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12 dicembre 2015

Documento del CDC sull’organizzazione delle Procure della Repubblica

Il Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati sull’organizzazione delle Procure della Repubblica


 


Le Procure della Repubblica da sempre rappresentano un settore molto importante nell’organizzazione dei pubblici poteri del nostro Paese, poiché costituiscono il canale di collegamento tra l’azione delle forze di Polizia giudiziaria e la giurisdizione. In altri termini, è attraverso l’attività degli uffici del PM che gli effetti pratici delle scelte di politica criminale del Governo sono valutate dalla giurisdizione.
In passato la magistratura associata ha preso più volte posizione ed ha promosso la creazione di un sistema di potere diffuso negli uffici inquirenti.
La normativa di riforma degli uffici del PM del 2005-2006 ha, al contrario, accentuato il ruolo di dirigente del Procuratore sia sotto l’aspetto organizzativo, che nella concreta gestione dei procedimenti e dei rapporti con i magistrati dell’ufficio: in ogni caso, un’interpretazione costituzionalmente orientata, alla luce dei principi espressi dagli artt. 101, 102, 105, 107 e 112 Cost., impone che sia preservata per il singolo Sostituto Procuratore la sfera di autonomia professionale e di responsabilità decisionale per le funzioni esercitate in conseguenza dell’assegnazione del procedimento.  
La risposta deve essere, dunque, quella di coniugare autonomia e responsabilità, non disconoscendo al capo dell’ufficio i poteri di adottare criteri organizzativi incisivi ed atti decisori, ma condizionandoli ad una gestione condivisa, trasparente e partecipata dell’ufficio e ad un efficace controllo degli organi di autogoverno. Ciò implica:



  • una partecipazione  effettiva e procedimentalizzata dei Sostituti nella predisposizione dei progetti organizzativi, i quali, una volta approvati, devono costituire un doveroso limite ai poteri del Procuratore della Repubblica, soggetto, come tutti i componenti dell’ufficio, all’osservanza degli stessi;

  • la predeterminazione rigorosa  dei criteri di assegnazione degli affari, che ne garantiscano una distribuzione equa e razionale attraverso un’automaticità temperata da deroghe motivate e trasparenti; 

  • la previsione di percorsi trasparenti e motivati per l’assegnazione dei Procuratori aggiunti e dei Sostituti ai gruppi di lavoro;

  • l’istituzionalizzazione ed effettiva realizzazione di riunioni periodiche, anche all’interno dei gruppi, capaci di garantire una discussione ragionata e condivisa delle linee organizzative e giurisprudenziali;

  • un più incisivo controllo da parte degli organi di autogoverno sui progetti organizzativi, superando l’attuale ed abissale divergenza tra Tribunali e Procure;  

  • l’effettiva realizzazione di meccanismi trasparenti di gestione e risoluzione degli eventuali  contrasti fra dirigente e sostituti, che consentano al sistema dell’autogoverno di verificare il corretto operato dei magistrati coinvolti e di tenerne conto in sede di valutazione di professionalità e di conferma degli uffici direttivi. 


Su quest’ultimo punto l’ANM propone un’interpretazione della normativa sulla revoca dei procedimenti, collegandola solo a violazioni oggettive dei criteri previamente definiti dal dirigente, ad obiettivi ritardi o negligenze del PM nella fase delle indagini o, infine, allo scorretto esercizio dell’azione penale, in contrasto con “l’evidenza processuale”, vale a dire nei casi in cui la possibilità di sostenere l’accusa in giudizio risulta seriamente preclusa da pronunce giurisdizionali.
Un’interpretazione del genere è nel contempo rispettosa sia del principio di autonomia costituzionale del magistrato del PM, che non può essere compressa fino al punto da far perdere al magistrato inquirente il potere-dovere di qualificazione giuridica del fatto, che del tenore letterale dell’art. 2 del d.lgs. 106/2006.
Sotto un diverso e delicato profilo, il vaglio del dirigente in sede di assenso sulle richieste cautelari, per le medesime ragioni sistematiche e letterali, deve tendenzialmente esplicarsi sulla sola sostenibilità della richiesta cautelare, intervenendo negativamente solo nei casi di oggettiva infondatezza in diritto o in fatto della stessa, senza investire i profili di dettaglio.  


Per quanto riguarda la concreta attuazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, al fine di evitare che un principio fondamentale ed irrinunciabile si traduca in una vuota formula, è essenziale utilizzare in modo ragionato le risorse a disposizione; in particolare, occorre diffondere le buone prassi, quali l’istituzione – con le opportune consultazioni ed intese con i Tribunali – di Uffici per gli affari a trattazione semplificata, già previsti con buoni risultati in grandi Procure o l’impiego intelligente di VPO ed ufficiali di PG opportunamente formati e, ancora, i protocolli di udienza concordati con i sindacati del personale e l’avvocatura.
In ogni caso, finché avremo una legislazione che contraddice in pieno l’idea del “diritto penale minimo”, una strada praticabile per evitare di affidare al caso scelte importanti per la vita dei cittadini, è quella delle priorità, già promosse da anni dal CSM. Naturalmente l’efficacia dell’adozione dei criteri di priorità è inversamente proporzionale al numero delle categorie di procedimenti prioritari e non può prescindere dal necessario coordinamento con gli uffici giudicanti.


Il pubblico ministero deve rimanere, inoltre, il “motore” delle indagini e mantenere il ruolo guida nelle stesse, in particolare nei rapporti con la polizia giudiziaria
Infatti, in coerenza con le norme costituzionali poste a presidio delle libertà fondamentali – ove la riserva di legge è rafforzata dalla riserva di giurisdizione – nella fase delle indagini preliminari ed in relazione al compimento di atti che incidono significativamente sulle libertà personali, al PM è innanzitutto affidato il delicato compito di “controllo di legalità” delle attività di Polizia giudiziaria e ciò presuppone una rigorosa distinzione dei ruoli ed una ferma difesa delle prerogative del pubblico ministero.
Non a caso, è proprio sul versante del rapporto con la PG che si concentrano le proposte più insidiose, tese a svilire il ruolo del PM. E’, tuttavia, fondamentale che quest’ultimo operi con rigorosa professionalità.
Il modello, insomma, dovrebbe ispirarsi a quello della “collaborazione nella distinzione” dei ruoli, valorizzando al massimo il rapporto di “dipendenza funzionale” della PG verso il PM, del resto chiaramente disposto nella carta costituzionale. Un modello che, con uno slogan sintetizzante, finisce per definire il pubblico ministero come il “giudice” della PG.


Il pubblico ministero, ovviamente, non può sottrarsi alla sfida della specializzazione: per le funzioni inquirenti, inoltre, la decennalità deve essere bilanciata da meccanismi che consentano la salvaguardia della professionalità acquisita, non tanto nell’interesse del singolo magistrato, quanto della Procura nel suo complesso
La specializzazione presenta due caratteristiche positive, poiché, da un lato, garantisce, almeno in parte, che la distribuzione dei procedimenti avvenga attraverso criteri obiettivi e predeterminati e, dall’altro, costituisce uno strumento fondamentale per affinare la qualità del prodotto giudiziario dell’ufficio.
E’ necessario, altresì, che vengano favoriti criteri prevalentemente automatici di assegnazione degli affari specialistici ai magistrati componenti del gruppo, prevedendosi la coassegnazione come “temperamento” dell’automatismo nel caso di questioni delicate assegnate a magistrati più giovani o non ancora esperti della materia oppure in relazione a crimini che implicano differenti specializzazioni.
Quanto alla specializzazione quale strumento di organizzazione virtuosa del lavoro, le scelte strutturali non possono che essere precedute da una attenta rilevazione qualitativa e quantitativa dei flussi delle notizie di reato del circondario.


I Procuratori aggiunti dovranno assumere, fra le altre, una funzione propositiva per la circolazione delle informazioni all'interno dell'ufficio e per la creazione delle buone prassi.
La riforma ha ridisegnato, infatti, i poteri del Procuratore della Repubblica. In tale quadro, il ruolo del Procuratore aggiunto, che potrebbe essere anche meglio definito a livello normativo,  assume un rilievo decisivo per conservare la gestione partecipata e democratica degli uffici di Procura e per evitare “gestioni autoreferenziali” dei dirigenti.  Per tale motivo, il Procuratore aggiunto, soprattutto nei grandi uffici, deve essere “l’anello di congiunzione” fra le esigenze dei Sostituti e le decisioni organizzative del Procuratore; deve essere il fattore di sviluppo della professionalità dei colleghi e dell’uniformità dell’esercizio dell’azione penale, promuovendo e facendosi protagonista di riunioni periodiche del gruppo che coordina, incrementando i protocolli investigativi ed i protocolli organizzativi, che facilitino in particolare i rapporti con gli altri uffici giudiziari e la PG.


Il dirigente dell'ufficio ed i procuratori aggiunti dovranno curare il rispetto e l'osservanza delle regole in materia di rapporti con i media, al fine di evitare sovraesposizioni pubbliche del singolo, che pregiudicano il buon andamento delle indagini e l’immagine della magistratura.
Non può però sottacersi che la corretta e completa informazione sull'attività dell'ufficio requirente è essenziale per salvaguardare il diritto di cronaca ed il controllo pubblico sull'operato della magistratura, che sono valori imprescindibili in un sistema democratico. In particolare, negli uffici di grandi dimensioni, contraddistinti da gravi emergenze criminali, l'interesse generale ad una corretta informazione (tutelato dall’art. 21 Cost.) importa che la fonte ufficiale della notizia possieda una conoscenza il più possibile  approfondita dei fatti, tale da poterne individuare anche i limiti di diffusione.
Ne consegue che, qualora venga convocata una conferenza stampa, a questa potranno partecipare anche – o solo - i Procuratori aggiunti a ciò delegati, come del resto accade spesso nelle maggiori Procure. In quest’ottica, i Sostituti assegnatari, che non possono partecipare alla conferenza stampa, dovrebbero aiutare i procuratori aggiunti a predisporre il comunicato stampa da diffondere in merito alle indagini più rilevanti, per le quali occorra salvaguardare il diritto di cronaca.
Ciò premesso, il Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati


p r o p o n e



  • al legislatore di reintrodurre l’approvazione del CSM dei progetti organizzativi delle Procure della Repubblica, al fine di garantire una coerenza di fondo delle attività inquirenti ed un  più efficace coordinamento tra uffici requirenti e giudicanti;

  • al CSM:
    - di valutare in modo incisivo l’adeguatezza dei progetti organizzativi, formulando rilievi ogniqualvolta gli stessi non siano rispondenti alla normativa primaria e secondaria ed al principio costituzionale dell’autonomia del PM;
    - di promuovere l’adozione di criteri priorità, che garantiscano realmente l’applicazione effettiva del principio di obbligatorietà dell’azione penale;
    - di continuare a promuovere la specializzazione del PM quale strumento di professionalità e l’automatismo quale strumento di trasparenza, valorizzando la coassegnazione come necessario punto di equilibrio;
    - di affinare le disposizioni regolamentari sull’istituto della revoca dei procedimenti e di disciplinare quello dell’assenso sulle richieste cautelari nel senso indicato in premessa, così garantendo nel contempo l’autonomia costituzionale del PM e la migliore interpretazione del vigente ordinamento normativo delle Procure;


i n v i t a


il CSM:



  • a selezionare i magistrati inquirenti direttivi e semidirettivi, valorizzando nel miglior modo possibile le concrete attitudini e qualità dei concorrenti;

  • ad adottare provvedimenti di conferma dei Procuratori della Repubblica e dei Procuratori aggiunti sempre più incisivi ed approfonditi.


Roma, 12 dicembre 2015



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