.Lgs. n. 28/2010, pur nella premessa della fondamentale importanza
di una cultura della mediazione. Il punto maggiormente problematico
era stato identificato nel ruolo del mediatore, pensato
esclusivamente per fare emergere gli interessi sottostanti al
conflitto al solo fine del raggiungimento dell'accordo e non per
individuare suggerimenti e proposte in relazione alla propria
valutazione delle ragioni delle parti. In sostanza, veniva
criticato l'impianto normativo, che non faceva perno su un
"mediatore" di qualità, tale da individuare i punti salienti del
conflitto e quindi le adeguate soluzioni anche giuridiche. La
critica era quella di avere concepito l'istituto esclusivamente
come filtro ovvero come "regolatore" per l'accesso al giudice
civile e non come generale strumento di risoluzione delle
controversie civili, rimedio tipico di tutte le esperienze di
matrice nordamericana, diffuse anche in ambito europeo e che
riguardano tutto ciò che vi è di alternativo alla giustizia
statuale. In particolare, veniva criticato il meccanismo della c.d.
obbligatorietà, la quale non era prevista dalla legge delega e non
era imposta dalla normativa comunitaria.



Venendo alla normativa in esame, va
rilevato che il legislatore si muove nel solco già tracciato dal
decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, introducendo alcune
modifiche. Non si notano particolari cambiamenti per quanto
concerne il ruolo del mediatore, la cui individuazione viene
rimessa agli organismi di mediazione, salvo prevedere che "gli
avvocati sono di diritto mediatori", così garantendo anche per la
classe forense la possibilità di accedere al ruolo dei mediatori
(art. 16, comma 4 bis). Tale norma sana solo in parte le critiche
mosse alla qualificazione professionale del mediatore, in quanto
non è previsto un serio meccanismo di reclutamento e formazione dei
mediatori che non siano avvocati.



Altro punto che merita di essere
approfondito riguarda la c.d. "mediazione delegata", cioè la
mediazione introdotta per effetto del provvedimento del giudice,
anche di appello, il quale dispone l'esperimento del procedimento
di mediazione (la versione precedente prevedeva invece un invito
alla mediazione) come condizione di procedibilità della domanda
giudiziale. Il giudice, in tale provvedimento, indica anche
l'organismo di mediazione e provvede prima dell'udienza di
precisazione delle conclusioni, ovvero, quando tale udienza non è
prevista, prima della discussione della causa. La seria perplessità
sulla norma in oggetto riguarda l'indicazione, da parte del
giudice,  dell'organismo di mediazione. In tal modo, il
giudice viene distolto dal ruolo essenzialmente giurisdizionale che
gli è proprio, per indicare l'organismo di mediazione, attingendo
al panorama dei vari organismi disponibili (che si prevede sarà
piuttosto affollato).



Non sembra poi opportuna -
trattandosi di mediazione obbligatoria - la previsione del
pagamento di una indennità di mediazione per il caso di fallimento
dell'esperimento, giacché la parte per un verso è costretta a fare
ricorso al procedimento di mediazione e, per altro verso, verrebbe
gravata di spese che assumono un sapore punitivo per il mancato
raggiungimento dell'accordo.



Nel contesto di cronicità
dell'abnorme arretrato civile, è comprensibile come la mediazione
sia concepita dal legislatore come strumento essenzialmente
deflattivo e su questo punto, pur nella valenza e nella
irrinunciabilità della petizione di principio (importanza della
cultura della mediazione soprattutto volontaria), occorre
considerare che il meccanismo dell'obbligatorietà, opportunamente
circoscritto, si rivela per certi versi indispensabile. Ciò è
testimoniato dal crollo delle mediazioni a seguito della pronuncia
della Corte costituzionale e tale dato conferma come poco diffusa e
poco praticata sia la cultura della mediazione in Italia.



Il tema, in realtà, riveste natura
spiccatamente politica, anche se va osservato che la normativa
dell'Unione Europea, e nello specifico la direttiva 2008/52/CE, non
contiene previsioni in merito alla obbligatorietà ed è volta
essenzialmente a garantire un migliore accesso alla giustizia,
invitando gli Stati membri a istituire procedure extragiudiziali
alternative, formate sulle specifiche esigenze delle parti, per
consentire una risoluzione conveniente e rapida delle controversie
civili e commerciali.



In conclusione, sulla disciplina si
può esprimere un parere nel complesso favorevole, osservando come
il legislatore abbia provveduto a circoscrivere l'ambito di
obbligatorietà e abbia previsto meccanismi (l'inclusione degli
avvocati nell'ambito dei mediatori, l'intervento dei legali nella
fase di omologa del verbale di accordo) intesi ad assicurare la
qualità dell'istituto. Tuttavia, pur nella necessità di utili
strumenti deflattivi, la mediazione non può essere pensata
esclusivamente a tale scopo; la costituzione di una efficace
alternativa alla giustizia civile richiede mediatori qualificati ed
esperti, un serio controllo sulla loro attività e l'inserimento di
regole di deontologia professionale; né va trascurato il fatto che
la previsione di obbligatorietà non basta ad assicurare l'efficace
esperimento della mediazione, che potrebbe risolversi in un inutile
appesantimento della procedura, ove non sia accompagnata da una
reale cultura della mediazione, assistita da serie misure
incentivanti. A tale riguardo va ricordato il pregevole progetto
Conso (c.d. Commissione Fazzalari), dei primi anni '90, molto ben
articolato e strutturato su modelli di mediazione volontaria, con
incentivi premiali e fiscali.




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