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19 settembre 2014

Assemblea nazionale UNCC, intervento presidente Sabelli

Ringrazio di cuore l’Unione delle Camere civili e il presidente Menoni non solo per l’invito odierno ma anche per le parole di condivisione e di sostegno, con le quali ha voluto introdurre il mio indirizzo di saluto, così confermando e consolidando quel rapporto di confronto e collaborazione fra l’avvocatura e la magistratura nel settore civile, che abbiamo ormai avviato già da tempo. Desidero oggi spendere poche parole. Le valutazioni di merito sul contenuto delle riforme le lascio alla competenza dei relatori e, fra gli altri, della collega Luisa De Renzis, coordinatrice della nostra commissione di studio, che avete avuto la cortesia di invitare.
Gli ultimi mesi hanno visto le rappresentanze dell’avvocatura e l’ANM coinvolte in frequenti riunioni al Ministero della Giustizia, riunioni nel corso delle quali abbiamo discusso delle linee generali della riforma. Le Camere civili e l’ANM si sono in genere trovate concordi nelle valutazioni, nelle critiche, nei suggerimenti. Noi abbiamo osservato come problema centrale nel settore civile – e non solo in quello civile – sia quello delle risorse. Abbiamo espresso favore per la valorizzazione di quegli strumenti diretti a prevenire l’inutile proliferazione delle cause ma abbiamo anche osservato come tali strumenti debbano essere non solo coerenti col sistema ma anche sostenute da opportuni incentivi; da investimenti adeguati in personale e risorse; dal rispetto dei diritti e dell’umanità che sottostanno al processo, spesso trascurati all’insegna di un’idea di efficienza di stampo aziendalistico. Tali attese, purtroppo, mi paiono in larga parte deluse. Le riforme approvate presentano elementi di interesse. Esse però, non sostenute da risorse e da incentivi adeguati e da una cultura del processo, della magistratura, dell’avvocatura, quale strumento e quali organi deputati alla tutela dei diritti, rischiano di ridursi a risposta inadeguata, suggerita da stimoli che guardano più alla propaganda e alle statistiche che alla qualità della giustizia.
Strumenti deflativi che dovessero limitarsi a mezzo destinato a raccogliere qua e là quel che tracima in disordine da un processo in affanno non gioverebbe alla giustizia né al decoro di coloro che sono chiamati a contribuirvi.
Purtroppo, l’occasione delle riforme si sta perdendo in una dilagante, avvilente demagogia. Una demagogia che, in un'osmosi reciproca, alimenta e si alimenta di un dibattito pubblico troppo spesso intriso di superficialità, di pregiudizio e di ignoranza. Una demagogia che soffoca sul nascere e degrada a polemica grottesca ogni tentativo di riflessione più ragionata, più critica e più autocritica, col pessimo risultato di irrigidire sempre più posizioni preconcette e prevenire ogni possibilità di confronto. La demagogia conosce varie declinazioni: fra queste vi è la demagogia della ricerca delle colpe altrui. Ora le colpe presunte di una magistratura, offesa su un sito istituzionale con accuse di inefficienza; ora le colpe di un’avvocatura, additata come primo e solo responsabile della proliferazione delle cause. Prodotto di tale incultura sono le cattive riforme. Ricordiamo ancora il tentativo di introdurre, per il caso di lite temeraria, la condanna solidale dell’avvocato insieme con quella della parte privata. Allora, fummo anche noi magistrati a criticare quella norma, sbagliata e offensiva del ruolo dell’Avvocatura.
Dobbiamo dunque vigilare, contro i rischi di un declino culturale, contro i rischi di un pensiero superficiale, che genera riforme inefficaci, perdendosi dietro slogan, spot e dichiarazioni d’intenti.
Grazie ancora e buon lavoro.



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